Restauro scientifico di Gustavo Giovannoni la ricostruzione è focalizzava sulla ricostruzione delle strutture originali. guidata dal desiderio di preservare il valore storico di un edificio , e di ripristinare la sua autenticità come i portali di Ranverso
Restauro scientifico di Gustavo Giovannoni la ricostruzione è focalizzava sulla ricostruzione delle strutture originali. guidata dal desiderio di preservare il valore storico di un edificio , e di ripristinare la sua autenticità come i portali di Ranverso
Come il restauro “scientifico” di Gustavo Giovannoni, che si focalizzava sulla ricostruzione delle strutture originali.
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La storia dell’architettura fino a 100 anni fa era una disciplina pratica esercitata dai laureati in lettere. A metà anni 90 del 800 Adolfo Venturi costruisce la scuola di specializzazione in storia dell’arte alla Sapienza di Roma formando una fortissima schiera di storici dell’arte, Adolfo istituì l’obbligo delle visite di istruzione per gli specializzandi dando un bagaglio personale di conoscenza anche materico-visivo. Fino agli anni ’20, la storia dell’architettura in Italia era affidata a laureati in lettere con una solida formazione umanistica, spesso provenienti da licei classici.Venturi vedeva la storia dell’architettura come storia delle forme, analizzando principalmente elementi architettonici come capitelli e basi, cercando di individuare se una certa opera era presenti nei trattati di architettura, di Alberti, Palladio. Nel frattempo i suoi allievi che conoscevano bene quello che stava accadendo anche altrove, conoscevano la scuola di Vienna dove Riegl aveva cominciato a studiare la storia dell’arte anche come storia delle tecniche costruttive. Mario Salmi, allievo di Venturi, già in sede di scuola di specializzazione aveva studiato l’architettura romanica toscana e divenne un importante accademico e responsabile del restauro post-bellico delle chiese romaniche in Toscana, insieme a Guido Morozzi ripristinarono molte chiese romaniche in Toscana, spesso cancellando le modifiche sei-settecentesche. Venturi aveva una forte influenza nel sistema universitario italiano. La sua approvazione era spesso necessaria per avanzare nella carriera accademica nella storia dell’arte → non si diventava professore universitario di storia dell’arte senza l’assenso di Adolfo Venturi, così come non si diventava accademici di archeologia senza la buona parola di Amedeo Maiuri. Venturi era presente nelle commissioni e alla fine degli anni 20 ha fatto una fondazione per distribuire borse di studio, consolidando il suo controllo nell’ambito accademico. GIOVANNONI Una posizione alternativa a questa visione dell’architettura come storia delle forme è l’Ingegnere e storico dell’arte, Giovannoni, specializzato in storia dell’arte seguendo il corso di Venturi fondò nel 1919 la prima scuola superiore di architettura in Italia, che nel tempo diventerà la prima facoltà di architettura in Italia e Europa. Noto per aver costruito il l quartiere della Garbatella a Roma, lo stabilimento Peroni a Roma trattato come un pezzo di archeologia industriale, ha restaurato l’abbazia di Montevergine, sicuramente ha dato un contributo sistematico al restauro in Italia, restauro di ambito tardo positivista, cosiddetto “restauro scientifico” = approccio si basa su una comprensione approfondita delle tecniche costruttive originali, Prima di intervenire su un edificio, vengono effettuati studi dettagliati e documentazioni scientifiche → l’analisi strutturale, datazione dei materiali e l’esame delle tecniche costruttive originali, scopo è la conservazione dei materiali originali, evitando sostituzioni non necessarie mantenendo il più possibile l’integrità dei materiali e delle tecniche originali. Prima della scuola creata da Giovannoni si diventava ingegneri seguendo il corso biennale di matematica e fisica. Dopo il biennio, proseguivano nelle scuole di applicazione degli ingegneri, dove studiavano materie tecniche specifiche come scienza delle costruzioni, tecnica, idraulica. Mentre si diventava architetto frequentando l’accademia di belle arti italiana. Spesso, i ruoli di ingegnere e architetto si intersecavano ma c’era una suddivisione non dichiarata delle responsabilità: ● Ingegneri : Si occupavano della solidità strutturale, dimensionamento e calcolo delle costruzioni. ● Architetti : Erano responsabili dell’estetica e del design, conferendo bellezza e armonia agli edifici.
