Novembre 12, 2023

VECI RICORDI DE ‘NA OLTA –

VECI RICORDI DE ‘NA OLTA –

“LA STADERA”

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VECI RICORDI DE ‘NA OLTA –

“LA STADERA” –

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Nell’antica Roma la “stadèra” (statera in latino) era una bilancia ad un solo piatto (in metallo) che pendeva mediante più catenelle da un’estremità dello stelo o asta pesatrice. Gli oggetti che dovevano essere pesati potevano, a seconda dei casi, poggiarsi sul piatto o appendersi a un uncino fissato a un disco in corrispondenza del piatto e a sua volta tenuto fermo per mezzo di catenelle più corte all’estremità dell’asta, in vicinanza della quale erano fissati uno o due uncini, i quali servivano a spostare l’equilibrio della bilancia e in conseguenza a diminuirne o aumentarne la portata. Quindi la “stadèra” romana in origine si basava sul principio delle leve; era cioè costituita da una leva a braccia diseguali e da un fulcro che, in genere, si presentava fisso. Sulle facce dell’asta a forma di parallelepipedo, in corrispondenza di ogni uncino di attacco, era segnata una speciale graduazione (scala) che corrispondeva alla portata della bilancia sospesa ai rispettivi uncini d’attacco. Il peso (detto peso romano) era fatto scorrere su questa graduazione; esso era assai spesso in forma di bustino umano, o di altra figura, e lavorato talvolta con fine intento d’arte. Sul braccio più corto poteva esservi o un piatto o un gancio recanti l’oggetto o la merce da pesare. Facendo scorrere il “romano” lungo la scala si raggiungeva una posizione di equilibrio (“el calìbrio”) nella quale il braccio graduato si portava in posizione orizzontale. Dalla posizione del “romano” sulla scala si leggeva dunque il peso cercato.

Probabilmente la portata delle stadere romane era uguale a quella delle moderne (kg. 10-150). Col nome “statera” era designata talora anche la bilancia a due piatti (trutina, libra).

La tradizione vuole che la “stadèra” sia stata inventata dai Campani (nome col quale però si indicava l’antica città di Capua, l’odierna Santa Maria Capua Vetere e poi tutta la regione), secondo quanto scritto da Sant’Isidoro:

” Campana a regione Italiae nomen accepit ubi primum eius usus repetus est. Haec duas lancias non habet, sed virga signata libris, et uncis, et vario pondere mensurata. “

La stadera moderna. – La stadera, o bilancia romana, mantiene ancora oggi press’a poco le stesse caratteristiche e forme dell’età antica. Si compone infatti di due braccia disuguali, la minore delle quali sostiene un piatto, o un gancio, o altro mezzo per reggere l’oggetto che si vuol pesare; lungo il braccio maggiore scorre un peso costante “romano” o “piombino”); tale braccio reca divisioni (“tacche”), la cui numerazione fa conoscere il peso del corpo situato sopra il piatto, o attaccato ai ganci. L’insieme delle due braccia della stadera (che formano un’unica sbarra metallica) si chiama “stilo”; lo stilo è a sua volta sospeso a un gancio, che serve ad appendere o a reggere la stadera.

La stadera è, come risulta dalla descrizione fattane, una leva di primo genere, in cui la potenza può essere posta lontano dal fulcro assai più che la resistenza, cosicché un peso relativamente piccolo può fare equilibrio a una massa assai pesante.

La “stadèra” ha rappresentato sino ad un passato abbastanza recente uno strumento di pesatura delle merci molto utilizzata e diffusa tra i commercianti e soprattutto nei mercati. Non vi era infatti, anche nella Lessinia del passato, “boteghèr o comersànte” che ne fosse privo. La si poteva vedere dal “verdàro o frutaròl” (ortolano/fruttivenodolo), bottegai in genere, el “becàr” (salumiere), ma era soprattutto nelle fiere e nelle sagre di paese che veniva impiegata necessariamente per poter pesare le merci di media volumetria.

Per le merci più consistenti e pesanti era invece in uso la cosiddetta “bassacùna”, cioè la bilancia bascula.

La “bassacùna” era una particolare bilancia a bilico che veniva impiegata per i pesi notevoli, per rispondere ad esempio alle esigenze dei grandi negozi, magazzini, dei consorzi agrari, delle aziende agricole o dei “casàri” quando vendevano grandi di formaggio.

Le “bassecùne” avevano, infatti, una grande portata ed erano create appositamente per ospitare merci voluminose sulle loro piattaforme resistenti.

Questa particolare bilancia era formata da una pedana sulla quale andava collocata la merce da pesare, la quale era in equilibrio con un contrappeso dove si trovava la barra graduata che portava incise le misure ed accoglieva, tramite un piattino, i pesetti.

La piattaforma sulla quale veniva sistemato il corpo da pesare trasmetteva in questo modo la pressione ricevuta al giogo e, attraverso un complesso sistema di leve, si arrivava a quantificarne il peso con grande precisione.

La misurazione tramite la “bassacùna” richiedeva, in particolare, lo spostamento dei piccoli pesi posizionati sull’apposita barra di misurazione i quali venivano mossi lievemente per creare l’equilibrio indispensabile ad ottenere la massima precisione.

Questi piccoli movimenti oscillatori consentivano di determinare in maniera precisa il peso ripetendo gesti che erano accompagnati da pazienza e perizia oramai da secoli. Oggi il sistema meccanico della “bassacùna” è stato completamente sostituito dalle modernissime bilance digitali. E’ chiaro però che i moderni sistemi non danno la stessa atmosfera nostalgica di un tempo, dove i preparativi, i rituali della ricerca manuale del peso esatto ravvivavano il mondo del commercio del passato e davano la possibilità ai i più “furbetti” commercianti di poter fregare sul peso, sabotando infatti con espedienti la base della bascula come è stato raccontato avvenisse in passato in alcuni paesi dei nostri monti.

Per i pesi di piccola entità era in uso nel passato la cosiddetta “balànsa da scarsela” (la bilancia da tasca), rappresentata dal dinamometro che consentiva di attuare il peso sino 15 – 20 Kg di merce.

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