Facciata dell’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso presso Avigliana, 1798 ca. Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm 14,4×19. GAM, Torino.
Facciata dell’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso presso Avigliana, 1798 ca. Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm 14,4×19. GAM, Torino.

In questa pag.: 41. Facciata dell’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso presso Avigliana, 1798 ca. Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm 14,4×19. GAM, Torino
Viaggio romantico pittorico del Paroletti, anticipando mirabilmente quell’indagine storico – critica sull’architettura medioevale,
condotta nel secondo Ottocento dal D’Andrade. (39) L’indagare, quasi il vivisezionare i dettagli, mostrando una capacità realizzativa costruita su un disegno che non ammette incertezze, disponendosi ad accogliere l’acquerello che ne edulcorerà la forma. In questa casa diroccata e la stilistica con la quale ci viene mostrata, vi è la quintessenza dell’immensa cultura in senso lato del De Gubernatis. Non attrae solo la sua capacità di narrare gli stili, ma il come li illustra, ed ancora come ci invita ad entrare nell’opera, attratti dal barbaglìo luminoso in fondo alla stradina che, oltrepassato l’arco, quasi ferisce l’occhio già colpito dal fascino della bifora inserita in quel lacerto di una preziosa architettura decorativa. La natura d’attorno, saggiamente inserita in una mera forma partecipativa, edulcora gli antichi resti e lascia la parte del primo attore alle verzure, ed alle piante spontanee, cresciute fra le rugosità dell’antico cotto. Case contadine si sono impossessate della preziosa antichità e, pur nella loro semplicità, partecipano alla composizione con dignità. Due figurine conversano all’entrata dell’arco, una par indichi la bellezza dell’ambiente che li circonda; probabile siano due viaggiatori o forse, ancor meglio, due artisti, magari un poeta ed un pittore, compresi in una loro conversazione preludio di opere ancor da compiere. La carriera di funzionario pubblico non gli impedirà di continuare a dedicarsi agli studi ed alla pittura, che gli consentiranno di alternarsi fra l’indagine storica ed architettonica (40-41) e le vedute di ampio respiro legate al puro paesaggio.
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In questa pag.: 40. Facciata di piccola chiesa gotica con lunetta dipinta sul portale (Parrocchiale di Salbertrand), 1805. Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm 36,7×52. Galleria d’Arte Moderna, Torino. 41. Facciata dell’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso presso Avigliana, 1798 ca. Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm 14,4×19. GAM, Torino
Viaggio romantico pittorico del Paroletti, anticipando mirabilmente quell’indagine storico – critica sull’architettura medioeva
le, condotta nel secondo Ottocento dal D’Andrade. (39) L’indagare, quasi il vivisezionare i dettagli, mostrando una capacità realizzativa costruita su un disegno che non ammette incertezze, disponendosi ad accogliere l’acquerello che ne edulcorerà la forma. In questa casa diroccata e la stilistica con la quale ci viene mostrata, vi è la quintessenza dell’immensa cultura in senso lato del De Gubernatis. Non attrae solo la sua capacità di narrare gli stili, ma il come li illustra, ed ancora come ci invita ad entrare nell’opera, attratti dal barbaglìo luminoso in fondo alla stradina che, oltrepassato l’arco, quasi ferisce l’occhio già colpito dal fascino della bifora inserita in quel lacerto di una preziosa architettura decorativa. La natura d’attorno, saggiamente inserita in una mera forma partecipativa, edulcora gli antichi resti e lascia la parte del primo attore alle verzure, ed alle piante spontanee, cresciute fra le rugosità dell’antico cotto. Case contadine si sono impossessate della preziosa antichità e, pur nella loro semplicità, partecipano alla composizione con dignità. Due figurine conversano all’entrata dell’arco, una par indichi la bellezza dell’ambiente che li circonda; probabile siano due viaggiatori o forse, ancor meglio, due artisti, magari un poeta ed un pittore, compresi in una loro conversazione preludio di opere ancor da compiere. La carriera di funzionario pubblico non gli impedirà di continuare a dedicarsi agli studi ed alla pittura, che gli consentiranno di alternarsi fra l’indagine storica ed architettonica (40-41) e le vedute di ampio respiro legate al puro paesaggio. (42) Una visione del paesaggio la sua che mai escluderà la solita grande acutezza descrittiva, negando l’importanza d’assieme di un ambiente naturale per prenderne in visione segmenti di indubbia suggestione. Si noti, in quelle cime strapazzate dal vento, la plasticità dell’andamento e dell’inclinazione delle fronde, indagate nel loro volume e nel dettaglio fogliare. La natura d’attorno diverrà mera partecipazione, presentandosi quale macchia dall’ombrosa evanescenza per dar risalto al tocco della luce solare, che tanto ci ricorda quel suo colpire i soggetti filtrando fra le nubi. Vien così messo in risalto, la terza dimensione, ovvero l’azzurrità di un cielo che fascia di positività una natura dall’indubbio fascino romantico, dove il fenomeno, ancor a venire, viene presagito dall’occhio, ma ancor prima dall’intimo sentire del pittore. Stupisce, ed al contempo affascina, il leggere sul De Gubernatis l’attribuzione conferitagli dalla critica dell’epoca conservatasi fino a non molto tempo fa, ovvero la figura del pittore “Dilettante”. Fu Parigi che gli diede la possibilità di approfittare di tutti gli stimoli della grande metropoli: i Salon, gli studi degli artisti, le dimore dei personaggi che un funzionario del suo grado poté frequentare, i contatti con i mercanti d’arte. Le sedute di studio al Louvre, ed il Dépôt de la Guerre, l’ufficio coordinatore del lavoro delle Sezioni topografiche delle armate napoleoniche attive in Europa, dove poté apprendere i concetti legati al culto dell’esattezza della visione topografica, ambiente a cui fece capo anche il suo primo maestro, Giuseppe Pietro Bagetti. Sarà appunto per merito di tutte queste acquisizioni che, una volta in Parma, nel 1806, accrescerà la sua potenzialità pittorica, affidata fino a quel momento esclusivamente alla cromia, dando profondità alla visione, iniziando a realizzare vedute dalle rigorose leggi prospettiche e permeate da una raffinata luminosità. L’atmosfera parmense, distintasi all’epoca per il suo grande respiro culturale, diverrà culla e fucina di opere in cui vi eromperà un non so ché di familiare, di quotidiano, insomma una sorta di momento felice della vita, una vera testimonianza di spiccata simpatia. Nel 1812, anno importante e di svolta per la sua carriera, concluso il suo soggiorno in Parma, farà il suo esordio al Salon parigino, raggiungendo il vertice massimo dei suoi diuturni studi e ricerche sulla resa pittorica dell’acquerello, proponendo la mémoire del suo (43) studio nella città emiliana.