Dicembre 28, 2024

Onorato Lascaris nascita di Sant’Antonio Abate Intemelii

Onorato Lascaris nascita di Sant’Antonio Abate Intemelii

CAPO III. (pag. 103 del manoscritto) § I. S. Antonio abbate, sua nascita, morte. Reliquie ed Ordine eretto in Vienne di Delfinato ed in Avigliana – 1095 – S. Atanasio fu il primo a scrivere la vita di S. Antonio Abate e la detto in lingua greca che venne poi prima del 388 tradotta in latino da Evagrio. I biografi sono d’accordo nel farlo nascere nell’anno 251 e convenendo nel dire che il genitore suo nato era in Cuma di Eraclea nell’Alto Egitto asserirono che anche il figlio aveva avuto i suoi natali nell’Alto Egitto, ma questo è un errore. Onorato Lascaris accurato e diligente cultore delle discipline storiche, negli studi da lui fatti sulle antichità di Ventimiglia e sulle famiglie più antiche di questa città comprova che era quella degli Intermilii da cui originava questa città poi detta dei Ventimiglia; a questa famiglia teneva subito dietro quella dei Lascaris che era la più ricca di tutto il littorale. Ghitta degli Intermilii, donna cristiana essendo fidanzata al signore Beaubus di Cuma, nobile egiziano recatosi a Ventimiglia per ragione di commercio, contrasse con lui matrimonio. Dopo parecchi mesi di protratta dimora tra i parenti nel castello di Ventimiglia veniva alla luce un figlio nel 251 che per ragione degli antenati detti degli Antonii sinchè erano pagani e commendati dallo stesso Cicerone, rinnovarono tale nome fra gli Intermelii divenuti cristiani. Il piccolo Antonio passava poi da Ventimiglia colla madre Ghitta in casa del padre Beaubus di Cuma. Quivi rimasto nella ancora tenera età di anni 15 privo dei genitori, e fervendo la persecuzione contro i cristiani, inspirato dal cielo vendeva il suo ricco patrimonio, e distribuitone il prezzo ai poveri si diede a seguitare Gesù Cristo. Era Antonio giovane bastantemente istruito nelle scienze prime, e fuggendo il mondo si interno nel deserto a menare vita penitente e solitaria. Molti furono quelli che presero ad imitarlo popolando così la Tebaide. Moriva egli in età di anni 105 addormentandosi placida

mente nel signore l’anno 356. La chiesa ne celebra la festa addì 17 gennaio. Il corpo di Antonio rimase due cento anni nella Tebaide ed in luogo incognito, ma finalmente venne scoperto il cadavere e trasferito Costantinopoli. I Liguri furono i primi a celebrarlo santo, elevandogli cappella ed altare nella camera dove nacque.

 

Questo castello che si conservò per lungo tempo venne distrutto da guerre come lasciarono scritte ed Onorato Lascaris di Ventimiglia e Brizio. § II. Le reliquie dell’anzidetto Santo da Costantinopoli in Delfinato. Le reliquie di S. Antonio estrattesi dalla Tebaide furono in modo solenne trasportate in Alessandria di Egitto nel 550 e poscia passarono in Costantinopoli. In quel tempo un Giosselino del Delfinato dei Conti di Poitiers e signore del Borgo Didier de la Motte, prima di restituirsi in patria di ritorno del suo pellegrinaggio ai luoghi Santi nella Palestina, passando a Costantinopoli nel visitare l’imperatore greco Manomaco, riceveva in dono le venerate spoglie di S. Antonio abbate che seco portò in patria l’anno 1060. Questi preziosi avanzi diedero motivo a grandi avvenimenti ed a prodigiose guarigioni agli infetti da fuoco sacro ed alla istituzione di un novello ordine detto degli Ospitalieri, come ora scrivo.

 

