Agosto 9, 2021

Rapetti Mariangela

Rapetti Mariangela

Prefazione
I canonici ospedalieri di S. Antonio di Vienne, nel corso del Tardo Medioevo, si
diffusero in tutta Europa. Il loro epicentro era, inizialmente, una piccola chiesa nel
Delfinato – nel SE della Francia – sede delle spoglie del santo egiziano traslate in
Occidente verso la fine dell’XI secolo. Con il passare degli anni, forti del favore
pontificio, e arricchitisi grazie a importanti lasciti da parte dei fedeli, i canonici
erano riusciti a edificare una grandiosa abbazia. Diffondendo il culto per il santo
patrono, la paura della sua vendetta e il potere taumaturgico delle sue reliquie, essi
raccoglievano ricchezze nelle varie località e le recapitavano periodicamente
all’abate generale e al Grande Ospedale, che aveva sede presso l’abbazia di SaintAntoine, nel Dipartimento dell’Isère.
A partire dal XIII secolo molti vescovi e sovrani donarono ai canonici i loro ospedali:
la gestione degli stessi e il potere taumaturgico attribuito alle reliquie di sant’Antonio
si combinarono con il dilagare di diverse malattie cancrenose (ergotismo, erisipela
etc.), che avevano come comuni segni clinici evidenti il colore nero della pelle e la sua
totale insensibilità. Queste malattie vennero riconosciute universalmente come il
‘Fuoco di sant’Antonio’ che, secondo gli stessi medici, poteva essere curato solo dai
canonici del Delfinato.
La fama degli antoniani, però, non fu senza macchia: essi dovettero in più occasioni
combattere tanto contro gli usurpatori e le critiche di avidità, quanto contro la
cattiva condotta di molti confratelli. Devastato dal Grande Scisma d’Occidente, un
secolo dopo l’ordine subì un durissimo colpo a causa delle guerre di religione. Le
precettorie più lontane si staccarono e si resero indipendenti, riducendo
notevolemente il numero delle case affiliate e, di conseguenza, delle rendite.
Alla fine del Settecento si avviarono le trattative con l’ordine di Malta in previsione di
una fusione che, di fatto, sancì la fine dell’ordine di S. Antonio e la dispersione dei
suoi beni e dei suoi archivi, già in gran parte depauperati a seguito di calamità e
saccheggi.
La documentazione seguì la sorte delle ultime case, trovando collocazione in più
istituti di conservazione – pubblici, religiosi e privati – che oggi consentono lo studio
e la ricostruzione del passaggio dei canonici nelle varie località europee. Tuttavia,
la ricerca su queste fonti si fa complessa, talvolta scoraggiante, in ragione delle
numerose lacune.
Forse fu proprio questa frammentarietà delle fonti ad allontanare gli studiosi da un
tentativo di approfondimento storico sulla presenza antoniana in Sardegna, sulla
quale Mariangela Rapetti ha, invece, focalizzato il suo interesse negli ultimi anni1
.
1 Il presente volume nasce dall’aggiornamento e dal completamento della ricerca condotta
dall’autrice nell’ambito del Dottorato di ricerca in “Fonti scritte per la civiltà mediterranea” afferente
al Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio dell’Università di Cagliari; cfr. M. Rapetti, I
Canonici ospedalieri di S. Antonio di Vienne e la Sardegna, Università degli Studi di Cagliari,
8
Nel 1981, Bruno Anatra scriveva che nella metà del XV secolo gli ospedalieri
antoniani di Vienne ripresero possesso delle loro antiche strutture cagliaritane, da
tempo vacanti, ma che «cosa fosse successo prima e a quando risalga il loro primo
insediamento sul posto non è tuttora chiaro»2
. Eppure, già il Vico, nel XVII secolo,
aveva localizzato alcune sedi antoniane nell’isola3
.
Obiettivo del presente lavoro era la ricostruzione di un corpus documentario relativo
alla presenza antoniana in Sardegna e ai rapporti tra l’isola e il vertice dell’ordine
canonicale. Una prima indagine sullo status quaestionis aveva, infatti, messo in
evidenza un discreto numero di errori storiografici e interpretativi delle fonti, tanto da
parte degli studiosi di storia antoniana, quanto da parte degli storici della Sardegna.
La ricerca sulle fonti si è rivelata lunga e tortuosa a causa della loro dispersione o
inaccessibilità, eppure l’autrice, partendo dagli antichi archivi antoniani, ha saputo
– sapientemente – ricostruire il percorso dei documenti dal soggetto produttore al
soggetto conservatore, recuperando attestazioni della presenza (o assenza)
antoniana nell’isola attraverso una lunga e complessa ricerca presso numerosi
Istituti di conservazione dislocati tra Francia (Marsiglia, Lione e Grenoble),
Sardegna (Archivio di Stato e Archivio Storico comunale di Cagliari, Archivio
Storico comunale di Iglesias, Archivio Storico Diocesano di Cagliari e di Sassari),
Penisola italiana (Archivi di Stato di Firenze e Torino, Archivio Storico dell’ordine
Mauriziano di Torino) e Catalogna (Archivo de la Corona de Aragón di Barcellona).
Dei documenti individuati, cinquantanove in tutto, la maggior parte dei quali inediti,
è stata curata l’edizione diplomatica – corredata di regesto, descrizione, indici
onomastico e toponomastico – riportata in appendice al presente lavoro. Si tratta di
una ‘raccolta’ eterogenea, nella quale confluiscono procure, benefici, testamenti,
statuti, donazioni, lettere, atti di processo provenienti da cancellerie diverse (quella
antoniana, quella pontificia, quella aragonose e così via) e rispondenti, dunque, a
regole diverse, ad esempio nell’intitulatio e nella datatio, oltre che nei caratteri
estrinsici quali supporto scrittorio, lingua e scrittura. In alcuni casi, purtroppo, il
cattivo stato di conservazione non ha consentito una chiara lettura dei dispositivi
contenuti.
Sulla base delle fonti, e della ricca bibliografia esaminata, Mariangela Rapetti ha
saputo ricostruire l’attività antoniana nell’isola: contro le iniziali aspettative, la
presenza dei canonici in Sardegna poco ha avuto a che vedere con l’assistenza e
molto, invece, con la gestione economica dell’intero ordine. Questa attività è stata

