Ci limitammo perciò a scrostare un pezzo di muro della cappella laterale al campanile; e vi abbiamo scoperto una testa di S. Gerolamo nel deserto;
Ci limitammo perciò a scrostare un pezzo di muro della cappella laterale al campanile; e vi abbiamo scoperto una testa di S. Gerolamo nel deserto;
62 ed ivi erano poi dispensati dal mattutino e dal vespro per rovinare i capi d’opera delle loro chiese e conventi. Ed a noi accadde nelle nostre perlustrazioni di avere veduto talvolta sotto a tali ristauri un tanto di iscrizione commemorativa: come Pater Felix, o Modestiis restauravit et perfecit anno salutis …!!! Malgrado tali sfregi, ella è pur degna questa pittura, come già si disse più sopra, di essere conservata e restaurata. Ma d’uopo è d’intenderci sul motto restaurare, ché a nostro avviso non vuol essere preso per rifare; ciò che sarebbe ricadere nell’errore da noi biasimato. Secondo noi il ristauro è l’operazione colla quale si cerca di arrestare il guasto incipiente od avanzato, si cerca di togliere, se possibile, la parte sovra dipinta; si trasporta pur anco, ove occorra, il fresco da muro a muro, o sopra cannicciato; ma non si deve rifare; poiché in tal caso non é più restauro. In una diligente relazione fatta a S. E. il conte Cibrario, in allora primo segretario di S. M. pel grande Magistero dell’ordine Mauriziano, fatta li 11 agosto 1869 dalli ingegneri C. Dorella e Camusso, si faceva proposta di restauro delle pitture della sacrestia. E di tale avviso siamo noi pure; ma prima di suggerire il modo di riparazione, convienci esaminare il genere ed il grado di deterioramento delle pitture stesse. 1° Il primo guasto, come già si disse, è quello fatto dal vandalico ridipintore. 2° Per quanto appaiano, al primo aspetto, umide le pareti, noi ci siamo convinti coi mezzi dell’arte che desse noi sono. Abbiamo però constatato in talune parti, e specialmente nella sinistra, quei certi sollevamenti o rigonfi, che rendono dapprima ondeggiante la superficie del dipinto, e quindi col lungo incedere degli anni fanno spostare larghi pezzi di intonaco, e tolta loro l’aderenza li fa cadere. 3° Abbiamo pure constatato che sulla pittura giacciono infiniti strati di polvere che, cementata dal tempo, formò una crosta solida e tenace. Proporremo i rimedi, ed i modi di restauro in ordine inverso: e premesso che simili lavori devono essere affidati a colui che sia valente e profondo nell’arte difficile e delicata del ristauro, e non ad un guasta mestiere, diremo che la crosta terrea formata dalla polvere secolare, si toglie con mezzi semplicissimi dettati dalla scienza e dall’esperienza, fra i quali è pure commendevole quello della mollica di pane fresco. Devono però essere bandite le così dette acquette composte di soluzione di potassa o di soda, le quali lasciano sempre una patina biancastra opaca che diventerà indelebile. Egli è questo un rimedio peggiore del male stesso.
63 Nè noi possiamo ammettere il nuovo sistema di vernici con base di cera per dar brio agli affreschi. Sistema che ne adultera e cangia completamente il carattere, ed annerisce col tempo e sciupa la pittura. Quanto ai rigonfi, od ai pezzi che si innalzano, si spostano, e quindi rischiano di cadere, noi siamo d’avviso che si possano da persona perita sostenere, rafforzare, e tenere a luogo per tempo indeterminato, con cemento apposito infiltrato con strumenti addatti a mo’ di stucco tra il pezzo che si solleva, ed i pezzi circostanti. Ed ove è d’uopo, anche con rampini abilmente infissi, e nascosti. Questo mezzo noi abbiamo veduto adoperato nelle pareti del chiostro di S. Maria di Vezzolano presso Albugnano in Astigiana, sotto la direzione e le intelligenti cure dei proprietari signori fratelli Serafino. A questi benemeriti signori è dovuto il più grande encomio per aver salvato da certa rovina uno fra i più preziosi resti d’arte primitiva del nostro paese. Per ultimo i barbari ritocchi vogliono essere attentamente esaminati da persona ben versata; e vuolsi indovinare quali sieno gli ingredienti mescolati al colore del ristauro. Facil cosa sarebbe il toglierli, ove non si trattasse che di colla o latte; ma assai più difficile riuscirebbe ove ai colori andasse unito l’uovo o l’aceto, od altre materie mordenti adoperate nella pittura a tempera. Questo sarà il compito dell’artista conscienzioso e versato nell’arte sua, il quale dovrà pure con prove e riprove accertarsi, che esista ancora realmente la pittura originale sotto al restauro. Poiché in caso contrario meglio è lasciar le cose come sono, e limitarsi alla conservazione della parte originale rimasta intatta. Noi facciamo voti adunque perchè il Gran Magistero, il quale già per mezzo dei compianti conte Cibrario e commendatore Castelli, ed ora dal benemerito primo ufficiale commendatore Cova, ha dimostrato preoccuparsi altamente della conservazione delle pitture di S. Antonio di Ranverso voglia ora, dietro gli eccitamenti e studii fatti dalla nostra Società di Archeologia ed Arte, dare quei provvedimenti che valgano a conservare all’arte queste reliquie che ridondano a lustro del nostro paese. Continuando la descrizione delle pitture della sacrestia, diremo: che nell’arco verso ponente è dipinto Gesù nell’Orto; verso levante, l’Annunziata, e verso sud, i ss. Pietro e Paolo. Queste pitture, che noi crediamo di diverso autore, hanno pure i loro pregi, specialmente per l’espressione naturale e soave nei volti. Desse sono sbiadite in alcune parti, ma sfuggirono, per buona fortuna, al restauro. I quattro Evangelisti seduti in cattedra delle quattro lunette della vôlta, sono di
