Luglio 12, 2020

Le diramazioni delle vie francigene.

Le diramazioni delle vie francigene.

La consistenza del gigantesco manufatto porta a pensare
alla realizzazione di un’opera di contenimento del terreno, di cui costituirebbe
la platea di fondazione e sostruzione, in corrispondenza di una depressione
naturale della zona, nell’ottica della protezione, non solo del territorio ma
anche di una qualche struttura di importanza veramente eccezionale, da
possibili straripamenti. Inoltre la particolare situazione orogeografica dell’area
individuata, compresa tra la sponda destra della Dora e la sinistra del Po,
consente di privilegiarla rispetto alle altre zone, al di fuori e in prossimità delle
mura, come area di probabili insediamenti a carattere artigianalemanifatturiero e attività pubbliche approdi-porti, horrea, mercati e fori, che
non dovevano sicuramente mancare.” Nel saggio si specifica inoltre, 114
come tutta l’area ovest fosse verosimilmente abitata: “Il decumano massimo
della città trovava al di fuori della porta la sua prosecuzione nell’antica via
delle Gallie (la medioevale via Franchigena) che conduceva a Segusium
(Susa) e, attraverso i valichi del Monginevro e del Moncenisio, oltralpe.
Questa arteria rappresenta a partire dall’età romana una delle principali vie di
comunicazione fra l’Italia e il mondo transalpino. Uscita dalla porta praetoria
(Segusina) procedeva verso ovest sulla destra orografica della Dora; nel suo
tratto iniziale, fra Torino e Avigliana (la statio ad fines che segna il confine
politico e doganale tra la XI regio augustea e la provincia delle Alpes Cottiae)
il suo andamento era presumibilmente rettilineo. Le tombe che si attestano
fra la Dora e lo stradale di Rivoli in prossimità della vecchia strada TorinoCollegno (in Collegno si è identificata la prima stazione ad quintum) ne
indicano in maniera approssimativa il percorso. I ritrovamenti di tombe anche
a distanza maggiore da questa grande arteria di traffico suggeriscono
l’esistenza e il fiorire di insediamenti rurali gravitanti intorno ad una viabilità
minore ad essa collegata” . 115
114 D. Ronchetta, Dati di topografia antica, quali premesse per una archeologia urbana in Beni Culturali ambientali nel comune di
Torino, Celid, Torino, 1984
115 Ibid
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3.3 Il Sistema delle vie Francigene
La città antica, ha da sempre rivolto tutte le sue attenzioni territoriali
al collegamento obbligato con la Francia presente nella Valle di Susa,
elemento fondamentale già in epoca romana. In epoca arduinica, il controllo
dei valichi del Monginevro e del Moncenisio, passaggi fondamentali al fine di
attraversare le Alpi, garantirono il successo della marca dei territori torinesi e
valsusini. Questo tratto di strada tra il nord ed il sud dell’Europa,
generalmente durante il medioevo prende il nome di via Francigena.
A Torino questo percorso giungeva già in epoca romana,
principalmente per mezzo della Strada di Rivoli, “Rippolarum” e la Strada 116
di Collegno, “Collegii” e probabilmente solo in epoca medievale tramite la 117
strada alternativa di Lucento e Pianezza, detta strada Pellerina, “Pellegrina”.
Questi percorsi possono dunque essere considerati come un’importante
risorsa commerciale obbligata, durante gli anni arduinici infatti, l’Imperatore
Corrado II: “assicurò ai cittadini di Asti libero uso della strada transitante per la
Vallem Secusiensem” . 118
Tuttavia nel Medioevo “I due principali percorsi francigeni tra il Po e le
Alpi erano quello diretto verso il valico valdostano del Gran San Bernardo e
quello diretto verso il Moncenisio, che metteva in comunicazione le valli della
Dora Riparia e dell’Arc nella regione della Maurienne. Una variante di valico
della via Francigena valdostana era il Piccolo San Bernardo, più usato per il
traffico locale; una variante di quella valsusina era il Monginevro, il quale
addirittura in età romana era stato il passo più importante prima che i trasporti
medievali – propensi a percorsi aspri, con grande dislivello, ma con transito
montano più breve, favorissero l’affermazione del Moncenisio” . 119
Al Colle del Moncenisio, a partire dall’825 era attivo un ospizio per i
pellegrini ed in viandanti , punto di sosta dell’itinerario transalpino. Poco 120
oltre, lungo la strada per Susa era situata l’abbazia di Novalesa. Passando
dalla Sacra di San Michele e per l’abbazia di Sant’Antonio di Ranverso, si
116 Augusto Cavallari Murat, Forma urbana ed architettura nella Torino barocca. (Dalle premesse classiche alle conclusioni
neoclassiche), Unione tipografico editrice torinese, Torino, 1968
117 Jacopo Durandi, Notizia dell’antico Piemonte Traspadano: Marca di Torino, Marca d’Ivrea, Alpi Graie e Pennine, Volume 1,
Stamperia di Saverio Fontana, Torino, 1803
118 Giuseppe Sergi, Storia di Torino I – dalla Preistoria al Comune medievale, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1997
119 Ibid
120 Ibid
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raggiungeva Torino lungo “l’Itinerarium Burdigalense” , ovvero il più antico 121
racconto di un percorso di pellegrinaggio cristiano, scritto da un anonimo
pellegrino durante il viaggio da Bordeaux a Gerusalemme, al fine di venerare
il Santo Sepolcro, nel 333 d.C.