Dottorato in “Fonti scritte della civiltà mediterranea”, ciclo XXVII, a.a. 2013-2014. Per una prima
sintesi sul tema cfr., inoltre, Ead., Nuovi documenti sulla presenza dell’ordine di S. Antonio di Vienne
nel Mediterraneo Medioevale, «Studi e Ricerche» VII (2014), p. 95-107, e Ead., Fonti per la storia
degli ospedali medievali: i canonici antoniani in Sardegna, in R. Lusci, M. Rapetti, Gli archivi di
ospedale e l’ospedale negli archivi. Un contributo al censimento delle fonti sanitarie, in «Archivi»
XI/1 (gen.- giu. 2016), p. 115-136, p. 126-136. 2 B. Anatra, Ospedalità in Sardegna tra basso medioevo e prima età moderna, «Quaderni
dell’Istituto di studi storici della Facoltà di Magistero», I (1981), p. 3-14, p. 3. 3 F. Vico, Historia general de la isla, y reyno de Sardeña. Dividida en siete partes. Dirigida
a la catolicissima magestad del rey N.S.D. Felipe Quarto e l Grande, por Lorenço Déu, Barcelona,
1639, I, cap. XIV, ff. 61-62; VI, cap. VII, f. 31v., cap. XXIV, f. 75v., cap. XXXVI, f. 80 e cap.
LXXIX, f. 107.
9
gestita interamente attraverso disposizioni provenienti dai vertici dell’ordine,
allontanando la Sardegna, almeno sotto questo aspetto, dall’orbita iberica.
L’autrice ha inoltre portato avanti una riflessione sui vuoti documentari che, alla
luce della storia dell’ordine e della storia sarda, ha consentito di giustificare
l’assenza delle fonti. Questa, infatti, non deve essere vista tanto come ‘periodo buio’
della nostra storia quanto come vero e proprio momento di frattura delle
comunicazioni tra l’isola e l’ordine a causa di importanti e talvolta devastanti
avvenimenti che interessavano la casa madre.
La ricerca sulle fonti relative alla Sardegna, congiuntamente all’analisi di alcuni
studi sull’ordine antoniano pubblicati negli ultimi anni, ha consentito, ancora, di
sfatare alcuni miti storiografici, tra i quali quello più diffuso: la marginalità della
microstoria sarda rispetto alla macrostoria europea. Seppur lontana, seppur – a
detta di qualcuno – sconosciuta ai canonici del capitolo generale, la Sardegna non
solo ha ruotato intorno all’orbita antoniana per tre secoli, ma ha fatto parte
integrante di un sistema che ha costruito quello che è, oggi, lo splendido borgo di
Saint-Antoine-l’Abbaye, nell’Isère.
Nel rimandare per il dettaglio alle pagine che seguono, ma volendo anticipare alcuni
dei risultati dell’indagine condotta con perizia e maturità dall’autrice, è possibile
oggi ipotizzare che gli antoniani, imbarcatisi da Marsiglia verso il 1285, potrebbero
aver raggiunto uno dei porti della costa occidentale sarda, forse Palmas, forse
Alghero, ed essersi spostati da una località all’altra seguendo l’antica via che,
passando per Villa di Chiesa e Oristano, collegava il sud al nord dell’isola. Lungo il
loro percorso avrebbero raccolto le donazioni elargite dalla popolazione e cercato
la protezione di qualche autorità. Così sarebbe nata la domus sive praeceptoria
Sardiniae.
Una volta stabilitisi nell’isola – e qui usciamo dal campo delle ipotesi per
