IL PATRONO DI RANVERSO Sant’Antonio Abate.
IL PATRONO DI RANVERSO Sant’Antonio Abate.

Il Patrono di Ranverso Sant’Antonio Abate MONACI ANTONIANI | |||||
Sui monaci antoniani I monaci antoniani (così detti dall’anacoreta egiziano Sant’Antonio abate) o, come saranno poi denominati dalla loro base europea di espansione, i CANONICI REGOLARI di Sant’Antonio, arrivarono in Italia da VIENNE nel contesto di una STORIA TANTO ANTICA quanto talora ABBASTANZA CONTROVERSA, procedente dalla tormentata AFFERMAZIONE DEL CRISTIANESIMO TRA LIGURIA E PROVENZA e quindi passata attraverso l’ESPANSIONISMO ISLAMICO E QUINDI L’AFFERMAZIONE DELL’IMPERO TURCO… Alle origini della loro vicenda terrena gli Antoniani gradualmente si espansero dall’area provenzale nel Ponente Ligure (entro il contesto dell’espansionismo monastico pedemontano verso il mare e i tragitti della fede) non solo per dare ricetto a viandanti e pellegrini della Fede nei Luoghi Santi della Cristianità, ma soprattutto col fine (caratterizzato sulla loro veste dalla presenza del celebre TAU) di assistere e soccorrere i malati in particolare di ERGOTISMO E/O DI HERPES ZOSTERS. L’Ordine fiorì in Liguria occidentale: la sua fortuna si sviluppò in modo direttamente proporzionale all’aumento dei traffici in quelle contrade, con una sempre maggior frequenza di individui ” foresti” malati o sospetti di “portar contagio”, temutissimi lebbra e peste. La sua opera assistenziale perdurò fin al XVIII secolo quando ne sopraggiunse la soppressione. Gli “Antoniani” non erano a livello della loro genesi un Ordine cavalleresco religioso organizzato secondo una regola, ma piuttosto una confraternita laica; che venne poi approvata da papa Urbano II nel 1095 e confermata da papa Onorio III con bolla papale nel 1218. L’Ordine ospedaliero dei canonici regolari di S. Agostino di S. Antonio abate di Vienne, detto comunemente degli Antoniani Viennois o di Vienne o, nel regno di Napoli, di Vienna, fu in effetti istituito – con conseguente emancipazione dall’autorità dei Benedettini – solo nel 1297 da papa Bonifacio VIII, con la bolla Ad apostolicae dignitatis, sotto la regola di S. Agostino. Alle origini la confraternita era formata da infermieri e frati laici, che avevano come superiori religiosi i Benedettini dell’abbazia di Montmajeur presso Arles, sottomissione che provocava continui litigi e discussioni, a casusa dell’autorità che questi ultimi esercitavano sugli infermieri e i frati laici “antoniani”. La cura per via di “terre medicamentose” è antichissima e si potrebbe riandare ai tempi dei Romani e dai e dai militarie del medicus castrensis oltre che della letteratura medica di cui potevano avvalersi… Nel Duecento i monaci antoniani ebbero il merito di tentare nuove strade diagnostiche e curative contro queste malattie epidermiche ed oltre ad acque termali ed argille curative si valsero delle proprietà salutari attribuite al grasso della carne di maiale: durante il Medioevo, la tradizione e le discipline mediche del passato vennero riscoperte… specie ad opera degli ordini monastici ed al loro recupero dei testi classici. Sulla direttrice dei movimenti monastici, all’inizio del X secolo, la Scuola Salernitana, la più antica istituzione medievale dell’Occidente europeo per l’esercizio e l’insegnamento della medicina, recuperò parte di quegli antichi e rivisitati insegnamenti. Per esempio nel capitolo IX del Regimen sanitatis o Flos medicinae Salerni si fa cenno alle proprietà nutrienti della carne di maiale attribuendole, nel capitolo XXV, una valenza terapeutica. In effetti in parecchie chiesuole del ponente ligure esistevano un tempo affreschi impressionanti (fatti poi ricoprire dai Parroci) di uomini disperati dal volto suino (quelle immagini eran correlate per alcuni alla tradizionale equivalenza simbologica maiale-demone, mentre a giudizio non trascurabile di altri costituirebbero un ricordo delle grandi affezioni dermatologiche contro cui quei monaci combatterono, acquisendo il diritto