Il fuoco sacro e fuoco di S. Antonio. L’uno e l’altro dei precitati malori indicano una medesima malattia, ma che afflisse l’Italia in due epoche differenti: la prima sotto Giulio Cesare e l’altra dopo l’era cristiana. Tito Lucrezio Caio poeta e filosofo parlo della prima avvenuta l’anno 690 della fondazione di Roma, sessantesimo quarto prima del Cristianesimo e dice che questo morbo comparso a’ suoi tempi manifestavasi all’uomo per il corpo, ed ogni parte che fosse colta, abbrucciava estendendosi pure per le giunture. Il poeta mantovano Virgilio Marone nelle sue Georgiche al libro terzo così parla di questa malattia… «Li medici cedettero a questo male, avendo perduta la virtù. Chirone figlio di Fillida, e Melampo valente indovino e medico cedettero, Tisifone pallida mandata dal tenebroso Stige s’incrudelisce nel mondo, ed innanzi a sè conduce le malattie, ed il timore, ed ogni giorno comparendo più crudele innalza il suo capo desiderosa di strage e di morte: li fiumi, le rive aride, e li colli rilevati, nei quali il gregge soleva pascolare, risuonano dallo stridore delle pecore, degli armenti e delle mandre, ed essa Tisifone uccide l’intiere caterve di animali e nelle stalle cumula li cadaveri, fino che studiano di sotterrarli, perchè nè pur la pelle è buona nè alcuno può lavare le carni, e cuocerle: li pastori non possono almeno tosare le lane, ovvero tessere vilissime tele: se alcuno tentò queste odiose vesti, li carboncelli ardenti ed un sudor immondo bagnava le membra ed il fuoco sacro consumava le membra a chi aveva toccato tali vestimenta.» Dalla riportata descrizione comprendesi di quale natura fosse quel fuoco sacro e quali conseguenze funeste lasciasse questa malattia. allorchè dal 1090 del Cristianesimo in poi si manifestò nel Delfinato e nel Borgo di S. Dider de la Motte. Colà, come notammo, Gozzelino aveva sino dal 1060 portate le reliquie di S. Antonio avute in dono a Costantinopoli. La chiesa dove erano state deposte essendo troppo piccola per capire la moltitudine che accorreva a venerarle indusse Gozzelino a trasferirle in altra chiesa da lui incominciata ad erigere l’anno 978 ma che per morte non poté condurre a termine. A lui sottentrava Gastone altro nobilissimo signore del Delfinato. Essendo l’unico suo figlio per nome Guerino colto da questo morbo, egli lo votò a S. Antonio, obbligandosi non solo di dare compimento a quella chiesa, ma di erigervi accanto un ospedale per dare ricovero a tutti gli affetti dal fuoco sacro che vi accorrevano per implorare la protezione di quel santo, dichiarando anzi che se il figlio suo guariva sarebbe stato esso disposto a servire col medesimo per tutta la vita quegli ammalati. Ebbe così nel 1090 suo principio il nuovo ordine degli ospitalieri detto di S. Antonio Viennese con altri sei gentiluomini che abbracciarono la regola. Viene questo fatto constatato dallo istoriografo dell’ordine Aimar Falcon dove dice: (Gastonis volo societatibus fratribus octo – Ordo est hic coeptus ad pietatis opus.).

 

L’ordine degli ospitalieri di S Antonio Viennese in Delfinato ed in Avigliana. Questo ordine nato come narrammo in Vienna per opera di Gastone dei Gastoni nel 1095, confermato da Papa Urbano II nel concilio di Clermont l’anno 1096, si dilato rapidamente anche in Avigliana dove sorse la seconda casa dell’ordine. Narrano le cronache che Umberto II di Savoia trovandosi assente da Avigliana per la sua andata in crociata in Oriente, infieriva in Avigliana e nei dintorni il fuoco sacro. La contessa di Savoia suggeriva al reduce marito il desiderio e mostrava la necessità di domandare all’istitutore Gastone alcuni dei suoi religiosi per venire a fondare convento e chiesa ed ospedale fuori di Avigliana nella regione Rivus inversus; a piedi di quel promontorio,

 

antico stradale che da Rivoli conduceva ad Avigliana. Vennero tosto sotto Umberto II incominciati i lavori, che proseguiti da Amedeo III nel 1103 e mandati a termine si attendeva una favorevole occasione per consacrarvi quell’antica chiesa colla debita solennità. La circostanza non si fece infatti a lungo aspettare. Ed in vero essendo Guidone di Guglielmo conte di Borgogna arcivescovo di Vienna in Delfinato stato eletto papa col nome di Calisto II, dopo avere tenuto un concilio in Delfinato si incamminò alla volta di Roma. Passando per Avigliana prese alloggio presso Amedeo III suo stretto parente, di dove seguito da splendida corte e dal clero ed accompagnato dallo stesso Amedeo III recossi alla nuova basilica di S. Antonio di Ranverso nel Febbraio del 1120 a visitare i due ospedali, uno destinato alle donne a l’altro agli uomini affetti dal morbo detto fuoco sacro o fuoco di S. Antonio; ove stavano i religiosi che oltre alle salmodie ed alle sacre funzioni attendevano ad aver la cura dei disgraziati colpiti da quella malattia. Anche l’ordine degli Ospitalieri religiosi è una creazione ispirata dalla carità cristiana che si diramò ben presto ed in Francia ed in Piemonte. Questi religiosi calzavano nere scarpe, vestivano abito talare e mantello di nera sargia: al collo portavano il collare bianco all’antico piegato, e larghe e lunghe sono alla palma della mano avevano le maniche. Coprivansi il capo con berretta nera quadra elevata e senza bioccolo, ma quando uscivano dal convento usavano un cappello nero pastorale con due ali piegate. Larga avevano la tonsura clericale e la lettera Tau detta potenziale e dell’ordine di sergette azzurro portavano cucita sull’abito è sul mantello e davasi anche a portare cucita del pari sugli abiti degli infermi. Gastone primo institutore aveva introdotto tale distinzione per rivelazione di S. Antonio, e si conobbe tosto di quale utilità fosse questo segno sugli abiti degli infermi ricoverati nei loro ospedali e specialmente in quello di S. Antonio di Ranverso. Proseguì il contagio per altri due secoli ad infierire, e nei susseguenti secoli continuò l’opera benefica di questi Religiosi quando infestate furono queste regioni dalla lebbra e da altre malattie cutanee.

