Lista delle Chiese.
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Torino
La Curia liberalizza le chiese per i matrimoni
di GABRIELE GUCCIONE
Ci si potrà sposare dove si vuole e non più solo nella propria parrocchia. Ma sarà preparato un elenco di luoghi autorizzati03 GENNAIO 2015PUBBLICATO PIÙ DI UN ANNO FA 2 MINUTI DI LETTURA
L’eccezione sarà meno eccezionale del solito. Diventerà una regola, o almeno una possibilità tra le altre. Senza bisogno di nullaosta particolari, firmati dai parroci e controfirmati dagli uffici della Curia solo in caso di “gravi e fondati motivi”, anche le chiese che non hanno il titolo di parrocchia saranno aperte alla celebrazione dei matrimoni.
Chiese succursali, santuari, oratori, purché aperti normalmente al culto, potranno far parte dell’elenco che il vicario generale, monsignor Valter Danna, sta definendo su proposta dei parroci. Una liberalizzazione, si potrebbe dire, che avrà un duplice scopo: da una parte attenuerà il “pugno di ferro”, almeno teorico, contro la celebrazione dei matrimoni fuori dalle comunità parrocchiali di appartenenza dello sposo o della sposa; dall’altra, toglierà dall’impiccio i parroci, spesso subissati di richieste insistenti per rilasciare i tanto agognati nullaosta, e sgombererà il campo, con regole precise e uguali per tutta la diocesi, da eventuali trattamenti di favore concessi a discrezione del prete di turno. Come dire: parrocchia che vai, nullaosta che trovi.
In queste settimane il vicario generale sta raccogliendo i nomi delle chiese non parrocchiali da inserire in un elenco ufficiale, da cui non sarà più possibile derogare. In una circolare indirizzata a tutti i 260 parroci della diocesi subalpina, don Danna ha chiesto di fare delle proposte in merito. Saranno tutte raccolte, vagliate e infine recepite da un decreto dell’arcivescovo Cesare Nosiglia.
È la fine dei “singoli casi”. Solo l’elenco ufficiale farà testo. Un giorno si potrà guardare una coppia di sposi uscire da chiese come quella del Carmine, che non è più parrocchia da quando, mesi fa, è stata accorpata al Duomo. Oppure, se i relativi parroci riterranno di metterle nell’elenco, da quelle del Villaggio Leumann o di San Filippo Neri.
Certo, la lista di chiese con cui la Curia ha deciso di aprire alla celebrazione fuori parrocchia, “sgraverà i parroci, specialmente quelli che hanno nel loro territorio una molteplicità di luoghi di culto, dal dover dare – spiega don Danna – rifiuti molto spesso non compresi”. Non ci saranno favori di sorta, insomma. Le chiese e i santuari aperti saranno quelli e basta. Si potrà scegliere. Ma dentro confini validi per tutti, fermo restando il criterio dell’appartenenza religiosa alla comunità, che resterà prioritario.
Spetterà ai parroci indicare, insieme ai consigli pastorali parrocchiali, le chiese del loro territorio da destinare alla celebrazione delle nozze anche se non sono parrocchie e quindi non hanno un registro dove vengono trascritti gli atti di matrimonio. Varrà sempre il principio secondo il quale “la celebrazione del matrimonio è proibita nei luoghi non abitualmente aperti al culto”, come per esempio nella cappella del Seminario o nei sacelli privati delle ville storiche, a volte prese in affitto anche per il ricevimento. “Spesso – scrive il vicario generale nella sua missiva – succede infatti che gli sposi vogliano celebrare il rito in chiese non parrocchiali, santuari, o altri luoghi di culto solo per la loro bellezza o per il luogo in cui sono situati, vicino alla “location”, come si dice adesso, dove si fanno le foto o si svolge la festa nuziale, ma senza alcun motivo di appartenenza religiosa e mettendo in difficoltà i pastori d’anime”.
Con la “liberalizzazione” aumenterà, per così dire, la scelta. Ma sarà difficile aspettarsi, per questo, un aumento degli sposi pronti a correre a sposarsi in chiesa. Già il numero di chi sceglie il matrimonio è in netto calo, quasi dimezzato: solo a Torino, negli ultimi dieci anni, le nozze sono complessivamente scese del 40 per cento, da 3.193 a 1.876. E in più, la situazione di chi preferisce il rito religioso a quello civile si è nettamente capovolta. Se dieci anni fa il 58 per cento delle coppie sceglieva di sposarsi davanti a un ministro di Dio (1.867 su 3.193), l’anno scorso i numeri si sono rovesciati e soltanto il 39 per cento dei fidanzati si è ritrovato a scambiarsi promesse di eterno amore sull’altare, mentre 1.136 coppie hanno deciso di imboccare la via del municipio.