di immunità di pedaggio sui pascoli pubblici, pei maiali che allevavano, caratterizzati dal marchio “Tau” tipico del loro Ordine… E presso la canonica di S. Antonio di Ranverso sulla diramazione della via Francigena, che dall’Europa Centrale tramite il Cenisio portava al mare Tirreno, si nota ancora adesso un eccezionale strumento del lavoro terapeutico degli Antoniani, cioè la stadera per la pesa dei maiali dai quali si estraeva il grasso medicamentoso… da Cultura-Barocca Pubblicato da Adriano Maini alle 07:49 Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest Etichette: abate, Antoniani, Antonio, Benedettini, Cultura-Barocca, ergotismo, herpes, Liguria, maiale, monaci, Montmajeur, Provenza, Salernitana, Santo, Scuola, Tau Post più recentePost più vecchioHome page GLI OSOSPEDALIERI ANTONINI ARRIVARONO A RANVERSO Il cronista Flodoard segnalava, nel 945, la presenza di un flagello che il popolo chiamava con vari nomi: male dell’inferno, fuoco sacro, male degli ardenti, fuoco Saint-Antoine. Non siamo mai riusciti veramente a determinare la natura di questo affetto: i disgraziati che ne furono colpiti si sentirono divorati da un fuoco interiore; il membro attaccato diventava secco e nero come se fosse stato bruciato, a volte cadeva in putrefazione, e questa tortura terminava con la morte. Questo flagello er a più diffuso durante l’undicesimo e il dodicesimo secolo. Nel 1129, dice Mézerai, fece quattordicimila vittime a Parigi. Tuttavia, a quel tempo viveva un signore del Delfinato, di nome Gaston; aveva un solo figlio che si ammalò gravemente. Ricorso invano a tutti i rimedi umani, si rivolse al cielo. Si recò in pellegrinaggio a Saint-Didier-la-Mothe, cittadina del Delfinato, dove la gente accorreva per venerare il corpo del patriarca Sant’Antonio, portato lì da Costantinopoli nel 1050 da Jocelin, alto e potente signore.questo paese, e discendente dei conti di Poitiers. Quivi messer Gaston pregò umilmente il santo patriarca di essere tanto buono da ottenere da Dio la salute del figlio suo, e gli promise che, se avesse ricevuto questa grazia, si sarebbero entrambi consacrati, con i loro beni, al sollievo del malati attaccati dal fuoco sacro, e dava ospitalità ai pellegrini che venivano da ogni parte. Sant’Antonio apparve in sogno a questo padre desolato, gli assicurò la guarigione del figlio, gli chiese di mantenere la sua promessa, aggiungendo che lui e la sua famiglia si sarebbero marchiati con un tau (Τ) di colore celeste. . Ritornato alla sua dimora, Gaston trovò suo figlio fuori pericolo, e i due, senza altro indugio che quello necessario per sistemare i loro affari, si recarono nel villaggio di Saint-Didier-la-Mothe dove, dedicandosi i loro beni e le loro persone al servizio dei poveri, costruirono un ospedale vicino alla chiesa dedicata a Sant’Antonio. Fu il 28 giugno 1095 che Gaston e suo figlio Guérin, per mantenere la loro promessa, lasciarono i loro abiti mondani per indossare umili abiti neri contrassegnati da un tau blu, e che indossarono smaltati alla maniera dei cavalieri , costume che rimase quello dei membri dell’ordine. Ben presto si unirono a loro altre sei persone, tra cui Aymar Falcon, che ha fatto la storia di questo ordine, espresso da questo distico: Gastonis voto, Societatis Fratribus octo Ordo est hic cœptus, ad pietatis opus. Vai alla ricerca Vai alla navigazione L’imperatore Massimiliano I , in segno della sua considerazione per l’ordine, gli diede come armi, nel 1502, quelle dell’Impero, un’aquila mostrata di zibellino, becco, membro e diadema rosso, timbrata con una tiara imperiale O, e sul ventre uno stemma O a un tau Azzurro. Pensarono quindi di unirsi a quella di Malta, che aveva una reale somiglianza vocazionale con la loro. L’unione fu acconsentita dai due ordini, il re la sanzionò con lettere patenti, e il sovrano pontefice Pio VI, con due bolle datate 17 dicembre 1776 e 7 maggio 1777. Gli Antonini, è vero, non tardarono a pentirsi di questa unione; fecero dei tentativi