I Celti convertiti hanno probabilmente trasferito gli attributi di Lug su sant’Antonio, le cui reliquie erano giunte proprio nelle loro terre, in Francia. SANT’ANTONIO ABATE/LUG, DIO DEI CELTI
I Celti convertiti hanno probabilmente trasferito gli attributi di Lug su sant’Antonio, le cui reliquie erano giunte proprio nelle loro terre, in Francia. SANT’ANTONIO ABATE/LUG, DIO DEI CELTI
SANT’ANTONIO ABATE/LUG, DIO DEI CELTI
Sant’Antonio Abate, Moretto, 1530-1534 Santuario della Madonna della Neve, Auro.
Il lungo periodo invernale, che dalle feste solstiziali conduce all’equinozio primaverile quando il sole, diventato adulto, tocca crucialmente e supera l’equatore celeste inaugurando il periodo più luminoso dell’anno, è contrassegnato da feste e cerimonie di segno diverso; alcune orgiastiche, come il Carnevale e la Mezzaquaresima, altre purificatorie e penitenziali, come la Candelora, il mercoledì delle Ceneri e tutto il periodo quaresimale; altre infine, che rammentano come Sant’Antonio, antichi riti per propiziare gli dei preposti alla fecondità e alla fertilità.
Questa con-fusione testimonia di riti e usanze che risalgono alle arcaiche religioni italiche, ma anche alla celtica, diffusa in tutta la Pianura padana, e a tradizioni greche e orientali giunte nella penisola durante la Repubblica e l’Impero romano: un coacervo culturale sopravvissuto in parte all’evangelizzazione poiché la Chiesa, dopo un periodo di intransigenza nei confronti delle tradizioni pagane, dovette, arrendersi alla constatazione che certe usanze erano inestirpabili e altro non si poteva fare, ragionevolmente, se non smussarne gli aspetti meno accettabili.
Il lungo periodo che preludeva alla primavera, ovvero all’antico Capodanno nell’arcaica religione romana, era contrassegnato da cerimonie per purificare gli uomini, gli animali e i campi, e per favorire, propiziando gli dei, il rinnovamento del cosmo.
Alla fine di gennaio si indicevano le Feriae sementinae durante le quali si procedeva alla lustrazione dei campi e dei villaggi, e si offriva a Cerere e alla Terra una pozione di latte e mosto cotto, detta buranica, sacrificando loro una scrofa gravida accompagnata dalla usuale offerta di farro, mentre le giovenche adoperate nei campi venivano inghirlandate di fiori e lasciate a riposo.
Nel calendario odierno ritroviamo in questo periodo molte feste e cerimonie che sotto il velo di un santo hanno una funzione lustrale e fecondante. La più importante, perché ingloba tutte queste funzioni rivelando i legami sotterranei con varie tradizioni precristiane, è quella di Sant’Antonio abate, che cade il 17 gennaio.
Sant’Antonio è realmente vissuto in Egitto tra il 250 e il 356, e ci è anche pervenuta una sua lettera autentica indirizzata all’abate Teodoro e ai suoi monaci.
Pare sia morto effettivamente il 17 gennaio, e se così è, le leggende e le usanze connesse alla sua festa dipendono dalla sua collocazione calendariale. Così Sant’Antonio ha assunto a poco a poco le funzioni di divinità pagane. È sempre successo che i convertiti trasferissero, all’interno della nuova fede, usanze e riti della precedente, per non perdere la loro l’identità. E infatti ancor oggi il 17 gennaio si benedicono gli animali domestici sul sagrato delle chiese dedicate al santo.
Si offrivano i prodotti della terra al sacerdote che a sua volta distribuiva immagini di sant’Antonio da appendersi come amuleti nelle stalle.
Sant’Antonio è considerato anche il guaritore dell’herpes zoster, ovvero il così detto “fuoco di Sant’Antonio”. Gli agiografi cristiani collegano a questa funzione l’usanza di incendiare, nella notte che precede la festa, grandi cataste di legna, dette “falò di sant’Antonio””, le cui ceneri sono considerate amuleti. In questo contesto il fuoco ha una funzione purificatrice, brucia ciò che resta del vecchio anno, compresi i mali e le malattie. Ma la spiegazione popolare è un’altra, legata alla leggenda: sant’Antonio sarebbe il padrone del fuoco, compresa quella sensazione di bruciore
dell’herpes zoster, e addirittura avrebbe funzione di custode dell’inferno: ingannerebbe i diavoli sottraendo loro alcune anime non meritevoli delle fiamme eterne.
Narra una leggenda del Nuorese che una volta nel mondo non c’era fuoco e si soffriva il freddo. Alcuni uomini chiesero aiuto a Antonio, che viveva nel deserto della Tebaide, affinché gli procurasse del fuoco. L’eremita andò a bussare, con il suo maialino, alle porte dell’inferno. Quando i diavoli lo videro si spaventarono perché conoscevano i suoi poteri, e lo respinsero ma mentre stavano per chiudere la morta, entrò il maialino, che si mise a scorrazzare sconvolgendo la vita dei diavoli. Per risolvere il problema, pregarono sant’Antonio affinché ritornasse all’inferno per riprendersi la bestiaccia. Il santo scese nel regno dei diavoli con l’inseparabile bastone a forma di Tau. Durante la risalita, fece prendere fuoco il bastone, così appena giunto sulla terra poté accendere una catasta di legna e da allora il fuoco ha riscaldato l’umanità.
Sant’Antonio custode dell’inferno, sant’Antonio portatore del fuoco, ovvero della vita agli uomini.