Gustavo Giovannoni, riconoscendo i limiti di questa suddivisione, fondò la prima scuola superiore di architettura in Italia. L’obiettivo era di formare architetti con competenze sia estetiche che tecniche. Da lì si formarono scuole di architettura a Torino, Milano, la + prestigiosa a Venezia. Questo nuovo approccio rispondeva alla necessità di avere professionisti capaci di gestire sia l’aspetto estetico che quello tecnico delle costruzioni, specialmente nel campo del restauro dei monumenti perché fino a fine 800 gli interventi sul piano tecnico erano affidati a ingegneri del genio civile che sapevano molto di statica e stabilità ma non avevano mai studiato storia dell’arte o storia dell’architettura. Nel 1884, furono create le delegazioni regionali per la conservazione dei monumenti.Nel 1891, questi uffici furono riorganizzati come uffici regionali per la conservazione dei monumenti.Con la legge 185 del 1902, questi uffici divennero sovrintendenze, simili a quelle conosciute fino alla riforma Franceschini che ha centralizzato le competenze nei sovrintendenti suddivise in varie specializzazioni: gallerie, monumenti antichi, monumenti medievali e moderni, archeologia, e beni architettonici e storico-artistici. Nonostante la teoria prevedesse uffici con personale qualificato per il restauro dei monumenti, in pratica, molti incarichi erano assegnati senza concorso, spesso tramite nomina ministeriale. Gli incaricati erano spesso architetti diplomati nelle scuole di belle arti o ingegneri provenienti dal genio civile o dalla professione privata, con esperienza nel campo del restauro.C’erano gravi limiti perché mancava un orientamento condiviso e standardizzato per il restauro. Benchè già negli anni Ottanta, in Italia, ci si accordò sui principi del restauro, basati sui prudenti principi del restauro archeologico. Questi principi includevano: ■ Limitazione delle Integrazioni: Le integrazioni ai monumenti dovevano essere limitate a quelle strettamente necessarie per garantire la stabilità delle strutture. ■ Distinguibilità delle Integrazioni: Le aggiunte o modifiche dovevano essere distinguibili dall’originale, per mantenere la leggibilità storica del monumento. Ad esempio a Pompei, Ercolano, Paestum gli interventi, se necessari, devono essere distinti dall’originale per non alterare l’integrità storica dei monumenti. Questo approccio era già evidente per gli storici dell’arte dal secondo 700, come descritto da Alessandro Conti nella sua “Storia della conservazione”. Giovannoni ha fondato le facoltà di architettura con l’obiettivo di formare un “architetto integrale”, ovvero l’architettore restauratore che avesse 3 competenze: ● Statiche e Strutturali : Studiando materie come analisi matematica, statica degli edifici, scienza delle costruzioni e tecnica delle costruzioni. ● Progettuali : Con corsi di progettazione dal primo al quinto anno, sviluppando capacità inventive e di prefigurazione dell’edificio. ● Storico-Critiche : Studiando storia dell’architettura, storia della città o urbanistica, e caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti. Questo permetteva un’analisi storico-costruttiva delle forme e dei materiali dell’architettura del passato. Il modello di formazione introdotto da Giovannoni ha avuto grande successo, portando alla creazione di numerose facoltà di architettura in Italia. Giovannoni, nel 1922, inizia a laureare i primi architetti integrali. Grazie alle semplificazioni del percorso riservate ai reduci di guerra, alcune persone, specialmente i giovani del ’99, hanno potuto laurearsi in architettura in tre anni, considerando che avevano già combattuto
dell’architettura, che ancora adesso esce, con qualche difficoltà di periodicità. Anche in questo caso Palladio ospitava e ospita contributi quasi esclusivamente di architetti. Negli anni successivi, le cattedre di storia dell’architettura nelle università italiane furono occupate prevalentemente da architetti, escludendo quasi del tutto gli storici dell’arte. Per cui alla metà degli anni 30 era ormai consolidato un sistema della storia dell’architettura di tipo pubblicistico e accademico fortemente emancipato rispetto alla storia dell’arte. Si trattava di una storia dell’architettura di tipo tardo-positivista che non si occupava solo di mere forme ma anche degli aspetti costruttivi, di stabilità e non solo per la prima volta, la storia dell’architettura analizza come i materiali influenzano la progettazione e la realizzazione degli edifici. Ad esempio, il tipo di pietra utilizzata per un capitello—sia essa marmo, calcare, granito o piperno—condiziona notevolmente le possibilità di lavorazione e decorazione. Il piperno, una pietra vulcanica napoletana, è meno fine rispetto al marmo e ha una tessitura grossolana, limitando la possibilità di realizzare capitelli dettagliati e questo tipo di osservazione gli storici dell’arte non l’avevano mai fatta perché si concentrano ancora sulle forme, astratte spesso peraltro non visitando le opere, spesso si basavano su fotografie e non considerava in dettaglio le caratteristiche materiali degli edifici. GESÙ NUOVO La facciata del Gesù Nuovo a Napoli è realizzata in piperno. Tuttavia, l’edificio non è sempre stato una chiesa; originariamente era un palazzo quattrocentesco appartenuto alla famiglia Sanseverino, la famiglia + importante del mezzogiorno. Ha una facciata a bugni a punta di diamante + antica di almeno 10 anni rispetto al palazzo dei diamanti a Ferrara. napoli ferrara Alla fine del Cinquecento, il palazzo fu acquistato dai Gesuiti, che lo trasformarono in una chiesa, progettata da Giuseppe Valeriani. Qui succede una cosa interessante: il progetto di