Gli opistalieri di S. Antonio che erano anche valenti medici nel curare queste malattie, spinti dall’amore vero di Cristo e non da sentimenti di mondana filantropia trascorrevano la vita in mezzo al lezzo di luride piaghe ed al sucidume ed al fetore più ributtante, lieti in cuore di poter essere capaci di portare sollievi e spirituali e corporali all’umanità sofferente. Parecchi di quelli che erano stati assaliti dal fuoco sacro rimanevano dopo la guarigione privi di qualche membro per il che trovandosi nella

quasi assoluta incapacità di provvedere al loro sostentamento venivano mantenuti vita naturale durante nel monastero stesso da cui venivano provveduti di ogni cosa necessaria alla vita. Questi erano tenuti a fare alcune pratiche religiose durante il giorno come preghiere, meditazioni etc. etc. Le tremila giornate di terreno possedute dal Monastero qua e là dalla Dora permettevano di provvedere ai bisogni dei religiosi, e dei secolari sani od infermi. Siccome fra i rimedi adoperati per queste malattie uno dei principali era il lardo che veniva adoperato per le unzioni esterne, così devesi a questi Religiosi l’introduzione in Piemonte di mandre di maiali fin dall’impianto dei loro ospedali. Allevarono per questo uso mandre di maiali che lasciavano andare qua e là a loro piacere errando per la campagna nutrendosi di ghiande, anzi resisi domestici, entravano nei casolari degli abitatori della campagna. Questa famigliarità diede modo a qualche contadino di impossessarsi di qualcuno di questi porci per nutrimento della famiglia, ma subito venivano costoro presi dal fuoco sacro, per cui ne era nato il proverbio che a colui che era colto da questo malore o da qualche altro grave infortunio domandavasi: hai tu rubato il porco a S. Antonio? Il Monastero per meglio tutelare la proprietà di questi animali deliberò di fare, colle forbici un segno sulla cute che consisteva nel tagliare i peli in forma della lettera T. Così segnati erano posti sotta la protezione di S. Antonio e mentre vagavano se qualcuno voleva impadronirsene udiva l’altro a ripetergli «lascialo stare che è munito del Tau ossia del Te o più breve dicevano TeTe.» Anche oggidì il guardiano di questi immondi animali li chiama in questo modo. Anche a quei tempi ebbe malamente origine il detto: passa il canonico, per dire passa il porco di spettanza dei canonici regolari opistalieri di S. Antonio, e ciò quando vedevano girovagare per i casolari e per le vie gli animali segnati col T. Prima dell’istituzione del suo ordine Ospitaliere, S. Antonio veniva dipinto senza simboli, i quali si aggiungevano nei primordi dell’istituzione stessa. Nei primi dipinti in Vienna di Delfinato ed in Avigliana, sulle pitture della chiesa come in quello del Monastero, nell’antica statua in legno vedesi sulla spalla sinistra la lettera Tau cerulea, perchè rivelata come dicemmo dal santo a Gastone: vedesi una piccola croce in forma di Tau in luogo del segno albaziale ed un campanello quale segno della vigilanza. Già sin dal 1100 dipingevasi il porco ai piedi questo santo per l’impiego che facevano come pure narrammo di questi animali per la cura delle malattie del fuoco sacro.

 

È pregio dell’opera il ricordare qui che Feller nel suo Dizionario storico, edizione di Venezia 1830 a pag. 372 del primo tomo parlando del trasferimento delle reliquie di S. Antonio da Alessandria d’Egitto a Costantinopoli e di là a Vienna in Delfinato, commise un grave errore dicendo che l’ordine degli ospitalieri sia stato fondato da Alberto di Baviera conte di Hainaut per fare guerra ai Turchi. Sta invece il fatto da me già narrato che questa instituzione devesi invece a Gastone dei Gastoni.