con il clero per ottenere di essere restaurati nel loro antico stato. Monsignor du Lau, arcivescovo di Arles, si fece, nell’assemblea del clero del 1780, loro eloquente difensore, ma, nonostante i favorevoli sentimenti di Luigi XVI, non poté ottenere nulla. La presenza degli Antoniani in Piemonte è attestata intorno all’anno 1186 nella città di Susa, e successivamente a Ranverso, ove si insediarono in un complesso già esistente. Placido Bacco13, fanno risalire la nascita del nucleo originario al conte Umberto III di Savoia intorno all’anno 1098. Con un atto datato 27 giugno 1188, [3] il beato Umberto III di Savoia donò ai frati di Sant’Antonio e agli infermi (Deo et Sancto Antonio et fratribus et infirmis) di Ranverso un mulino nonché terreni e boschi circostanti ad calefaciendum et construendum (latino, trad. per fondare e costruire). All’epoca della donazione, l’ospedale doveva quindi già esistere, poiché nell’atto sopracitato si legge che la stessa viene fatta anche infirmis, cioè ai malati), ma senza una struttura giuridica consolidata e senza una propria chiesa. Solo in misura parziale gli studiosi concordano sulla data della fondazione di Ranverso. Alcuni, e tra di loro Placido Bacco13, fanno risalire la nascita del nucleo originario al conte Umberto III di Savoia intorno all’anno 1098. Siamo negli anni in cui in questa zona, tra Avigliana e Rivoli, imperversa un’epidemia di “fuoco sacro” ed è verosimile la storia che vede una marchesa di Avigliana impegnata a chiedere al marito, di recente tornato da una crociata, di intercedere presso il gran Maestro dell’Ordine, Gastone dei Gastoni, per ottenere l’invio di frati infermieri Antoniani per fondare un Ospedale che alleviasse le sofferenze della popolazione residente, in grandissima parte formata da poveri e miserabili contadini. Per la realizzazione venne scelta una regione detta Rivus inversus, perché in tale luogo scorreva un rio denominato Rio Inverso, dal termine piemontese “invers”, che equivale a dire situato a nord, così come il complesso degli 12 Essenziali rimangono gli studi di Italo Ruffino, vedere bibliografia. 13 Placido Bacco, Cenni storici su Avigliana e Susa, Susa, tip. Gatti, 1881. Sant’Antonio di Ranverso. CON BOLLA PAPALE DEL 1776 I BENI DEGLI ANTONIANI DI RANVERSO CON DIVERSI VINCOLI VENNERO AFFIDATI ALL’ORDINE DEI S.S MAURIZIO E LAZZARO. 24 OTTOBRE 1777 Regio Viglietto, nel quale S.M. comunicando al Consiglio Mauriziano il suo pensiero e quello del Deputato dell’Ordine di Malta, relativo all’approvvigionamento degli alimenti riservati dall’art. 7 della Convenzione inserita nella su accennata Bolla d’unione del 17 dicembre 1776, agli ex Padri Antoniani dimoranti nello Stato ed in Francia, dichiara l’ammontare dell’assegno convenuto, il riparto e il modo di pagamento delle pensioni ai medesimi. Inoltre gli commette di uniformarsi e di far continuare il Divin Culto nella chiesa di Sant’Antonio di Torino (Ranverso) con la doverosa degenza. 1° DICEMBRE 1777 Lettere del Consiglio Mauriziano con le quali, ai sensi dell’annessa domanda del Patrimoniale generale, inibisce a chiunque di recare qualsiasi pregiudizio ai Boschi e Beni delle Tenute di Sant’Antonio di Ranverso; introdurre passaggi indebiti, usurpare le acque o deviarne il corso e far pascolare bestiame sugli stessi, salvo i diritti riservati ai Particolari di Rivoli, Rosta e Buttigliera dalle Transazioni 18 settembre 1772, 28 dicembre 1728, e dall’Ordinanza Senatoriale 28 aprile 1732. ORIGINE DELL’ORDINE DEI SANTISSIMI MAURIZIO E LAZZARO CUSTODI DELL’ABBAZIA La fondazione dell’Ordine risale al 1434 per opera del duca Amedeo VIII di Savoia; gli adepti si proponevano di rinunciare alla vita mondana e di vivere nell’esercizio delle virtù. Nel 1572 una bolla papale sancì l’unione dell’Ordine di S. Maurizio con l’Ordine ospedaliero di S. Lazzaro, risalente ai tempi delle Crociate, che possedeva numerosi ospedali per i lebbrosi. L’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro ebbe, tra