Valeriani era quello di atterrare tutto ma perché la città ha fatto un appello a Filippo II di Spagna, e ha detto che quello è uno dei simboli della storia della città, del momento in cui c’era l’importante famiglia aragonese quindi il compromesso è stato di conservare almeno la facciata e il fianco occidentale dell’edificio. Questo atto di conservazione rappresentava una rivendicazione politica della città, che, pur essendo sotto il dominio spagnolo, voleva mantenere un legame con il suo passato di regno autonomo. Recentemente, la facciata è stata restaurata in modo controverso, con un intervento che ha rimosso gran parte della patina storica. Questo tipo di intervento è criticato perché la patina è considerata un elemento essenziale del valore storico dell’opera. Analoghe critiche sono state sollevate per il restauro della Cappella Sistina, dove la rimozione degli interventi di Daniele da Volterra e altre modifiche sono state viste come violente e discutibili. Giovannoni adottava una prospettiva positivista nella storia dell’architettura, privilegiando i centri di produzione artistica felici. La sua storia dell’architettura era diventata una storia delle tipologie edilizie, una storia delle trasformazioni su base comparativa, analizzando le variazioni delle tipologie edilizie e il loro sviluppo nei principali centri, come Firenze e Roma. Per Giovannoni, la storia dell’architettura si focalizzava sui modelli tipologici e sulle loro derivazioni. Chiese Medievali: Giovannoni esaminava le chiese in base alle loro tipologie, come le basiliche a pianta centrale o a tre navate con transetto non sporgente e la struttura termina con tre absidi, Esempi includono la Basilica di Sant’Angelo in Formis e le chiese di Desiderio, con un focus sul modello cassinese e le sue derivazioni nel romanico pugliese. è una storia di centri e derivazioni, in cui il più antico e il più raro ha il maggiore interesse e valore → Giovannoni attribuiva maggiore valore alle opere più antiche e rare, come la pianta stellare di Santa Sofia a Benevento, fondata al tempo di Arechi II, pianta unica nell’Occidente o le torri triangolari di Castel Volturno. Per Giovannoni, i centri principali dell’architettura rinascimentale erano Firenze e Roma, con particolare enfasi su Brunelleschi, Bramante, Raffaello e Michelangelo. Napoli, pur avendo prodotto opere rinascimentali, era considerata una derivazione di questi modelli centrali. Questo metodo era usato anche per valutare l’architettura del primo barocco, attribuendo grande importanza a Bernini rispetto a Borromini, ritenuto troppo singolare e difficile da comprendere. Le opere barocche di Napoli vengono valutate in base alla loro relazione con i modelli romani, riflettendo una gerarchia che privilegia sempre le opere romane come più importanti e innovative. L ‘architettura romanica in Lombardia, come quella di Como e del Sant’Abbondio, sarebbe derivata dall’uso dei calcari disponibili, dalle conoscenze tecniche dei Magistri comacini e dalle influenze con la Francia. Questa architettura si sarebbe poi spostata verso l’Emilia,in cui i maestri di tradizione comacino avrebbero portato queste conoscenze verso l’Abruzzo e poi in Puglia, dove si utilizzava il tufo mantenendo sempre quell’impostazione: la planimetria, la pianta basilicale, le absidi semicircolari → influenzando le grandi chiese romaniche come quelle di Bitonto, Trani, Bari. Tra il 1880 e il 1970, c’è stata una campagna per ripristinare lo stile romanico in Puglia, cancellando le influenze barocche. La questione è sempre quella quel qualcosa derivato da qualcos’altro, sempre cercando chi è stato il primo a fare qualcosa, attribuendo maggiore valore, per cui ci si chiede chi è stato il primo a fare architettura romanica → dibattito sviluppato a fine 800, forse dai maestri comacini (artigiani e architetti medievali provenienti dall’area oppure quel comacina di cui parla l’editto di Rotari del re Longobardo Rotari che regolamenta l’attività di Fabri Murari e
ROBERTO PANE
Nell’architettura invece la lezione crociana tarda ad essere accolta perchè Giovannoni in Italia insieme ai tedeschi ancora di più, si attardavano a fare storia per tipologie, una storia evoluzionistica, quindi non ci stupiamo per questo ritardo della storia dell’architettura determinato in primo luogo dalla presenza un po’ ingombrante di Giovannoni, non ci stupiamo che nel 1937 potesse ancora riuscire, con riferimento a Napoli, un libro di Roberto Pane “Architettura del rinascimento in Napoli” con capitoli di natura tipologica.. Ma lo stesso Pane, però, andava maturando una diversa posizione perché frequentava Croce. Giovane architetto, laureato con Giovannoni nel 22 con una tesi sull’architettura rustica dei Campi Flegrei ed è stato solidale con l’ambiente giovannoniano per 15 anni almeno, tutti i concorsi di architettura a Napoli fatti con Giovannoni in commissione lui li vinceva inoltre, era anche abbastanza dotato, era uno dei più bravi incisori italiani, esposto alla biennale di Venezia varie volte, era ritenuto un uomo dalla straordinaria mano pittorica, specializzato in acque forti in particolare. Giovannoni nel 1927 all’incarico di fare il piano regolatore di Napoli, chiama Pane a fare il disegnatore → è certamente stato secondo molti il più importante storico dell’architettura del mezzogiorno e uno dei tre grandi teorici del restauro a livello internazionale del ventesimo secolo, insieme a Cesare Brandi e Renato Bonelli. Inoltre, Pane ha scritto due monumentali tomi sulla scultura del Rinascimento in Italia Meridionale, usciti nel 75 e nel 77 anche se purtroppo non c’è uno storico della scultura del Rinascimento che lo citi. Frequenta e lavora con Giovannoni, poi lavora con Maiuri nella soprintendenza delle Antichità dove viene assunto come salariato, poi incominciò a insegnare come contrattista, come incaricato alla Scuola Superiore di Architettura di Napoli e all’inizio sembra destinato a fare il progettista perché vuole prendere la libera docenza in progettazione. Alla fine, si volge agli studi storici perché