Per questo motivo, torniamo alla domanda iniziale: e se fosse proprio il patrimonio culturale ecclesiastico, nell’attuale congiuntura socio-economica.
Per questo motivo, torniamo alla domanda iniziale: e se fosse proprio il patrimonio culturale ecclesiastico, nell’attuale congiuntura socio-economica.
Chiese, monasteri, arredi,
dipinti, statue. Sono la grande
bellezza di Piemonte e Valle
d’Aosta: 8500 beni disseminati su tutto il territorio, dalle valli
alpine sperdute alle grandi città della pianura. Si tratta del
patrimonio culturale ecclesiastico, un bene inestimabile sul
quale lavorano 1250 volontari
e un centinaio di operatori professionisti. Una galassia in
continuo movimento, stelle
che per brillare hanno bisogno
di mille attenzioni, dalla manutenzione all’accoglienza turistica. Ma soprattutto c’è una visione tutta nuova: il patrimonio
culturale come strumento di
aggregazione sociale.
A spiegare il nuovo corso è
don Gianluca Popolla, giovane
sacerdote segusino, che da
pochi mesi è stato chiamato a
coordinare tutti i progetti di valorizzazione che nascono e si
sviluppano in Piemonte e Valle
d’Aosta. «Ognuna delle 17 diocesi ha un direttore e tutti i direttori assieme formano la
Consulta dei beni culturali ecclesiastici – spiega Popolla,
che ne è il coordinatore – e
nella composizione della Consulta c’è ampio spazio per i laici (sono solo due i sacerdoti,
uno è il valsusino don Luciano
Vindrola) e ben sette sono
donne».
Un organismo, quello della
Consulta, che sviluppa idee
progettuali che nascono dal
territorio. «Il primo passo è stato di porci la seguente domanda: a chi e a che cosa è utile
questo immenso patrimonio?
La risposta che ci siamo dati è
che corrisponde alle necessità
di culto, di catechesi, ma anche di aggregazione. Per noi
esiste una regola, quella delle
3V, dove V sta per Valore: ecclesiale, economico e sociale.
I beni e i luoghi culturali non
sono oggetti: essi parlano e
raccontano di un modo di concepire l’esistenza, la storia, i
rapporti umani, la speranza
davanti al dolore, il senso dell’eternità e della felicità. Questi
codici comunicativi nel tempo
si sono smarriti, oggi l’opportunità è di recuperare questo alfabeto rinnovandolo e utilizzandolo per far crescere e rendere consapevoli le comunità
di fronte alla complessità contemporanea».
Come arrivare a concretizzare questa teoria? «Accanto
al valore catechetico ne esiste
uno sociale connesso al patrimonio culturale ecclesiastico,
che non è di oggi ma dei secoli passati. La precettoria di
S.Antonio di Ranverso, ad
esempio, ha funzionato sia come casa di accoglienza/ospedale per i pellegrini sia come
casa d’arte lungo la via Francigena. Si pensava che i pellegrini potessero essere sostenuti meglio se accolti e curati
in un luogo ricco di colori, immagini che potevano nutrire la
speranza e aiutare a interpretare e orientare l’esistenza».
«Altro esempio sono le opere delle Confraternite che
esprimono, attraverso l’arte
pittorica e la scultura lignea, le
storie di misericordia, fraternità, accoglienza, attenzione e
“cura” che le hanno ispirate a
partire dal Medioevo. I membri
delle Confraternite erano laici
impegnati nella funzione sociale della tutela dei più deboli: l’assistenza ai carcerati, l’accoglienza degli stranieri, dei
poveri, la cura dei malati e degli anziani, l’educazione dei
bambini, eccetera. I Confratelli agivano all’interno delle comunità coinvolgendo e responsabilizzando i cittadini sulla base di un incontro tra diritti
e doveri basato sulla reciprocità e comunicavano attraverso
l’arte e i riti».
Ecco dunque spiegati alcuni
progetti attualmente in corso:
ad Aosta, con la Caritas, dov’è
allestito uno spazio per servizi
ai poveri, al Cottolengo di Torino, a Fossano con gli ex carcerati, a Chiomonte alla Casa
Amica di don Fransouà… Insomma, l’arte che aiuta a migliorare la qualità della vita, ma
non solo. «In generale – prosegue don Popolla – le chiese
sono un giacimento culturale e
artistico costruito in centinaia
d’anni a testimonianza di
un’umanità che molte volte si
è presa cura di sé ed ha fatto
fronte alle crisi e alle guerre,
come quella che oggi bussa alle nostre porte e risale il Mediterraneo, e narrano di tutte le
fatiche umane. Tali opere hanno un grande valore sociale
anche rispetto alle trasformazioni che investono il nostro
tempo».
