Ottobre 17, 2017

La popolarità nel mondo di SantAntonio Abate del fuoco lEgiziano araconeta vissuto nel deserto, il culto per il Santo è stato accolto a Novoli nel Salento , per diffondersi fino a Ranverso Torino.

La popolarità nel mondo di SantAntonio Abate del fuoco lEgiziano araconeta vissuto nel deserto, il culto per il Santo è stato accolto a Novoli nel Salento , per diffondersi fino a Ranverso Torino.

 

Pure nella chiesa di S. Antonio a Ranverso (a qualche km. da Rivoli) che ospitava nel 1188 i monaci Antoniani, si conservano antichi affreschi che rappresentano contadini che portano doni ai monaci per ringraziarli delle cure ricevute: un affresco raffigura il dono dei maialetti, la Statua di Sant'Antonio Abate presente a Ranverso ai piedi compare un cinghiale e non il maialino che compare nell'iconografia del Santo molto tempo dopo,  a Novoli geocraficamente molto vicino all'Oriente ai piedi della Statua  che si trova nella Chiesa non compare  il maialino segno evidente che il culto del Santo è nato all'origine quasi subito dopo la sua morte.    


La Sagra di Sant'Antonio Abate

Pochi santi hanno avuto la popolarità di Sant'Antonio Abate, alle cui doti taumaturgiche la gente ricorre per invocare la salute e la liberazione di quella afflizione nota come il "fuoco di S. Antonio"
Il fuoco, infatti, è legato alla tradizione leggendaria del santo abate.
Narra una leggenda antica che, una volta, nel mondo non c'era fuoco e gli uomini avevano freddo. Disperati si recarono nel deserto per invocare l'aiuto del Santo. 
Seguito dal maialino, S. Antonio si recò all'inferno ma i diavoli subito lo riconobbero, gli rubarono il porcellino e non lo fecero entrare. Ma l'animale, scorrazzando dappertutto, combinò tanti guai che i diavoli richiamarono il santo perché se lo riprendesse. 
L'Abate, con il bastone di ferula, ritornò per riprendersi il maialetto, ma lungo il viaggio di ritorno, fece prendere fuoco al suo bastone e, tornato in superficie, accese una catasta di legna.
E fu così che riscaldò la terra. 
A ricordo di questa leggenda si accendono dei grandi falò, a Novoli si accende la Fòcara una mastodontica  struttura di leggno dale peso di 80 tonnellate con un diamtro di metri 23 e un'altezza di 27 metri, costruita con materiali naturali utilizzando i steli della potatura delle vigne,  attorno ai quali si canta e si mangia. Qualcuno, tornando a casa, porta via qualche tizzone ancora ardente o un po' di cenere quale preziosa reliquia.
L'usanza di accendere i fuochi nella notte del 17 gennaio si perde nella memoria dei tempi.
Anticamente si compiva questo rito, non solo per onorare il Santo, ma anche per invocarne l'aiuto per la salvezza degli animali impiegati nei lavori dei campi e per gli animali da cortile, indispensabili per l'alimentazione dei contadini. La legna raccolta per accendere i falò è quella residua della potatura invernale, mentre è usanza diffusa dalle nostre parti, in questo periodo, procedere all'uccisione del maiale e mangiarne la salsiccia fresca.

autore Ersilio Teifreto 

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