Chi recasi a visitare questa chiesa per quanto sia profano nell’architettura tuttavia subito riconosce che dessa costituisce un monumento meritevole di conservazione e degno di storia. Il Bouresé scrittore insigne di cristiana archeologia disse che questa chiesa è monumento di grandissima eleganza, quantunque debba collocarsi fra le più piccole chiese. A dimostrare che a parer mio non sta questa ultima asserzione mi provo a darne qui una descrizione seguita da dimensioni delle sue parti, frutto questo di lunghe e ripetute mie visite, in cui presi il disegno di questo sacro edifizio. È composta di tre navate meno quella laterale a nord, un poco irregolare, perché intercettata dal campanile che vi sorge addossato alla metà. Le sue parti sono il peristilio in largo ed in lungo di figura quadrata, con portici a pilastri a poca elevatura; le arcate a pieno sesto sorreggono l’antico coro ed organo prospiciente nell’ingresso della chiesa. I pilastri del peristilio in pietra bigia o v

le arcate a pieno sesto sorreggono l’antico coro ed organo prospiciente nell’ingresso della chiesa. I pilastri del peristilio in pietra bigia o verde piuttosto massicci sono incoronate di lavori del 1100, stile longobardo bisantino parodiato con uomini di mezza figura, teste di buoi, fogliami e bizzarre modanature. Nel corpo della chiesa erano alle navi distribuite colonne di schisto serpentino, incoronate dal medesimo, scolpite in maschere d’uomo coperto di elmo e non di cappuccio come cantava il poeta nel suo viaggio della Dora Riparia. Sonvi colonne che si elevano colle loro imposte a guisa di lancia alla volta: parimenti ai lati del Sancta Sanctorum e della sua abside sonvi i coronamenti, modanature e spigoli che accompagnano a dentelli le colonne sino al cornicione di breve sporgimento.

Questo sacro edifizio misura nell’interno una lunghezza di metri cinquanta, una larghezza di metri diciassette, ed una altezza di metri dieci. Esaminando e nell’interno e nell’esterno si riconosce che venne fabbricata questa chiesa in due tempi. Il peristilio o pronao con una parte della chiesa sono lavoro dello stile bisantino, parodiato detto longobardo del 1100 e condotto a termine prima del 1120 anno in cui venne il tempio consacrato, eretto in parrocchiale e soggetto all’ordine dei religiosi ospitalieri, come lo furono oltre il territorio le altre loro case e chiese in Torino e nei dintorni. L’altra parte che proseguì il termine del corpo della chiesa coll’aggiunta del Sancta Sanctorum fu lavoro del secolo decimo quarto, incominciato nel 1326 e terminato nel 1362. I superiori del luogo posero alle incrociature delle volte i loro stemmi gentilizi, che per essere simile comprova già appartenenti ad un medesimo linguaggio. Ponzio Mitte abbate Commendatario generale dell’ordine nel 1362 vi pose il suo stemma che è argento alla croce Sant’Andrea rossa con margine azzurro ed otto gigli d’oro. Nei lavori della seconda epoca si introdussero di molte migliorie ed ornamenti al primo stile longobardo: il campanile venne elevato di un piano; si aggiunsero le quattro punte sui contrafforti a torricelle ed a rocchi, la punta nel centro venne spinta in alto. L’abside esterna fa arrichita di torricelle a rocchi posate sui contrafforti. Tutte le torricelle elevano il segno potenziale T. La facciata della chiesa ha tre arcate in cotto che partendo dal piano terreno si spingono sino al coprimento della chiesa; quella di mezzo elevata per isbieco lascia ancora parte di luce alla bella rosa gotica a sette petali. Queste arcature sono degne di ammirazione per i lavori di ornato che hanno; sonvi filetti che uscendo a spigolo continuano sino alla punta dell’arcatura; lavori di cotto della migliore argilla e di un solo getto si ammirano dagli intelligenti e per le incorniciature, e per le volute in ricca vegetazione a pien rilievo che spandono foglie, frutti come pere, mele, poi tralci di viti coi pampini, rami, di rovere ec

PRECETTORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO testi di Luigi CIBRARIO Carlo DIONISOTTI p. Antonino da Torino Francesco GAMBA Edoardo MELLA p. Placido BACCO da Giaveno Pietro CAFFARO Antonio BARRAJA 80 fotografie di Giancarlo MAURI

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