Giovannoni dice guarda il capo di progettazione non sono io, io sono il capo della storia quindi se vuoi fare carriera smetti di presentarti a progettazione e fai storia e stili dell’architettura e diventa libero docente → Giovannoni è in commissione → siamo all’inizio degli anni 30 e per dieci anni fa il professore incaricato. Poi nel 1942 diventa professore ordinario di caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti → in commissione c’era Amedeo Maiuri; quindi, era coperto in tutti i modi dal punto di vista accademico. e quindi nel 1942 prende servizio, e resterà in cattedra fino al 1970 e nel 1972 va in pensione. La frequentazione con Croce negli anni 30 segna un progressivo distacco da Giovannoni sia umano che scientifico, nel ‘37 esce quest’ultimo esito della lezione giovannoniana che è “l’architettura del rinascimento”, ma nel ‘39 esce “l’architettura dell’età barocca in Napoli” ed è per la prima volta a livello internazionale un libro di storia dell’architettura fondato rigorosamente sulla posizione neoliberalistica, perché è un libro i cui capitoli sono dedicati alle personalità artistiche. Quindi c’è il primo capitolo dedicato a Domenico Fontana, poi Cosimo Fanzago, poi Francesco Antonio Picchiatti, poi Domenico Antonio Vaccaro, Ferdinando Sanfelice, Ferdinando Fuga, Luigi Vanvitelli. Il vecchissimo Venturi fa la recensione sulla sua rivista Arte in cui scrive per la prima volta la filosofia dell’arte di Benedetto Croce è stata applicata alla storiografia architettonica, in cui il tema del libro è sempre distinguere tra ciò che è felicemente opera d’arte e ciò che invece è impoetico. Non stupisce che Pane nel concorso del 42 avesse scritto una monografia dedicata a Palladio che poi è uscita presso Einaudi nel 48 e si chiama, come poi si chiameranno tutte le monografie dedicate agli architetti: “Andrea Palladio architetto” e non l’architettura della villa barbaro o l’architettura a Vicenza nel 1560-1590, ma Andrea Palladio architetto. Se ci pensiamo, in giro troveremo quasi esclusivamente, ancora adesso, questo tipo di studi. →
Bernini architetto, Borromini architetto, Brunelleschi architetto. Pane e neanche gli altri allievi romani della scuola di architettura non hanno dimenticato la lezione di Giovannoni e quindi l’ammonimento a guardare anche agli aspetti costruttivi, tecnici-realizzativi alle condizioni sociali ed economiche, che sono stati comunque considerati → quindi è comunque una storia dell’architettura di marca crociana ma ha comunque la necessità di essere esaminata, guantata, compresa nelle sue ragioni profonde. Morto nel 52 Croce già molto anziano a metà degli anni trenta, nei suoi diari, che poi sono stati pubblicati, scrive: “mi congedo dal pensamento con la piena fiducia, con la serena fiducia di aver costruito un sistema solido nelle sue fondamenta teoretiche, cioè un sistema filosofico in sé compiuto e tuttavia so che per definizione questo sistema è destinato ad essere superato da nuovi pensamenti” → Tradotto in altri termini Croce lascia una lezione fondamentale. Per una comprensione più accurata e completa dell’architettura si usa una visione crociana → in riferimento all’architettura del Quattrocento a Napoli durante l’età aragonese, con Alfonso II (anche noto come Alfonso il Magnanimo) e suo figlio Ferrante, ci fu un’importante evoluzione culturale e architettonica. Alfonso II, erede al trono con il titolo di Duca di Calabria, aveva stretti rapporti con l’ambiente fiorentino e con gli umanisti, giocando un ruolo chiave nello sviluppo della cultura rinascimentale a Napoli, egli portò a Napoli architetti di grande rilievo come Giuliano da Maiano, noto per lavori come Porta Capuana e la residenza aragonese a Poggioreale.
- Poggioreale: residenza aragonese costruita fuori dalla cinta muraria orientale di Napoli.
- La Duchesca: Situata vicino all’attuale Piazza Garibaldi.
- La Conigliera: dietro Piazza Dante, utilizzata per la caccia ai conigli, è stata esaminata da Roberto Pane che ne ha studiato i resti, diceva che si è salvato un pezzetto della facciata e del vestibolo fa anche un’ipotesi di ricostruzione, c’è anche uno scudo aragonese in stucco e questa cosa la ripete tale e quale nel Libro del 75 – 77 sul Rinascimento. Sempre Pane esamina Poggioreale e dice che è stata fatta dentro una palude perchè c’era disponibilità di acqua, la Duchesca in uno spazio senza aria e la Conigliera in un luogo senza acqua e aria. Roberto Pane fa vedere che nel 1629 qui nella zona di San Potito c’è stata una trasformazione urbanistica → Nel complesso religioso di San Potito situato sull’omonima collina (detta anche la Costagliola), era stata creata una grande rampa per salire al quartiere fatta da Girolamo Malizia Carafa, la villa aragonese è stata inglobata da palazzo Caracciolo, Pane insieme al professor Fienco hanno portato a nuove scoperte, mostrando che non solo la facciata e il vestibolo erano conservati, scoprono che il vestibolo era doppio e c’era un altro ambiente con un padiglione unghiato e grotte trattate a bugnato rustico. Secondo il disegno di Pane la villa aragonese c’è tutta. → si sottolinea l’importanza di un approccio archeologico e stratigrafico nello studio dell’architettura, mettendo in discussione le fonti storiche e cercando di capire la realtà fisica degli edifici, è importante non prendere per scontato ciò che è scritto nei libri, ma di verificare le informazioni attraverso l’osservazione diretta e lo studio accurato delle strutture fisiche. Questo approccio è in linea con la posizione di Benedetto Croce, che promuoveva un’analisi critica e attenta della realtà. La prima monografia organica su un architetto almeno di età moderna e contemporanea è Andrea Palladio Architetto di Roberto Pane uscito da Einaudi nel 48. Nel 60 scrive dell’architetto Antoni Gaudì che allora era davvero interessante perché era la prima monografia al mondo su un architetto catalano, però il più bel libro di quegli anni, la più colta espressione di questa analisi delle personalità artistiche è senza alcun dubbio la monografia che Paolo Portoghesi pubblica a metà degli anni 60 dedicata a Francesco Borromini → per