i suoi scopi, quello di esercitare l’assistenza ospedaliera e di riunire in una sorta di congregazione le persone più insigni, alle quali attribuire adeguate ricompense. Già nel 1573 il duca Emanuele Filiberto di Savoia fondò a Torino il primo Ospedale Mauriziano e costituì la prima dotazione dell’Ordine, assegnandogli alcuni possedimenti, fra cui la tenuta di Stupinigi. Nei secoli successivi vennero aggiunte altre proprietà, tra cui l’abbazia di Staffarda, i beni degli Antoniani di Ranverso e la Prevostura del Gran S. Bernardo. L’Ordine inoltre fondò ospedali a Lanzo, ad Aosta, a Valenza, e si diede una sede religiosa nella Basilica di Santa Croce a Torino. La Fondazione Ordine Mauriziano esercita attualmente l’attività di ente ospedaliero, unitamente a compiti in materia di beneficenza, istruzione e culto. Particolarmente significativa è la partecipazione alla gestione dell’Istituto per la ricerca e cura del cancro di Candiolo. L’Ordine Mauriziano con Legge del 21 gennaio 2005, n. 4, è diventato Fondazione Ordine Mauriziano =FOM. La facciata è tutto quanto resta dell’edificio, costruito alla fine del XV secolo, in cui gli Antoniani ospitavano e curavano i malati, e tra questi soprattutto coloro che erano colpiti dal cosiddetto fuoco di S. Antonio (herpes zoster). Essa ha una forma a capanna, con un portale centrale con arco a sesto acuto e ornato da un’alta ghimberga, una porta a destra e una finestra a sinistra, anch’esse con arco a sesto acuto. La facciata presenta una ricca decorazione in cotto, estesa anche ai pinnacoli che si ergono sul coronamento. Alla parte interna della facciata agli inizi del XX secolo è stato addossato un rustico, mentre nel luogo in cui era situato il fabbricato dell’ospedale è stata costruita una cascina nei primi decenni del XVIII secolo.LA CHIESA La chiesa, inizialmente costruita in stile romanico, in seguito alle trasformazioni subite nel corso di tre secoli ha assunto forme gotiche. La facciata attuale, che risale alla metà del XIV secolo, presenta tre portali con archi a sesto acuto, a cui si sovrappongono le ghimberghe (la ghimberga è un frontone triangolare proprio dello stile gotico), sormontate da un pinnacolo. La ghimberga centrale non è in asse con la facciata, ma spostata verso la destra di chi guarda, in modo tale da non coprire completamente il rosone, testimoniando così che le ghimberghe costituiscono un’aggiunta posteriore; esse risalgono infatti alla grande sistemazione della chiesa, avvenuta alla fine del XV secolo. Ai lati della ghimberga centrale si aprono due finestre monofore. La facciata è abbellita e movimentata da una ricca decorazione in terracotta. Questo tipo di decorazione rappresenta la fusione di creazione artistica ed esecuzione artigianale: infatti gli elementi decorativi ideati dall’artista (foglie, rami, frutti, fiori, serie di archetti…) venivano riprodotti in formelle tramite stampi, che consentivano di ripetere innumerevoli volte i motivi ornamentali. A S. Antonio di Ranverso sono state così create comici per ornare i portali, le ghimberghe, le finestre, il rosone, ma anche i coronamenti del tetto, i pinnacoli, i fianchi della chiesa, l’abside, il campanile. La facciata presenta inoltre una decorazione dipinta a motivi geometrici, eseguita agli inizi del XVI secolo. L’abside poligonale, risalente alla fine deli XV secolo, è percorsa da alti contrafforti. I tre portali della tacciata danno accesso a un portico, eretto intorno alla metà dei XIV secolo. Esso è coperto con volte a crociera, la mediana delle quali è decorata con affreschi cinquecenteschi; la scena più facilmente leggibile rappresenta la nave che trasporta da Costantinopoli alle coste francesi il corpo di S. Antonio Abate, che sarà poi sepolto nella chiesa della cittadina di La Motte St. Didier in Delfinato. Le volte sono sostenute da pilastri con capitelli e da mensole, tutti realizzati in pietra verde, che crea un contrasto cromatico con il rosso delle strutture in cotto; sia