Agosto 15, 2020

Storia del sito: Il nome Ranverso

Storia del sito: Il nome Ranverso

Storia del sito:
Il nome Ranverso deriva dalla fusione di due parole, “rio inverso” (ruscello all’inverso, cioè a nord, all’ombra, contrapposto a indritto, a sud, al sole).
Il complesso di Sant’Antonio di Ranverso come si presenta attualmente si è venuto formando nel corso dei secoli; esso comprende, oltre alla chiesa, anche l’ospedale, il convento, alcuni mulini e le cascine in cui risiedevano i fittavoli che coltivavano i terreni appartenenti alla Precettoria. Sant’Antonio di Ranverso era una Precettoria, cioè una fondazione dipendente dalla casa madre, la chiesa abbaziale di Saint-Antoine-du-Viennois.
La sua economia si fondava sui proventi delle terre coltivate e dei pascoli; i possedimenti, la cui origine sta in una donazione agli Antoniani da parte del beato Umberto III conte di Savoia, andarono ampliandosi con gli anni grazie ad acquisti, lasciti testamentari e donazioni, tanto che S. Antonio di Ranverso divenne una potenza economica, anche se non paragonabile alla vicina Sacra di San Michele, che vantava dipendenze, oltre che in Italia, anche in Francia e in Spagna.
La chiesa venne fondata in prossimità della via Francigena che, giungendo da Rivoli, passava sotto le mura del complesso religioso per poi dirigersi verso Avigliana; essa, attraverso la Val di Susa e i passi del Moncenisio e del Monginevro, collegava la Francia con la pianura padana e, passando per l’Italia centrale, con Roma. La scelta della località è stata determinata dagli scopi che il complesso religioso si prefiggeva: l’accoglienza ai viaggiatori e ai pellegrini che percorrevano la via Francigena, e in particolare la cura dei malati, testimoniata dalla presenza dell’ospedale. La malattia che si curava in modo specifico era l’ergotismo, detto anche fuoco di Sant’Antonio; questo spiega perché Umberto III di Savoia, fondatore della Precettoria, abbia chiamato a risiedervi gli Antoniani, appartenenti ad un ordine ospedaliero fondato in Francia nel 1095 da un nobiluomo francese, il cui figlio era stato guarito da questa malattia. Gli Antoniani si occupavano particolarmente della cura di questo morbo (che si manifesta come un’infezione cutanea), molto diffuso tra i poveri per motivi dovuti alla loro alimentazione: il fuoco di Sant’Antonio infatti era provocato soprattutto dall’ingestione di segale cornuta (veniva così chiamata la segale contaminata da un fungo, nella quale si sviluppava un alcaloide che provocava l’infezione). Gli Antoniani in origine erano infermieri e frati laici; solo nel 1297 divennero ordine di canonici, aderendo alla regola di Sant’Agostino. La sede dell’ordine antoniano era in Francia, a La Motte St. Didier (ora Bourg St. Antoine) in Delfinato, dove nel 1080 le reliquie di sant’Antonio erano state trasportate da Costantinopoli.
Gli Antoniani usavano il grasso di maiale come emolliente per le piaghe provocate dalla malattia e per questo motivo erano stati autorizzati dal papato ad allevare maiali nei loro possedimenti: questo giustifica la raffigurazione di questi animali in uno degli affreschi all’interno della chiesa. La particolare natura del male curato (il fuoco, cioè un’infiammazione che colpisce i gangli delle radici nervose spinali), e le sue conseguenze (la cancrena con la frequente amputazione degli arti inferiori) spiegano il ricorrere negli affreschi di una fiamma stilizzata e di una ‘tau’, la lettera greca τ, simbolo che è stato adottato dagli Antoniani perché, oltre a ricordare la croce, rappresenta la stampella usata dagli ammalati; inoltre la ‘tau’ allude alla parola thauma, che in greco antico significava “prodigio”. Accanto a questi due simboli compare anche una campanella, con la quale gli Antoniani annunciavano il loro arrivo durante gli spostamenti.