Dunque tutta l’area del torinese ha legato il suo sviluppo, anche
economico alle varie strade di comunicazione internazionale, le quali,
molteplici, attraversavano il territorio, alternandosi per importanza nel tempo.
Tutto ciò realizzava dunque un complesso sistema di aree stradali , le quali 122
potevano toccare un villaggio, piuttosto che un altro, seguire la destra o la
sinistra orografica di un corso d’acqua e attraversare un fiume in un luogo,
piuttosto che un altro. Tutta l’area ad ovest della città di Torino, fuori porta
Segusina, dal periodo romano, al “riordino territoriale“ di Bertola e Garove ad
inizio del XVIII secolo, era in strettissima relazione con la bassa val Susa. La
Val D’Och, Valdocco appunto, va immaginata come un territorio d’unione tra
il contesto vallivo e quello urbano di Torino, fondamentale risulta quindi la più
completa comprensione del paesaggio storico della Valle di Susa, per poter
analizzare questa porzione di paesaggio storico oggetto d’analisi in questa
tesi. Da Susa a Torino si poteva viaggiare sia in destra, che in sinistra
orografica, tuttavia durante il medioevo il percorso più “battuto” era il sentiero
che viaggiava in destra orografica della Dora Riparia e dall’area delle 123
antiche Chiuse Longobarde era possibile arrivare a Torino passando per
Rivoli, Collegno, Grugliasco, piuttosto che Pianezza. Va specificato che era
anche possibile, in un epoca dove gli accordi tra i territori, così frammentati
amministrativamente, “by-passare” delle città, magari al fine di evitare il
pagamento dei pedaggi, o velocizzare il transito. Noto è che: “da Avigliana,
costeggiando i due laghi, si poteva raggiungere la val Sangone, l’area
pianeggiante di Trana e Giaveno e di là, lungo la direttrice Sangano/Rivalta,
accostarsi a Torino evitando lo sbocco della valle di Susa nella pianura
torinese. Sempre da Avigliana, dirigendosi invece verso nord, si poteva usare
il percorso alternativo di Almese, riportandosi nel flusso principale della valle
di Susa all’altezza di Camerletto e Caselette. Da Rivoli, infine, il percorso della
via Francigena poteva compiere la deviazione più importante: perché poteva
dirigersi verso Testona, passare il Po a quell’altezza su un importante ponte,
e quindi dirigersi verso Chieri, Asti e Genova evitando Torino, scelta,
quest’ultima, che obbediva spesso a calcoli politico-militari” . Anche Torino 124
era dunque facilmente evitabile; presso il Castello di Lucento era presente un
bivio, un ramo della strada proveniente da Pianezza, attraversando la Dora,
giungeva tramite la “Pellerina” in città per la via Colleasca presso la Porta
Susina, mentre un secondo percorso raggiungeva la strada padana
superiore, in direzione di Settimo e Milano, volgendo a nord, attraversando le
attuali aree di Madonna di Campagna, Borgo Vittoria e Barriera di Milano, tale
percorso , seguendo verosimilmente le direttrici della centuriazione, aveva un
121 Ibid
122 Ibid
123 Ibid
124 Ibid
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asse est-ovest, infatti dall’area occidentale di Lucento, raggiungeva l’est,
passando per il Castello di Vialba, il “Castellacium de Vialbe” , legato al 125
nome delI’antica “via Alba” appunto. 126
Il comune di Torino perciò: “cercava di imporre ai signori dei luoghi
circonvicini la custodia dei percorsi di volta in volta praticati, pur riservandosi
di mutarli secondo le sue necessità e proibendoli ai mercanti che avessero
tentato di sottrarre i loro carichi al pedaggio riscosso in città, come si
convenne, ad esempio, nel 1239 con i signori di Beinasco” . 127
Ad est della città di Torino era possibile raggiungere Chieri, risalendo
la collina per poi proseguire in direzione di Asti, oppure raggiungere il ponte
sul Po di Testona, verso Moncalieri e proseguire poi, evitando i grossi dislivelli
collinari. Importante riuslta in questo caso il tema dell’attraversamento del
fiume Po, strettamente legato ai percorsi in uscita dalle porte a sud est della
città. Il territorio collinare, molto importante per ragioni strageico economiche
con la città storica, era raggiungibile sicuramente tramite un vado, presso la
strada di San Vito al Valentino: “il vadum S. Viti è infatti costantemente
ricordato dal XII secolo in poi e rimase in attività anche dopo la costruzione
del ponte. Ad esso adduceva la via publica che vadit ad vadum S. Viti,
doppiata da un sentiero, entrambi correnti sulla sponda sinistra sotto San
Salvario, verisimilmente da nord a sud perpendicolarmente al fiume. Via S.