i capitelli sia le mensole, scolpiti da un anonimo artista piemontese intorno al 1280, sono ornati con teste umane, animali e mostri, secondo l’usanza diffusa nel Medioevo. Dal portico si accede alla chiesa attraverso tre portali; nella lunetta del portale centrale si trova un affresco risalente alla fine del XV secolo, che raffigura una Madonna con Bambino tra S. Giovanni Evangelista e un altro Santo.IL CAMPANILE Il campanile di stile gotico, che si innalza sul fianco sinistro della chiesa e risale alla seconda metà del XIV secolo, è stato costruito su quello primitivo, molto più basso. Esso è suddiviso in cinque piani, dei quali il terzo presenta finestre bifore sui lati Nord e Ovest, e due orologi sui lati Est e Sud, mentre al quarto e al quinto piano si apre una bifora su ogni lato. Il campanile culmina con quattro pinnacoli angolari, in mezzo ai quali si innalza una cuspide ottagonale .IL CHIOSTRO AI fianco meridionale della chiesa è addossato un piccolo chiostro, di cui rimane solo un lato; è stato costruito nel corso dell’ intervento architettonico risalente alla fine del XV secolo. Esso è coperto da volte a crociera e si apre sul giardino con archi sostenuti da massicci pilastri in mattoni, a cui sono addossate semicolonne, anch’esse in mattoni. A sinistra dell’ingresso al chiostro una scala conduce al coro d’inverno dei monaci, attualmente non visitabile. Esso è costruito al di sopra del portico esterno ed è illuminato dalle due finestre monofore che sulla facciata della chiesa fiancheggiano la ghimberga centrale.L’INTERNO DELLA CHIESA L’interno è a tre navate divise da pilastri, che sostengono archi a sesto acuto e volte a crociera. L’impressione di asimmetria e irregolarità che esso suscita trova la sua spiegazione nelle diverse fasi costruttive, che nel corso di circa tre secoli hanno attribuito a S. Antonio di Ranverso il suo aspetto odierno. La chiesa primitiva, iniziata tra ii 1180 e ii 1185, era costituta da una sola navata con un’abside semicircolare. Queste ridotte dimensioni presto però non furono più sufficienti, dato l’accresciuto prestigio e potere della Precettoria; si ebbe così già nel XIII secolo un primo intervento, con la trasformazione dell’abside in un presbiterio a pianta quadrata. Nel corso del XIV secolo venne attuato un imponente piano di ampliamento della chiesa: vennero costruite le cappelle del lato settentrionale; venne edificato un nuovo presbiterio più grande del precedente coperto da una volta a crociera; fu costruita la cappella ora adibita a sacrestia (in origine forse cappella funeraria od oratorio destinato ai pellegrini); la navata centrale ricevette una copertura con volte a crociera impostate su pilastri; infine venne eretta la navata meridionale. Durante il XV secolo fu aggiunto il coro d’inverno dei monaci al di sopra del portico esterno. Nel corso degli ultimi interventi, che risalgono alla fine del XV secolo, venne c ostruita l’abside poligonale e rifatta la volta del presbiterio.GIACOMO JAQUERIO La vita e l’attività di Giacomo Jaquerio sono state ricostruite quasi esclusivamente grazie ai numerosi documenti pervenutici che testimoniano i suoi interventi di artista, mentre ci è giunta solo un’opera autografa, e cioè il ciclo di affreschi del presbiterio di S. Antonio di Ranverso. Egli nacque intorno al 1375 a Torino in una famiglia di artisti e operò tra il 1400 circa e il 1453. Era un artista itinerante: iniziò la sua carriera a Ginevra intorno al 1400, operò poi a Torino e divenne pittore di corte degli Acaia a Pinerolo; dal 1418 si pose al servizio di Amedeo VIII, per il quale lavorò come pittore di corte in Svizzera e in Piemonte; risiedette poi stabilmente a Torino a partire dal 1429, e qui morì nel 1453. La formazione e l’attività di Jaquerio devono molto all’atmosfera culturale e politica creata dal duca Amedeo VIII, il principale committente del pittore torinese. Jaquerio poté così approfittare di un ambiente culturale favorevole agli scambi e ai contributi