Ordine degli Antoniani. Mariangela Rapetti ha, invece, focalizzato il suo interesse negli ultimi anni1
Ordine degli Antoniani. Mariangela Rapetti ha, invece, focalizzato il suo interesse negli ultimi anni1
I canonici ospedalieri di S. Antonio di Vienne, nel corso del Tardo Medioevo, si
diffusero in tutta Europa. Il loro epicentro era, inizialmente, una piccola chiesa nel
Delfinato – nel SE della Francia – sede delle spoglie del santo egiziano traslate in
Occidente verso la fine dell’XI secolo. Con il passare degli anni, forti del favore
pontificio, e arricchitisi grazie a importanti lasciti da parte dei fedeli, i canonici
erano riusciti a edificare una grandiosa abbazia. Diffondendo il culto per il santo
patrono, la paura della sua vendetta e il potere taumaturgico delle sue reliquie, essi
raccoglievano ricchezze nelle varie località e le recapitavano periodicamente
all’Abate generale e al Grande Ospedale, che aveva sede presso l’abbazia di Saint Antoine, nel Dipartimento dell’Isère.
A partire dal XIII secolo molti vescovi e sovrani donarono ai canonici i loro ospedali:
la gestione degli stessi e il potere taumaturgico attribuito alle reliquie di Sant’Antonio
si combinarono con il dilagare di diverse malattie cancrenose (ergotismo, erisipela
etc.), che avevano come comuni segni clinici evidenti il colore nero della pelle e la sua
totale insensibilità. Queste malattie vennero riconosciute universalmente come il
‘Fuoco di Sant’Antonio’ che, secondo gli stessi medici, poteva essere curato solo dai
canonici del Delfinato.
La fama degli antoniani, però, non fu senza macchia: essi dovettero in più occasioni
combattere tanto contro gli usurpatori e le critiche di avidità, quanto contro la
cattiva condotta di molti confratelli. Devastato dal Grande Scisma d’Occidente, un
secolo dopo l’ordine subì un durissimo colpo a causa delle guerre di religione. Le
precettorie più lontane si staccarono e si resero indipendenti, riducendo
notevolmente il numero delle case affiliate e, di conseguenza, delle rendite.
Alla fine del Settecento si avviarono le trattative con l’ordine di Malta in previsione di
una fusione che, di fatto, sancì la fine dell’ordine di S. Antonio e la dispersione dei
suoi beni e dei suoi archivi, già in gran parte depauperati a seguito di calamità e
saccheggi.
La documentazione seguì la sorte delle ultime case, trovando collocazione in più
istituti di conservazione – pubblici, religiosi e privati – che oggi consentono lo studio
e la ricostruzione del passaggio dei canonici nelle varie località europee. Tuttavia,
la ricerca su queste fonti si fa complessa, talvolta scoraggiante, in ragione delle
numerose lacune.
Forse fu proprio questa frammentarietà delle fonti ad allontanare gli studiosi da un
tentativo di approfondimento storico sulla presenza antoniana in Sardegna, sulla
quale Mariangela Rapetti ha, invece, focalizzato il suo interesse negli ultimi anni1
.
1 Il presente volume nasce dall’aggiornamento e dal completamento della ricerca condotta
dall’autrice nell’ambito del Dottorato di ricerca in “Fonti scritte per la civiltà mediterranea” afferente
al Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio dell’Università di Cagliari; cfr. M. Rapetti, I
Canonici ospedalieri di S. Antonio di Vienne e la Sardegna, Università degli Studi di Cagliari,
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Nel 1981, Bruno Anatra scriveva che nella metà del XV secolo gli ospedalieri
antoniani di Vienne ripresero possesso delle loro antiche strutture cagliaritane, da
tempo vacanti, ma che «cosa fosse successo prima e a quando risalga il loro primo
insediamento sul posto non è tuttora chiaro»2
. Eppure, già il Vico, nel XVII secolo,
aveva localizzato alcune sedi antoniane nell’isola3
.
Obiettivo del presente lavoro era la ricostruzione di un corpus documentario relativo
alla presenza antoniana in Sardegna e ai rapporti tra l’isola e il vertice dell’ordine
canonicale. Una prima indagine sullo status quaestionis aveva, infatti, messo in
evidenza un discreto numero di errori storiografici e interpretativi delle fonti, tanto da
parte degli studiosi di storia antoniana, quanto da parte degli storici della Sardegna.
La ricerca sulle fonti si è rivelata lunga e tortuosa a causa della loro dispersione o
inaccessibilità, eppure l’autrice, partendo dagli antichi archivi antoniani, ha saputo
– sapientemente – ricostruire il percorso dei documenti dal soggetto produttore al
soggetto conservatore, recuperando attestazioni della presenza (o assenza)
antoniana nell’isola attraverso una lunga e complessa ricerca presso numerosi
Istituti di conservazione dislocati tra Francia (Marsiglia, Lione e Grenoble),
Sardegna (Archivio di Stato e Archivio Storico comunale di Cagliari, Archivio
Storico comunale di Iglesias, Archivio Storico Diocesano di Cagliari e di Sassari),
Penisola italiana (Archivi di Stato di Firenze e Torino, Archivio Storico dell’ordine
Mauriziano di Torino) e Catalogna (Archivio de la Corona de Aragón di Barcellona)