addentrarci nelle certezze della fonte scritta – i canonici avviarono le loro attività,
secondo le disposizioni degli statuti dell’ordine e i benefici dei papi. Si dedicarono
dunque alla raccolta delle questue e all’allevamento libero dei maiali, acquisendo i
benefici di chiese e ospedali a Oristano (1286), Iglesias (ante 1327), Sassari (ante
1331) e Cagliari (ante 1365), e instaurando rapporti con le autorità locali. La
lontananza dell’isola rispetto a Gap (nel Dipartimento della Drôme) alla cui
precettoria appartenevano anche o possedimenti sardi, fece sì che, quasi dal primo
momento, il precettore generale desse procura ai canonici delle località portuali
(Marsiglia e Pisa) i quali, pagando una quota fissa, portarono avanti le attività.
L’incameramento dei beni, secondo l’obbligazione sottoscritta dal precettore sardo
nel 1322, spettava di diritto alla precettoria di Gap e al vertice dell’ordine.
La prima frattura delle comunicazioni tra l’isola e la Francia avvenne durante il
lungo conflitto tra il sovrano Pietro IV d’Aragona e i giudici d’Arborea – che ha
certamente influito sull’abbandono di alcune strutture –, e soprattutto si è protratta,
salvo qualche rara eccezione, fino al rilancio dell’ordine dopo le insidie interne
causate dal Grande Scisma d’Occidente.
L’attuazione delle riforme antoniane ha dato vita a una ripresa delle comunicazioni
ma soprattutto delle attività di raccolta dei beni da inviare alla casa madre, dove
continuavano i grandi lavori di abbellimento e ingrandimento dell’abbazia e delle
strutture ad essa attigue.
10
È soprattutto nella seconda metà del Quattrocento che l’isola risulta parte
integrante del sistema economico antoniano. In questa fase, i canonici avevano
scelto come centro principale Cagliari, città portuale e dinamica, dalla quale si
spostavano per tutta l’isola alla ricerca di elemosine, probabilmente chiedendo
ospitalità presso le diverse chiese di S. Antonio ubicate nel territorio.
Il loro interesse puramente economico li allontanava, almeno in Sardegna, dalle
prerogative di assistenza che li avevano guidati nei primi secoli: le autorità
cagliaritane, nella loro rivendicazione della struttura ospedaliera di Lapòla, ne
mettevano in luce la condizione decadente e l’amministrazione non attenta alle
necessità del malato.
Partito come uno studio sulla gestione degli ospedali locali, questo lavoro si è
trovato di fronte a una dimensione ben più ampia, si direbbe europea, delle
dinamiche di amministrazione economica e politica di un ordine canonicale potente
ma in perenne crisi, con un centro che necessitava di continue sovvenzioni dalle
periferie per poter andare avanti.
La ricostruzione del corpus documentario, benché difficile in ragione delle numerose
lacune e della dispersione delle fonti, ha infine ribadito come l’integrazione tra più
fondi archivistici sia un’esigenza per la ricerca storica, così come l’analisi delle
piccole realtà non possa prescindere da un inquadramento nella storia universale.

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