di diversa provenienza, grazie alle personali aperture culturali del duca e alla collocazione geografica dello stato sabaudo, che controllava passi importanti delle Alpi occidentali. Egli non solo favorì la diffusione nel territorio piemontese di uno stile che guardava più al gotico d’oltralpe che all’arte italiana, ma in alcune opere (la “Processione degli offerenti” sulla parete meridionale del presbiterio e la “Salita al Calvario”) introdusse una componente realistica, contribuendo così a rinnovare la pittura del suo tempo.GLI AFFRESCHI DELLA NAVATA CENTRALE E DELLE PRIME DUE CAPPELLE DELLA NAVATA SINISTRA Nel lato sinistro della navata centrale, sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella, un affresco quattrocentesco raffigura la Madonna con il Bambino tra S. Bernardino da Siena e S. Antonio Abate, il quale presenta una donna inginocchiata; al di sotto vi sono alcuni affreschi duecenteschi: una Natività, i Santi Pietro e Paolo con il Cristo benedicente, la cui figura è stata tagliata in seguito all’apertura dell’arcone. Sopra l’arco che segue la base del campanile si trovano un altro Cristo benedicente fra i simboli degli Evangelisti, e sei Apostoli, affreschi molto deperiti risalenti agli inizi del XIV secolo. Nella prima cappella della navata sinistra sono affrescati episodi della leggenda della Maddalena, risalenti al 1395 ed eseguiti molto probabilmente da Pietro da Milano, autore, insieme ai suoi discepoli, della decorazione tardo trecentesca della Precettoria; sulla parete di fondo è dipinta una Crocifissione. Nella seconda cappella della navata sinistra (così come nella prima e nell’ultima) rimangono tracce della decorazione tardo-trecentesca consistente in un velarioo ricamato.IL POLITTICO DELL’ALTARE MAGGIORE E LA STATUA DI SANT. ANTONIO L’autore di questo dipinto è Defendente Ferrari, pittore chivassese di cui è nota l’attività tra il 1497 e il 1531. Egli lo eseguì su commissione degli abitanti di Moncalieri, che nel 1531 lo offrirono alla Precettoria come ringraziamento per essere stati liberati dalla peste. All’interno della cornice architettonica in legno dorato sono rappresentati nello scomparto centrale la Natività, a sinistra S. Antonio Abate e a destra S. Rocco, in alto a sinistra S. Sebastiano e a destra S. Bernardino da Siena; nella predella sono illustrati sette episodi della vita di S. Antonio. Sulle ante laterali, entro le quali il polittico può essere chiuso, sono raffigurate all’esterno alcune scene tratte dal Vangelo, e sulla parte interna figure di Santi; in particolare nel riquadro superiore destro compare S. Antonio Abate che visita S. Paolo Eremita. Il dipinto rappresenta il superamento del gotico, evidente particolarmente nella volumetria delle figure e nella resa prospettica, ormai pienamente rinascimentali. La Precettoria è il complesso costituito dalla chiesa, il convento, le cascine e l’ospedale; dipendeva dalla casa madre degli Antoniani, la chiesa abbaziale di Saint-Antoine-du Viennois nel Delfinato, e aveva come responsabile un precettore, nominato dall’abate degli Antoniani. Essa venne costruita in seguito a una donazione (tra il 1180 e il 1185) del conte Umberto III di Savoia, che la volle in prossimità di un ramo della Via Francigena, la strada che collegava l’Italia con l’Europa centrale e occidentale, e la affidò agli Antoniani. L’Ordine degli Antoniani deriva il suo nome da S. Antonio Abate, che nacque in Egitto nella seconda metà del III secolo e si ritirò a vivere nel deserto, acquistandosi la fama di taumaturgo. Nel 1080 le reliquie del Santo furono trasferite in Delfinato e vennero sepolte a La Motte Saint Didier (ora Bourg Saint Antoine). Qui nel 1095 venne fondato l’Ordine ospedaliero degli Antoniani; il loro compito era l’accoglienza ai viaggiatori, e soprattutto la cura dei malati. In particolare, gli Antoniani di S. Antonio di Ranverso si dedicavano ad assistere i pellegrini che percorrevano la Via Francigena. A questo scopo venne costruito