dipingere, a scolpire che comunicano attraverso una forma figurata. Al contrario Bloch considera oggetti che non hanno a che fare semplicemente con la sfera figurativa in senso tradizionale, non bisogna per forza aderire a un canone, e solo quando la mia facciata aderisce appena a quel canone la giudico bella, quando non aderisce, lo giudico non riuscita. Di qui la difficoltà, per fare un esempio, di comprendere Borromini, se viene misurato col canone classicista della simmetria. L’idea è che un’opera è tanto più riuscita quando è più vicina ad una regola. Gerard Labrot, che era un professore di storia contemporanea ha insegnato all’Università di Grenoble per 25 anni anche storia dell’arte; il suo capolavoro è un libro che si chiama Palazzi Napoletani, in cui racconta della consistenza fisica dei palazzi ma soprattutto della storia della mentalità della nobiltà napoletana di età spagnola, di età vicereale e poi di età borbonica, quali rapporti di fidelizzazione dinastica manteneva, il riconoscimento del prestigio della famiglia e non banalmente storia delle figurazioni perché il buon Giovannoni, oppure Pane avrebbe guardato un palazzo e avrebbe detto è bello o brutto, è bello perché assomiglia alle cose di Brunelleschi, oppure no, è bello perché nella sua consistenza fisica risponde o meno, lo riconosco o meno, come un’opera d’arte. E invece attraverso il libro di Gérard Labrot i palazzi napoletani hanno acquistato altri piani di lettura.Il libro dal titolo: “Quando la storia mormora, è una storia dei paesi, dei villaggi, dei feudi, attraverso del Regno di Napoli tra il 500 e il 700, attraverso gli apprezzi” è un libro di mentalità, oltre che di commenti, di consistenza fisica, però il titolo è già un programma. Quando la storia mormora, assolutamente coerente, quindi è il bisnipote di Marc Bloch, dal punto di vista culturale. Quindi non quando la storia declama, non quando la storia avanza a cavallo, Napoleone che fa le sue battaglie e vince o perde, ma quando la storia mormora → Bloch, forse avrebbe scritto, a proposito di Napoleone, come vivevano i soldati di Napoleone, oppure come vivevano le donne dei soldati di Napoleone, cosa che nei libri di storia non l’abbiamo mai trovata scritta. Labrot ha anche scritto un libro che si chiama che parla delle imprese costruttive dei Vescovi in Italia meridionale tra 500 e 700. I Vescovi erano costretti, ogni tre anni ad andare a Roma, alla congregazione per i vescovi e riferivano che cosa stavano facendo: c’è scritto, ho riedificato la cattedrale, ho fatto una nuova cappella per conservare, erano tenuti anche prima del concilio di Trento in cui accadono alcune cose fondamentali, tra cui l’istituzione dei seminari, la riorganizzazione delle parrocchie e la messa al regime, quindi i vescovi, che sino ad allora si comportavano in gran parte come principi autonomi ora sono costretti a relazionarsi in maniera sistematica e a dimostrare che stanno usando per il bene comune le loro rendite, che non erano esattamente limitate. Geraldo Labrot nel libro mettendo a sistema quelle informazioni dimostra che, appena il concilio si sono fatte alcune cose in maniera sistematica, come riorganizzare il luogo dove conservare il corpo di Cristo, poi c’è anche un dibattito nella chiesa su come riorganizzare proprio alcune cappelle specifiche, la cappella delle reliquie, fino ad allora erano abbastanza disorganizzate, invece poi dopo il concilio vengono riunite nelle lipsanoteca → nel Gesù nuovo trovate una lipsanoteca specifica, straordinariamente conservata, il sangue di Cristo, il chiodo della croce, il pezzo del legno della croce. George Kubler, studioso che insegnava a Yale, era uno specialista delle civiltà precolombiane quindi un archeologo che ha avuto poco a che fare con l’archeologia classica perché ha studiato l’America latina e l’America centrale soprattutto, ha scritto “The Shape of Time”, La forma del tempo, l’introduzione recita: “Dobbiamo prendere atto che nella storia dell’arte meritano di entrare tutte le cose prodotte dagli uomini, gli
artefatti che non appartengono alle generazioni ancora in vita, sostanzialmente.” → una visione di rottura rispetto alla storia dell’arte tradizionale. Piero Gazzola era un laureato sia in ingegneria che in lettere a Milano, che poi vince un concorso e alla fine degli anni trenta diventa sovrintendente ai monumenti, prima in Sicilia poi dopo un paio d’anni lo spostano a Verona e resta a Verona per quasi 40 anni, dal 1941 al 1974, anno in cui è andato in pensione. Intanto Piero Gazzola però era diventato anche ispettore centrale del ministero, era diventato consulente dell’UNESCO per stendere la prima convenzione internazionale per la protezione del patrimonio artistico in occasione delle guerre, durante i conflitti. Ma soprattutto ha organizzato nel 64 a Venezia un congresso internazionale dei tecnici del restauro in cui Roberto Pane ha fatto la relazione generale, alla fine del quale congresso è stato approvato una carta internazionale del restauro che si chiama Charte de Venise scritta in francese perché allora era una lingua internazionale poi è stata tradotta anche in inglese, in italiano e in tante altre lingue; nell’articolo 1 parla della della qualificazione del patrimonio c’è scritto i monumenti non sono soltanto le creazioni architettoniche isolate, o le opere di grande prestigio, ma tutti gli artefatti, i manufatti che col tempo hanno acquisito un significato culturale, ossia di testimonianza delle civiltà. (riferimento a Kubler). Abbiamo preso atto che innanzitutto le civiltà è un plurale e che certamente non