Tutte queste storie, collegate ai santi dei primi secoli, celano un nucleo precristiano.
Si è tuttavia osservato che il maialino in origine era un cinghiale, in un quadro custodito alla National Gallery di Londra, il Pisanello raffigurò l’eremita con un cinghiale.
Il cinghiale era l’attributo di un dio celtico rappresentato come un giovane che porta in braccio l’animale. Secondo Margarethe Riemschneider, studiosa tedesca, questo dio-cinghiale era il simbolo di Lug, rappresentato anche come dio-cervo e dio del gioco. Lug era colui che risorgeva assicurando la resurrezione dell’uomo e, ogni anno, il ritorno della primavera, della “luce”: dunque garante di fecondità e di nuova vita. Era figlio della Grande Madre celtica cui erano consacrati i cinghiali e i maiali, come a Cerere.
I celti lo onoravano al punto di mettere una statuetta di cinghiale sull’elmo e di raffigurarli sugli stendardi. Spalmavano addirittura sui capelli, che portavano corti, una densa poltiglia di gesso perché diventassero rigidi e assomigliassero alla cotenna dell’animale, come testimonia il Galata morente del Museo Capitolino a Roma.
In molte leggende dell’area celtica si narrava la caccia al cinghiale immortale, dell’area celtica si narrava la caccia al cinghiale immortale, attuata per impadronirsi di un pettine e di una forbice posti fra le sue orecchie: allegoria della comunione, in forma di cosmesi, con il dio Lug del quale i capello impomatati in forma di cotenna erano il simbolo. Gli stessi sacerdoti druidi, erano chiamati “Grandi Cinghiali Bianchi”. Neppure il primo Medioevo perse la nozione che il cinghiale fosse un animale divino, se correva voce che tutti i re della stirpe merovingia avessero la spina dorsale coperta di setole al pari dei cinghiali, e se Teofane riferisce che avevano il soprannome di “schiena-pelosa” o di “setolosi”.
I Celti convertiti hanno probabilmente trasferito gli attributi di Lug su sant’Antonio, le cui reliquie erano giunte proprio nelle loro terre, in Francia. In seguito il cinghiale fu sostituito con il maialino, per estirpare il ricordo dell’antica religione precristiana. Giustificarono il maialino con due leggende: la prima narra che il maialino era il diavolo sconfitto dall’eremita e costretto a seguirlo sottomesso (simbolo del diavolo sconfitto dall’eremita), la seconda narra che il santo aveva guarito un maialino e che da quel giorno lo seguiva come un cagnolino.
Alle reliquie di sant’Antonio, traslate nel’XI secolo in Francia e conservate nella chiesa di Saint-Antoine-de-Viennois a La-Motte-Saint-Didier, furono attribuita la virtù di curare l’ergotismo, che venne chiamato “fuoco si sant’Antonio”, grazie al potere dell’eremita sull’inferno e sul fuoco. I malati che si recavano alla chiesa del paese erano così numerosi che si rese necessaria, per accoglierli, la costruzione un ospedale e la fondazione di una confraternita di religiosi per assisterli: ebbe così origine l’ordine ospedaliero degli Antoniani, che prese come insegna la gruccia a forma di tau, un simbolo che in Egitto era attribuito agli dei.
La campanella antoniana, che il santo porta con sé nell’iconografia tradizionale è il simbolo della morte e della resurrezione, anticamente la campanella era simbolo del ventre materno, connessa alla Grande Madre.
Lug, dio della morte e della resurrezione, regnava sugli inferi con questa funzione; nel processo di cristianizzazione, sant’Antonio assunse anche quella di custode dell’inferno, divenne perciò colui che poteva salvare le anime destinate alla dannazione, e quindi “padrone del fuoco”, omologo alle fiamme infernali.
Solo seguendo questo itinerario sotterraneo fra religiosità pagana e cristianità medioevale si può spiegare l’enorme e, a prima vista, incomprensibile popolarità in occidente dell’anacoreta egiziano e della sua festa in cui, si portano a benedire gli animali domestici per scongiurarne le malattie e favorirne la fecondità.
In questa cerimonia l’eco delle lustrazioni antiche è chiaramente percepibile, di conseguenza la memoria dell’eremita svanisce in una fusione di riti, alcuni romani, altri di origine celtica, che hanno la funzione di favorire l’avvento della primavera.
Alfredo Cattabiani, Calendario: le feste, le leggende e i riti dell’anno
Da testimonianze scritte (Vita Antonii, attribuita al suo discepolo Sant’Atanasio) sappiamo che nacque a Coma, in Egitto, nel 250 d.C., da una agiata famiglia di agricoltori.
A vent’anni, rimasto orfano, decise di seguire la via della povertà e dell’ascetismo. Nel corso della sua vita assai solitaria, fu ripetutamente tormentato da forti tentazioni e addirittura “aggredito” dal demonio.
Per 20 anni si isolò tra le montagne del Pispir, sul Mar Rosso, in una fortezza romana abbandonata, vivendo solo di pane e acqua.
Col passare del tempo altre persone lo seguirono, attratti dal suo rigore e dalla sua santità, tanto che divenne la guida spirituale di un gruppo di seguaci che vivevano in eremitaggio, i Padri del Deserto.
Trascorse gli ultimi anni nel deserto della Tebaide orientale (alto Egitto), pregando e coltivando un piccolo orto insieme a due monaci, che l’accudirono fino al giorno della morte, il 17 gennaio 357. Fu sepolto dai suoi discepoli in un luogo segreto.
Pisanello, Madonna col Bambino, Sant’Antonio Abate e San Giorgio, ca 1440-50, National Gallery di Londra