Per questo motivo, torniamo
alla domanda iniziale: e se fosse proprio il patrimonio culturale ecclesiastico, nell’attuale
congiuntura socio-economica,
l’attore che può cogliere i bisogni sociali e culturali e emergenti e giocare un ruolo attivo
nella costruzione di una società più coesa e resiliente? «Siamo di fronte ad una svolta di
civiltà – osserva Popolla – e
stiamo andando rapidamente
verso una società multiculturale e multireligiosa. Per questo
motivo dobbiamo lavorare per
costruire un futuro fatto di integrazione e non di contrapposizione».
Fondamentale quindi il recupero della sussidiarietà circolare tipica delle Confraternite,
facendo agire la comunità formata dagli enti pubblici, dalle
imprese, dalle organizzazioni
della società civile, dai singoli,
che può favorire il passaggio
dal welfare state alla welfare
society e garantire un salto di
qualità nella rigenerazione delle risorse, non solo umane e
sociali, ma anche economiche.
«I doveri associati ai diritti possono essere una nuova frontiera verso cui incamminarsi di
nuovo oggi, rigenerando la positiva esperienza delle Confraternite, perchè welfare non significa assistenza, ma promozione di salute (in sanità) e
promozione di socialità (nel
sociale)».
Per favorire questo percorso
è necessario che la valorizzazione del patrimonio culturale
ecclesiastico avvenga in maniera integrata, superando la
semplice conservazione fisica
dei beni e la valorizzazione in
chiave turistica delle opere
d’arte in essi contenute… «Il
nuovo approccio portato avanti dal progetto “Città e Cattedrali” (www.cittaecattedrali.it) –
spiega don Popolla – si concentra sul coinvolgimento della comunità locale in tutte le fasi del percorso: prendersi cura
del patrimonio oggi significa investire nel capitale culturale e
sociale di un territorio, promuovendone la rigenerazione,
altrimenti la sua trasmissione
alla prossima generazione sarà impossibile».
Infatti i beni ecclesiali sono
diventati parte fondante di progetti di integrazione, come
quello con Recosol (Rete comuni solidali) che promuove il
dialogo tra comunità di valle e
migranti, che coinvolge i giovani delle scuole superiori, oppure come la partecipazione al
bando In Itiner@ della Compagnia SanPaolo per la valorizzazione del patrimonio monumentale mirando nel contempo a trasmettere i valori culturali dei luoghi coinvolti tramite
l’integrazione di giovani e migranti.
«In sintesi, l’idea è quella di
attivare percorsi virtuosi che
permettano al patrimonio culturale ecclesiastico di tornare
ad essere un incubatore di
creatività e innovazione sociale. La valorizzazione di questo
patrimonio diventa occasione
di promozione della diversità e
di dialogo interculturale, rafforzando il senso di appartenenza ad una comunità, favorendo una comprensione e un rispetto maggiori tra i popoli,
contribuendo a ridurre le disparità sociali, agevolando l’inclusione sociale, promuovendo il dialogo intergenerazionale».
Sembra che le parole di papa Francesco abbiano lasciato il segno… «Questa è
un’operazione sensibile che
recupera la funzione “sociale”
e “umana” del patrimonio culturale ecclesiastico, arricchendo di significato, di senso e di
utilità la bellezza contenuta
nelle chiese e nei musei d’arte
sacra, a partire dalle tante
opere che raccontano “storie
di umanità”: tele e sculture raffiguranti genti in fuga da guerre e miserie che trovano riparo
sotto ampi veli accoglienti, il
perdono in un abbraccio, ferite
curate, il gelo della morte rischiarato dai raggi di luce…».
Per fare ciò è fondamentale
l’aiuto economico di enti e fondazioni, ma soprattutto del
contributo dell’8 per mille, che
in questo caso diventa un vero
e proprio investimento sul futuro.
«La scelta di legare il tema
giubilare della misericordia al
patrimonio culturale ecclesiastico, nella regione delle vie
francigene, dei “santi sociali” e
delle Confraternite, permette di
ripercorrere l’attualità di esperienze dove le persone riunite
attorno a luoghi sacri, cultura e
impegno sociale, possono generare comunità aperte e solidali, capaci di ridare senso alle vite di tante persone e dare
significato a una cittadinanza
più matura».