possiamo porre una gerarchia tra la civiltà occidentale e le altre → infatti ad esempio da nessuna parte, nessuna estetica contemporanea troveremo mai scritto che le cose che si fanno a Parigi valgono più di quelle che si fanno a Dakar. Questo significa che non possiamo più individuare una gerarchia tra il Grande Palazzo e la Casa del Mugnaio del Contadino, una gerarchia tra il centro antico di Napoli e il centro storico di Mugnano del Cardinale. Gazzola ha scritto nel 73 un libro straordinario che si chiama “Il territorio culturale” che sosteneva appunto questo, come Kubler, che tutti i segni che l’uomo ha lasciato sul territorio e che non appartengono alle generazioni ancora in vita sono monumenti, sono testimonianze, sono meritevoli di essere conservati e quindi sono monumenti, le strade, gli appoderamenti, i sistemi di bonifica idraulica, oltre che Michelangelo, Borromini, Bernini, Vanvitelli e compagnia Bella. Il territorio culturale, che diventa in termini più moderni il paesaggio culturale. Le città sono stratificate, le case sono molto stratificate, ogni casa ha alcuni ambienti di XII-XIII e stratificazioni fino addirittura al tardo otto questo per dire che quello è un paesaggio culturale. Amalfi prima di essere ricoperta di limoni dovremmo sapere che anche quello è il prodotto di una stratificazione perché fino al 1803-1810 ad Amalfi c’ erano le viti. I limoni erano solo il 3%. Solo quando la fillossera distrusse i vigneti in tutta Europa a metà dell’Ottocento gli Amalfitani cominciarono a coltivare i limoni. Sino ad allora coltivavano la vite. Bisogna prendere atto che praticamente non c’è un’architettura che non subisce trasformazioni radicali quindi la realtà dell’architettura è la stratificazione, la composizione di fasi. Questa idea di riconoscere che una certa chiesa è fatta da Bernini molto spesso è un’idea fallace perché magari Bernini ha fatto il primo progetto, poi sono arrivati degli marmorari che gli hanno cambiato gli altari, poi sono arrivati dei pittori che gli hanno sostituito le icone poi è arrivato un altro architetto dell’Accademia di San Luca che gli ha cambiato altre cose, poi c’è stato un problema statico, gli hanno cambiato magari gli stucchi intradossali della cupola, oppure c’è stato un cambio di gusto e a fine sette, inizio otto, hanno smantellato gli altari con l’eccesso di ornato berniniano e li hanno ricondotti a un linguaggio classicista di fine sette, tutte cose che accadevano ogni giorno. Il prete si alzava e diceva, ma come è brutto quest’altare, non importa che l’ha fatto Bernini, chiamiamo un architetto che disegna meglio, ovvero secondo uno spirito più aderente al gusto del mio tempo, e questo produceva stratificazioni naturalmente. Gli autori direi che non esistono,
In tema di trasformazioni → nel secondo 700 con affermazione dello statuto disciplinare del restauro è partito una campagna di trasformazione del patrimonio architettonico occiedantale di insolite proporzioni a cui John Ruskin a metà 800 dirà che il cosiddetto restauro è la peggiore delle istituzioni. A fine 700 il restauro era una disciplina volta alla conservazione dei monumenti di età classica, quindi si sono definiti i principi del restauro archeologico; cioè da un lato si è preso atto che le presenze costruite in età greca-romana avevano un interesse testimoniale quindi erano monumenti da conservare dall’altro si era anche preso atto della necessità di non tradire il significato di quei monumenti, quindi trattandoli non più come oggetti da riabilitare sul piano funzionale. I monumenti classici vanno conservati perchè sono dei testimoni, l’unico intervento legittimo su questi monumenti è la conservazione, nessuno scriverebbe su una pergamena di 7 secolo di età longobarda ma si integrano le lacune su un foglio a parte non compromettendo l’integrità e l’autenticità materica di quella pergamena. Quindi ormai era radicato a fine 600 c’era il principio, anche le pietre, i mattoni, i marmi dell’età greca e romana vanno conservati con estremo scrupolo, rigorosamente, e se qualche integrazione è necessaria per ragioni statiche, perché l’arco se ne sta cadendo le integrazioni vanno dichiarate, devono essere distinguibili con lo stesso scrupolo filologico con cui quando si trascrive una pergamena se c’è una parola che manca si mettono i puntini e se c’è un’interpretazione della parola che manca si mette tra parentesi quadre per rispettare l’autenticità materica, allo stesso modo quando si interviene su un monumento si rispetta il principio della distinguibilità delle integrazioni, cioè si tiene ben chiaro qual è il testo antico e qual è l’elemento che abbiamo aggiunto → l’esempio classico è L’Arco trionfale fatto per Tito dell’età Flavia fatto appena dopo la campagna di Palestina, era arrivato a metà 7 conservando solo l’arco cassettonato e le spalle dell’arcata. L’attico e il podio era in gran parte perduto.Adesso sembra integro, ma in realtà la massa è stata ricostituita con una materia diversa da quella di primo secolo, le parti autentiche di primo secolo sono di marmo pario di marmo greco, le parti integrate nel primo ottocento sono di travertino, le colonne di primo secolo sono scanalate, quelle rifatte nell’inizio dell’ottocento hanno il fusto liscio, i capitelli dei compositi di primo secolo sono intagliati, finemente lavorati, I capitelli rifatti sono sono grossolanamente scantonati, ovvero hanno rispettato fino in fondo il principio della distinguibilità delle integrazioni. Questo principio da allora in campo archeologico non è stato più abbandonato invece, per tornare al restauro come l’esercizio peggiore della storia degli ultimi due secoli, detto da un restauratore, ci sono state continue trasformazioni dell’architettura in quanto sicuramente la cultura francese di tardo 7 inizio 8 ha dato un grande contributo alla rivalutazione dell’architettura medievale