64 buon disegno e di buon pennello, ed accusano il fare del principio del xvi secolo. Dessi appaiono i meglio conservati. Ma non conviene fidarsi al solo sguardo: e d’uopo è, con aiuto di ponti e scale, di accertarsi col tocco che non vi sieno pezzi i quali, perduta l’aderenza, potrebbero all’improvviso staccarsi e cadere. Era per ultimo nostro còmpito l’occuparci delle pitture che coprono pressoché tutte le pareti della chiesa, nonché l’atrio di S. Antonio di Ranverso, state tutte, or fanno vari anni, ricoperte da bianco di calce: e della neccessità di tali ricerche è pure fatta menzione nella sopra ricordata relazione Borella e Camusso, compiuta d’ordine del conte Cibrario. Seppimo dal benemerito e reverendo cappellano don Quartino che, oltre alle pitture coperte di calce, esistono pitture tutt’ intorno al coro nascoste dietro agli stalli. Assistiti dai buoni uffizi del signor economo attuale, fatti venire operai falegnami dal vicino villaggio di Rosta, tentammo di far scostare almeno uno degli stalli per assicurarci dell’esistenza e del valore dei dipinti; ma per essere i medesimi connessi l’uno all’altro, e formanti come un corpo solo, ed assicurati solidamente al muro con bracci di ferro, ebbimo a rinunciare al tentativo in attesa di ottenere dal Magistero la facoltà di tale spostamento ed esplorazione. Ci limitammo perciò a scrostare un pezzo di muro della cappella laterale al campanile; e vi abbiamo scoperto una testa di S. Gerolamo nel deserto; e nella parte rimessa alla luce abbiamo osservato essere pittura del principio del 1500, e di pennello eguale, se non medesimo, delle pitture della sacrestia. Noi non dubitiamo che l’eccellentissimo Ministero dell’ordine Mauriziano, continuando nelle sue buone disposizioni, ed assecondando i desiderii della Società di Archeologia ed Arti, nonché i voti degli intelligenti, vorrà nell’anno venturo dar le disposizioni necessarie, perchè coll’aiuto e direzione della Società stessa possano essere conservate e restituite all’ammirazione del pubblico le antiche pitture di S. Antonio di Ranverso.
65 S. ANTONIO DI RANVERSO PRESSO AVIGLIANA. Nell’antica chiesa abbaziale di S. Antonio di Ranverso, propria dell’ordine de’ Ss. Maurizio e Lazzaro, ammirasi il celebre trittico doppio, eseguito per la città di Moncalieri: quello stesso di cui furono trovati, come già si disse, gli autentici documenti comprovanti la notizia del vero suo autore Defendente De Ferraris da Chivasso. Questo importante trittico, colle sue colonne di doppio ordine sovrapposte l’una all’altra, colle sue cornici di finissimo intaglio, col suo incoronamento e base, forma come un elegante edificio nel quale stanno incastrati i molti preziosi dipinti. Gli ornamenti sono deaurati auro fino et bono et campi entagliatorum de azurro fino, come è prescritto nella precitata scrittura di commissione del 1530. Nel centro è dipinta la Natività, cioè la Madonna in adorazione del bambino Gesù giacente nudo sul lembo del suo manto. La Vergine SS. in veste rossa, ornata il collo ed i polsi di perle e di finimenti d’oro in rilievo, e di trine di finitissimo lavoro. Sono pure d’oro in rilievo i raggi circondanti il capo di ciascun personaggio. Il fondo di questa tavola centrale è di vaga prospettiva. I santi laterali sono: a destra S. Bernardino da Siena col monogramma radiante del nome Jesu, e S. Rocco, ed a sinistra S. Sebastiano e S. Antonio. Sta in cima del trittico l’Ecce Homo, e lo stemma della città di Moncalieri. La predella è divisa in sette scomparti e rappresenta, cominciando da sinistra: 1° Conversione di S. Antonio, 2° Distribuzione delle sue sostanze ai poveri, 3° Tentazione di S. Antonio, 4° S. Antonio nel deserto, 5° Visita di S. Antonio a S. Paolo eremita, 6° Morte di S. Paolo eremita, 7° Morte di S. Antonio eremita. Le divisioni tra l’uno e l’altro dipinto sono fregiate di rabeschi, dipinti e disegnati alla Raffaellesca. Il S. Sebastiano, di aspetto giovanile, è vestito di manto e tunica colla destra armata di freccie, e la sinistra di spada sguainata. S. Rocco vestito da pellegrino tiene scoperta la coscia colla piaga contratta nell’assistenza agli appestati; e sulla sua pellegrina oltre alle conchiglie, ha pure due chiavi argentee messe in croce, sormontate
66 dalla berretta papale: ciò che vuolsi sia a dimostrare il pellegrinaggio da Mompelieri a Roma, per visitare le tombe dei santi Pietro e Paolo. Queste particolarità, come pure l’Ecce Homo posto in cima al trittico, sono tutte identiche a quelle già notate nel secondo triptico della cattedrale di Avigliana. Le due valvole doppie sono dipinte e dorate da ambe le parti, e rappresentano i santi Cristoforo e Paolo eremita, S. Gerolamo e S. Maurizio, ornati all’intorno da lavoro ingegnosissimo in chiaroscuro di stile orientale. ( 1 ) 1 V. foto a p. 158.
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