l’ospedale, nel quale i frati curavano soprattutto coloro che erano colpiti dal fuoco di S. Antonio (herpes zoster). Gli Antoniani usavano il grasso di maiale come emolliente per le piaghe provocate dal fuoco di S. Antonio; ciò giustifica la presenza di questi animali in uno degli affreschi all’interno della chiesa, così come la natura del male curato (il fuoco) e le sue conseguenze (la frequente amputazione degli arti inferiori) spiegano il ricorrere negli affreschi di una fiamma stilizzata e della lettera greca tau (t), che ricorda nella forma la stampella usata dagli ammalati. L’Ordine Antoniano, che nel corso della sua storia conobbe una grandissima espansione territoriale, venne abolito nel 1776 con una bolla papale, che ne attribuì i possedimenti all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.L’OSPEDALE La statua, in legno dipinto di colore scuro, rappresenta S. Antonio Abate. Il Santo, che indossa l’abito dell’Ordine Antoniano, con la mano destra regge il bastone con la Tau, mentre nella sinistra tiene il libro con la regola dell’Ordine. Ai piedi del Santo un maiale è rappresentato in proporzione ridotta. La statua è stata eseguita verso la fine del XIV secolo, probabilmente in Francia. GLI AFFRESCHI DEL LATO MERIDIONALE DEL PRESBITERIO Le Storie di S. Antonio e la processione degli offerenti sono attribuite a Jaquerio. Nella parte superiore della parete gli affreschi sono suddivisi in tre registri, in cui sono descritti episodi della vita di S. Antonio; in essi hanno uno spazìo rilevante le tentazioni a cui venne sottoposto il Santo. Nella parte inferiore, la cui superficie è interrotta da un arcosolio e da due porte che introducono nella cappella adibita a sacrestia, è rappresentata un’unica scena: da destra verso sinistra sono raffiguratI una coppia inginocchiata con offerte, accanto alla quale si trova un bambino che porta un cero, e poi gruppi dì pastori. anch’essi con offerte, che spingono davanti a sé capre e maiali; si tratta forse di una cerimonia in onore di S. Antonio. Nelle figure dei pastori è evidente la volontà di una resa realistica, che contrasta con la rappresentazione raffinata ed elegante delle storie di S. Antonio. Nell’arcosolio è rappresentato Cristo che si erge dal sepolcro con accanto i simboli della passìone, affresco di Jaquerio o di scuola jaqueriana, mentre i dipinti sulle lunette sovrastanti le due porte sono stati eseguiti nel Trecento. La datazione della decorazione del presbiterio non è certa; secondo l’opinione più comunemente accettata, essa sarebbe da collocare nel secondo decennio del XV secolo. GLI AFFRESCHI DEL LATO SETTENTRIONALE DEL PRESBITERIO Nlla zona centrale, tra le due finestre, è rappresentata la Vergin e con in braccio il Bambino che si sporge verso un donatore inginocchiato; la Vergine è seduta su di un trono e alle sue spalle due angeli reggono un tendaggio, mentre il trono è situato all’interno di una complessa struttura architettonica di stile gotico. Le finestre ai lati della scena centrale sono decorate con elementi architettonici, e sulla superficie degli sguanci sono dipinte figure di Santi all’interno di edicole gotiche: nella finestra di sinistra S. Giovanni Battista e S. Antonio Abate, nella finestra di destra Santa Marta e Santa Margherita. Lateralmente alle figure di questi santi e sante sono ancora rappresentati a sinistra l’arcangelo Michele e a destra i santi vescovi Nicola e Martino. Al di sotto di quest affreschi vi è una fascia con sette figure di re e profeti dell’Antico Testamento; di essi soltanto il re Davide è identificabile con sicurezza. Questi affreschi hanno una grande importanza oltre che artistica, anche come documento dell’attività di Jaquerio: infatti sono l’unica opera firmata dal pittore torinese tramite un’iscrizione scoperta, insieme agli affreschi, durante il restauro nel 1914; essa è posta ai di sopra della fascia inferiore dei dipinti e recita “(picta) fuit ista capella p(er) manu(m) Jacobi laqueri de