romanica e gotica, eravamo ancora a Raffaello e nel 1519 giudicava questa architettura come negativa. Per tutta l’età barocca e tardobarocca, gotico ha significato architettura prodotta nei tempi bui del medioevo, eravamo ben lontani da rivalutare la storia medievale → Sembrava che dopo il tramonto dell’impero romano dell’età tardo antica almeno tutta l’Europa avesse vissuto una lunga stagione di declino e che solo da Petrarca a Boccaccio e dante in poi per la letteratura, da Brunelleschi, Leon Battista Alberti per l’architettura,da Donatello per la scultura, Mantegna per la pittura, finalmente fosse tornata dopo i secoli bui del medioevo la luce nelle arti e nella civiltà occidentale. Questa era l’interpretazione corrente nel 600- per l’età medievale e invece la cultura francese rivaluta decisamente la produzione medievale, al punto che sicuramente, come dico spesso banalizzando un po’, se a fine 7 In tutta Europa un intellettuale alla domanda che cos’è un monumento avrebbe risposto il Colosseo il Partenone, nel 1830 in tutta Europa probabilmente un intellettuale avrebbe
risposto le architettura romaniche e gotiche, cioè in quei 40 anni la cultura francese esclusivamente per suo merito ha condotto a una valutazione decisa dell’architettura medievale, rivaluta l’architettura sopratutto romanica e poi anche gotica, da questa rivalutazione parte anche la stagione del cosidettetto restauro stilistico perché su questa rivalutazione dell’architettura medievale, cioè L’affermazione del concetto fondamentale: “i monumenti di Età medievale che meritano di essere conservati” si innesta la cultura positivista, in cui il positivista, architetto, archeologo ha la pretesa di poterli ricostituire nella loro integrità, facendo coincidere il concetto di integrità con la bellezza → la pretesa di poter rifare le cose perché si ha la pretesa di dominare le regole,regole raccolte sotto una serie di concetti che chiamavano stile regionale quindi di costruire gli organismi perché si pretendeva di sapere quali regole avevano presieduto alla loro realizzazione. Ma anche la pretesa di correggere gli errori. ll risultato è stato che decine di migliaia di monumenti di tutta Europa sono stati trasformati restaurati in stili, attraverso una doppia azione, espungendo da questi testi architettonici le stratificazioni post-medievali, quindi cancellando tutto quello che la cultura rinascimentale barocca e tardo barocca aveva depositato, producendo stratificazioni, quindi cancellando stratificazioni e poi rifacendo moltissimi elementi nella pretesa di ricostituire uno stato di integrità identificandoli con un unico apprezzamento estetico quindi la completezza coincideva con la bellezza. Quindi di fatto decine di migliaia di chiese, castelli in Francia e in Italia, che vediamo con un’immagine apparentemente medievale, in realtà sono il prodotto delle trasformazioni radicali del 800. Bologna, ad esempio, ci sono tutta una serie di edifici medievali: San Francesco, San Domenico,la cattedrale il Palazzo dei Notai, il Palazzo di Renzo, il Palazzo del Comune, tutti evidentemente con una connotazione medievale, che si associa peraltro all’età del libero comune, all’età in cui Bologna, pur già ricaduta nei domini pontifici, continuava ad avere un’autonomia municipale. In realtà Bologna, come tutte le città d’Europa, era stata profondamente trasformata nel Cinquecento e soprattutto nel Seicento. Nel secondo 800 architetti di formazione stilistica ispirati a questo programma francese della restituzione ad “pristinum” dei singoli edifici, hanno operato centinaia di interventi di restauro sugli edifici di Bologna. Quindi Bologna è stata tutta riprogettata in chiave medievale, il 90% delle immagini di quello che vediamo di medievale a Bologna è un’invenzione 880-960. Trani è tutto il prodotto di un secolo di restauri in stile, restauro iniziato intorno al 1880 fino al 1970 quindi per 90 anni a ripristinare l’architettura romanica di Puglia che sarebbe arrivato in Puglia attraverso un canale adriatico, quindi dal lago di Como, maestri che avrebbero mantenuto la tradizione costruttiva romanica, avrebbero rinnovato la cultura architettonica di tutta Europa. Grossa polemica di fine 800 tra italiani e francesi, sulla premazia dell’architettura romanica che si sarebbe manifestata nel Sant’Abbondio di Como, nel San Fedele di Como, poi sarebbe passata attraverso la pianura padana, attraverso l’emilia, sarebbe scesa un pochino verso l’Abruzzo, dando luogo a una stagione straordinaria di cattedrali romaniche in Puglia, dimenticandoci che, come accadeva sempre, queste cattedrali romaniche nel Cinquecento, ma soprattutto nel 6-700, sono state trasformate radicalmente. Decine di botteghe di marmorari che facevano Marmi commessi, altari, rivestimenti vendevano in tutta l’Italia meridionale, era davvero industria perché c’erano grossi imprenditori che prendevano commessi ad Altamura, a Foggia, a San Severo di Puglia, in fondo alla Calabria e poi distribuivano il lavoro tra le botteghe, questo lavoro era molto frazionato Infatti quando si faceva un altare c’è chi faceva le parti più semplici: commessi marmorei correnti poi c’era Matteo bottigliero(grande scultore) che doveva fare 2 angeli di capo altari, i fratelli Ghetti che venivano da Carrara facevano altare di grande qualità