Viti si chiamava anche la strada che procedeva parallela al Po desubter S.
Gosmarium, forse la stessa che giungeva us que ad Padum attraverso la
zona del rio del fontanile Porcaria, località entrambe ubicabili a monte
dell’attuale parco del Valentino, nella zona approssimabile alle Molinette” . 128
Un simile guado fluviale, non tenderebbe ad avvalorare la presenza di un
ponte, quindi non si può per questa ragione affermare, ma nemmeno
smentire, che ci fosse un ponte di pietra di epoca romana presso la Strada
di Po, al contrario del ponte romano, presente presso l’attraversamento del
torrente Dora, a nord della Porta Palazzo. IL Po verosimilmente veniva
agevolmente attraversato anche da traghetti: “all’inizio del Trecento compare
occasionalmente, fra i diritti in possesso del vescovo, anche quandam
naviglam, forse segno di una possibile attività di navigazione fluviale. I porti
attestati vanno tuttavia intesi come semplici traghetti e ancora negli statuti
cittadini del Trecento si parla di naves e di naute solo in rapporto con
l’attraversamento del fiume” . 129
Dalla Porta Marmorea era quindi facilmente raggiungibile il guado
San Vito, luogo verosimilmente collegato anche con la Porta Fibellona di Po e
gli scavi archeologici hanno riemerso che: “dopo essere stata attivamente
usata nei tempi precedenti, la sede stradale verso il Po, appare in disuso
dalla metà del III secolo in poi; viene riattivata tra la fine del V e la prima metà
del VI secolo rimanendo in uso sino al X. Seguono un nuovo abbandono e
125 Biasin, Maurizio, Rodriguez, Valter, Sacchi, Giorgio, Strada interpoderale romana, in «quaderni del Cds», III, 2004, 5, 57-67
126 Ibid
127 Giuseppe Sergi, Storia di Torino I – dalla Preistoria al Comune medievale, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1997
128 Ibid
129 Ibid
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un nuovo ripristino intervenuto nella prima metà del XII secolo sinché, all’inizio
del XIV, con la costruzione del castello degli Acaia, la porta viene sostituita da
un’altra aperta più ad ovest” . Il ramo nord della via Romea che uscita 130
dall’Urbe tendeva alle Gallie transalpine e la quale si congiungeva con il ramo
ovest della stessa, già detta “Cozia” in onore all’area governata in epoca
romana da “Re Cozio” , proprio dentro la città vecchia di Torino, prendeva, 131
a seconda dei periodi storici, dell’importanza che una città raggiungeva,
rispetto ad un’ altra, lungo il suo percorso e delle varianti, resesi necessarie,
già a partire dall’alto medioevo, a causa degli attraversamenti fluviali della
Dora e della Stura, soggetti a rapido trasferimento a seguito dei processi
erosivi e di divagazione d’alveo, prendeva durante il medioevo, il nome di
“strada soberior” , ovvero Padana Superiore. Le sue molteplici varianti in 132
funzione dei ponti di Dora e Stura, generarono, soprattutto nell’area
compresa tra i due fiumi, una serie di percorsi alternativi, dismessi, chiamati
“strata Vetus” , o “Vetula” . Tutti i percorsi comunque, prima di 133 134
raggiungere il Vercellese e la città di Pavia, passavano dal settimo miglio da
Torino, località probabilmente coincidente con l’attuale Settimo Torinese, indi
per cui prendeva spesso anche il nome di “Strata de Septem” . I ponti e gli 135
attraversamenti di Stura e Dora, nel torinese, erano di fondamentale
importanza per un percorso commerciale così importante; in epoca romana
sulla Dora era presente un ponte in pietra, il quale si era reso
successivamente inutilizzabile, in quanto il torrente aveva cambiato percorso.
Nel 1139 è citato un recente edificio religioso dedicato a San Pietro; “ultra
pontem Durie veteris” con terreni posti “subtus pontem veterim” e 136 137
sempre nelle vicinanze della chiesa venne fondato l’ospedale di Santa Maria
Maddalena, cosicchè tutta l’area, compresa la porzione di strada, almeno
sino alla Stura, prese il nome dalla Santa. Il ricovero era anche definito come
posto appena “ultra Duriam iuxta lapideum pontem” , detto anche “de 138
ponte pera” , o “desubtus pilonum de Petra” , tutto ciò conferisce al 139 140
manufatto una precisa e facile collocazione, essendo l’ospedale e la chiesa,
facilmente riscontrabili nella cartografia storica anche più recente. Tale ponte,
ormai resosi inutile fu letteralmente smontato in blocchi, i quali vennero
riutilizzati poi nella formazione del Castello degli Acaja.
130 Ibid
131 Goffredo Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Maspero Marzorati,
Torino, 1853
132 Giuseppe Sergi, Storia di Torino I – dalla Preistoria al Comune medievale, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1997
133 Ibid
134 Ibid
135 Ibid
136 Ibid
137 Ibid
138 Ibid
139 Ibid
140 Ibid
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ABBADIA DI STURA
SAN MAURO
PULCHERADA BERTOLLA
COLLEGNO
PIANEZZA

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