Taurino” (“questa cappella fu dipinta da GIacomo Jaquerio di Torino”).LA CAPPELLA DI SAINT BALAISE La cappella è decorata con affreschi attribuiti al pittore torinese Giacomo Jaquerio (1375- 1453). Ai lati della finestra di fondo sono rappresentati Santa Barbara e due santi, sulla parete destra e sopra l’arcata episodi della vita di S. Biagio. In particolare si riconoscono la scena del bambino liberato dalla spina, S. Biagio tra gli animali (i due affreschi del registro superiore), S. Biagio e i cattivi barcaioli. La figura del Santo è caratterizzata da una resa raffinata, che predilige i toni tenui e sottolinea la spiritualità della rappresentazione. Su una delle due volte della cappella sono effigiati i simboli dei quattro Evangelisti, e all’interno di un medaglione è dipinto un ritratto, che secondo alcuni rappresenterebbe lo stesso pittore. La datazione di questo ciclo è controversa; esso viene ritenuto probabilmente posteriore agli altri affreschi jaqueriani nella Precettoria e collocato dopo il 1429. LA CAPPELLA CON LE STORIE DELLA VERGINE Nella cappella è rappresentato un ciclo di storie della Vergine, attribuite al pittore torinese Giacomo Jaquerio (1375-1453), che iniziano dalla parete dell’altare con l’Annunciazione, proseguono ai lati dell’arcone d’ingresso alla cappella con la Visitazione e la Natività, mentre sulla parete di fronte all’altare in due registri sovrapposti sono dipinte l’Adorazione dei Magi e la Presentazione al tempio; sulla sinistra della finestra è affrescata la morte della Vergine, mentre negli sguanci della stessa finestra sono ritratti S. Eutropio a sinistra e S. Dionigi a destra. Gli affreschi sono stati scoperti durante il restauro condotto nel 1910, che ha eliminato l’imbiancatura da cui erano ricoperti. Le pitture, già in cattivo stato di conservazione, sono state in alcuni casi ulteriormente danneggiate dalla eccessiva raschiatura che, oltre ad eliminare la vernice sovrapposta, talora ha asportato anche strati di colore: è questo il caso della zona centrale della Morte della Vergine, dove la rimozione del colore ha portato alla luce la sinopia, cioè il disegno preparatorio dell’affresco. Questo ciclo è ritenuto un’opera giovanile di Jaquerio; la realizzazione delle storie della Vergine sarebbe quindi da collocare tra il 1401 e il 1411.GLI AFFRESCHI DELLA CAPPELLA ADIBITA A SACRESTIA Tutta la decorazione della cappella è attribuita a Jaquerio. Sulla volta sono rappresentati i quattro Evangelisti, ognuno dei quali è identificabile grazie al simbolo che gli è proprio; sulla parete meridionale sono effigiati i santi Pietro e Paolo, mentre sulle altre tre pareti vi sono episodi della vita di Maria e di Gesù: sulla parete orientale l’Annunciazione, su quella settentrionale la Salita al Calvario, al di sopra dell’ingresso dalla navata la Preghiera nell’Orto degli Ulivi. Nell’Annunciazione la Vergine e l’Angelo sono inseriti ai due lati di una finestra aperta nella parte superiore della parete; l’atteggiamento delle due figure si adatta perfettamente al margine curvilineo della superficie che le contiene. Nella Preghiera nell’Orto Cristo si trova al centro della scena, che è spoglia e chiusa sullo sfondo da un traliccio di rami, come a sottolineare l’isolamento e la solitudine spirituale del protagonista. La Salita al Calvario si differenzia nettamente dalle altre raffigurazioni della cappella; infatti la resa appare più realistica e la struttura della scena è più drammatica e mossa. Il racconto ha il suo esordio nel gruppo delle pie donne all’estrema sinistra, e prosegue con una serie di personaggi, che sono individuati attraverso i particolari dell’abbigliamento e soprattutto mediante la caratterizzazione fisica e psicologica. Al di sopra delle teste le lance e gli stendardi contribuiscono al movimento della scena e danno profondità allo spazio. Rimangono molti dubbi sulla datazione dei dipinti della cappella; la maggior parte di essi risalirebbe al secondo decennio del XV secolo. |