Descrizione del sito:
La chiesa, inizialmente costruita in stile romanico, in seguito alle trasformazioni subite ha assunto forme gotiche, che culminano nel gotico tardo dell’ultimo intervento. La facciata attuale, che risale al XV secolo, è a capanna e presenta tre portali con archi a sesto acuto a cui si sovrappongono le ghimberghe, sormontate da un pinnacolo. La ghimberga centrale non è in asse con la facciata, ma spostata verso la destra di chi guarda, in modo tale da non coprire completamente il rosone, testimoniando così che le ghimberghe costituiscono un’aggiunta posteriore; esse risalgono infatti all’ultima grande sistemazione della chiesa, avvenuta per opera di Jean de Montchenu, cellerario (cioè amministratore) della Precettoria (abbazia) dal 1470 al 1497 (un suo omonimo aveva rivestito la medesima carica dal 1430 al 1458). Ai lati della ghimberga centrale si aprono due finestre monofore, situate in corrispondenza del cosiddetto coro d’inverno dei monaci, soprastante il nartece. La facciata è abbellita e movimentata da una ricca decorazione in terracotta, fatta mettere in opera dallo stesso Jean de Montchenu, che fece apporre il suo stemma (un’aquila) all’interno della ghimberga centrale. Questo tipo di decorazione rappresenta la fusione di creazione artistica ed esecuzione artigianale: infatti gli elementi decorativi ideati dall’artista (foglie, rami, frutti, fiori, serie di archetti…) venivano riprodotti in formelle tramite stampi, che consentivano di ripetere innumerevoli volte i motivi ornamentali. A Sant’Antonio di Ranverso sono state così create cornici per ornare i portali, le ghimberghe, le finestre, il rosone della facciata, ma anche i coronamenti del tetto, i pinnacoli, i fianchi della chiesa, l’abside, il campanile. La facciata presenta inoltre una decorazione dipinta a motivi geometrici, eseguita agli inizi del XVI secolo; essa è stata ripristinata nel corso del recente restauro, che ha recuperato anche le due ‘tau’ affrescate al di sopra delle monofore. L’abside poligonale, risalente all’ultima sistemazione della chiesa, è rinforzata da alti contrafforti, che sono sormontati da pinnacoli.

I tre portali della facciata danno accesso a un portico o nartece, eretto intorno alla metà del XIV secolo. Esso è coperto con volte a crociera, la mediana delle quali è decorata con affreschi cinquecenteschi; la scena più facilmente leggibile rappresenta la nave che trasporta da Costantinopoli alle coste francesi il corpo di sant’Antonio, che sarà poi sepolto nella chiesa di La Motte St. Didier in Delfinato. Le volte sono sostenute da pilastri con capitelli e da mensole, tutti realizzati in pietra verde, che crea un contrasto cromatico con il rosso delle strutture in cotto; sia i capitelli sia le mensole, scolpiti da un anonimo artista piemontese intorno al 1350, sono ornati con teste umane, animali e mostri, secondo l’usanza diffusa nel Medioevo. Dal portico si accede alla chiesa, oltre che da una piccola porta laterale che dà nel chiostro, da tre portali; nella lunetta del portale centrale si trova un affresco risalente alla fine del XV secolo, che raffigura una Madonna con Bambino tra S. Giovanni Evangelista e un altro Santo, con angeli sullo sfondo.

All’inizio della strada che si diparte davanti alla chiesa, sulla destra si trova la facciata dell’ospedale, che è tutto quanto resta dell’edificio, costruito alla fine del XV secolo, in cui gli Antoniani ospitavano e curavano i malati. Essa ha la forma a capanna, con un portale centrale con arco a sesto acuto e ornato da un’alta ghimberga, una porta a destra e una finestra a sinistra, anch’esse con arco a sesto acuto. La facciata presenta una ricca decorazione in cotto, estesa anche ai pinnacoli che si ergono sul coronamento. Alla parte interna della facciata agli inizi del XX secolo è stato addossato un rustico, mentre nel luogo in cui era situato il fabbricato dell’ospedale, nei primi decenni del XVIII secolo è stata costruita una cascina; al di sopra delle finestre del primo piano di questo edificio è dipinta la lettera ‘tau’, mentre a un’estremità si trova un orologio solare con la scritta Sine sole sileo (senza il sole taccio).

rilevatore Ersilio Teifreto

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