di moltissime architetture, noi spesso ci scordiamo di dirlo, ma se voi andate a Palerno e vedete il Gesù, Casa Professa, la chiesa di Casa Professa sembra una chiesa ancora di inizio dell’età moderna, ma per dire la cupola era caduta, è stata bombardata, è ricostruita in calcio struzzo armato, non c’è nulla, Dresda è stata rasa al suolo nel febbraio del 45, quindi la città barocca che ancora adesso ci propongono è falsa. Nel 60, per la prima volta nella Storia d’Italia, si è fatto un concorso del professore ordinario di Restauro a Firenze. Fino ad allora non c’erano. Il Restauro veniva insegnato dagli storici dell’architettura, vince naturalmente il candidato fiorentino, però per ogni posto c’erano tre abilitati → vince un vecchio restauratore fiorentino, poi vince lo storico Guglielmo de Angelis e la terza vincitrice idonea era Liliana Grassi, bravissima, con una formazione filosofica di architetto, e che a quel tempo aveva già ricostruito a sé l’ospedale di Filarete a Milano in parte ricostruendo le facciate esterne col principio archeologico delle aggiunte cioè lasciando in sito tutte le parti scampate al bombardamento e ricostruendo le pareti in mattoni arretrandole di 4 dita che è tipicamente una soluzione archeologica, un architetto molto bravo, ha ricomposto anche i chiostri laddove ha potuto rialzare le colonne, ma dove proprio era perduto il testo 400 centesco lo ha ricostruito in chiave moderna con un architettura contemporanea del nostro tempo, con un atteggiamento legittimo e con una qualità di forme straordinarie. morta giovane di cancro all ‘inizio degli anni Ottanta; era andata via in ingegneria, 1 cattedra di restauro tra l’altro la prima vera studiosa. Uno è uno storico, Guglielmo di Angelis e l’altro è soprattutto uno specialista di conservazione della materia, Piero San Paolisi. Quindi la vera prima restauratrice ad andare in cattedra è stata proprio lei. Altro esempio è Santa Maria del Fiore, la facciata è stata fatta dopo l’unità → quale indirizzo dare alla nuova facciata? per più di 20 anni ci sono state 2 possibili soluzioni:
- facciata tricuspidata, analoga al Duomo di Siena e di Orvieto, che in qualche modo fosse associabile all’immagine del gotico internazionale francese,
- soluzione nazionale: facciata timpanata sulla navata centrale e tetti inclinati sulle navate laterali che si collegavano con la navata centrale, creando un profilo diverso dalla soluzione tricuspidata Ha fatto due concorsi poi finalmente hanno dichiarato un professore dell’Accademia di Firenze si chiamava De Fabris, vincitore con una facciata tricuspidata. Però la cosa più interessante è che alla fine l’hanno fatta invece secondo la soluzione. Dopo che quello aveva vinto con una soluzione, in corso d’opera hanno cambiato idea, poi de Fabris dopo che avevano già accettato l’altra soluzione è morto e tutto è stato finito da un suo amico d’Accademia, l’assistente DEL MORO che l’ha finita. → è un’operazione di riprogettazione tenendo conto di alcune testimonianze molto generiche, del partito dei fianchi della chiesa arnolfiana, quindi il partito di marmi verde di Prato, il rosso di Siena, il bianco del Marmo Carrarese, con quelle partizioni, quindi alcune linee erano già definite, la divisione tra il primo e il secondo registro, incidentalmente hanno anche cancellato la facciata dipinta barocca che in occasione di un matrimonio ducale era stata dipinta una facciata a trompe l’aile, una facciata in falsa prospettiva. L’hanno anche cancellata. E quindi hanno ricominciato con una riprogettazione che ha richiamato peraltro architetti di tutta Europa. che propongono più di 300 disegni, c’era quello che faceva la facciata neo umoresca, ispirata all’architettura di costantinopoli, in chiave turca, islamica, quindi una facciata esotica, chi copiava letteralmente Orvieto o Siena, chi si ispirava ad esempi francesi, c’erano architetti norvegesi, architetti danesi. Quindi bisogna indagare l’architettura come struttura trasformata fatta di fasi piuttosto che come sintesi dell’espressività dei singoli autori. Quindi vi dicevo amalfi, per dirlo brevemente,
anche in quel caso innanzitutto è già composito d’insieme, perché ci sarebbe una chiesa del VI secolo che coincide con l’attuale museo diocesano,la cosiddetta basilica del san salvatore, in parte demolita per far posto nei primi anni del 200 al cosiddetto chiostro del paradiso, la cattedrale attuale di sant’andrea è di impianto tardomedievale, viene radicalmente trasformata più volte. Per fare un solo esempio, già nell’età vicereale, Domenico Fontana disegna la cripta, che poi viene realizzata da Morali Toscani. Ma ancora di più, dopo i terremoti di fine 600 arrivano architetti napoletani, in primo luogo Arcangelo Guglielmelli, che riconfigura interamente la Chiesa medievale, cioè non resta nulla a vista della Chiesa medievale ma la chiesa è fatta in forme barocche; poi appena dopo l’unità, una notte di vento, una vecchietta era andata alla messa alle sei di mattina, tirava vento mentre stava uscendo, il vento ha fatto cadere una pietra e ha ammazzato la vecchietta e il sindaco di Amalfi, Matteo Camera, un medievista, si è trovata in una migliore condizione per dire se sta accadendo la facciata del Settecento, che è brutta, rifacciamo la facciata che glorificava la Repubblica Amalfitana, viene chiamato il più grande architetto napoletano del tempo, professore di progettazione all’Accademia, che era Enrico Alvino, che già aveva dato buona prova di sè a Firenze. Andando a sostituire l’architetto locale precedente incapace di sostenere questa tensione così importante come riconfigurare la facciata, si fa un rilievo accurato delle poche tracce e poi dice esplicitamente sto riprogettando la cattedrale come un’opera del mio tempo. Questa cosa delle nuove facciate è una cosa continua. Il Duomo di Napoli ha una facciata fatta da Enrico Alvino e poi dal fratello Ettore, dopo di lui ci hanno lavorato Giulio Raimondi, che aveva finito la facciata di Amalfi anche lui accademico, assistente di Alvino, ma con un altro esito,che il disegno di base era migliore e ancora al Duomo di Napoli lavorava Nicola Breglia, che è stato il primo sovrintendente moderno in Campania, ma è stato anche quello che ha ridisegnato il Duomo di Nola dopo l’incendio di metà 800 e quello ha disegnato galleria principe di napoli. Quindi è un architetto che ha lavorato molto e Breglia ha fatto le ultime cose della facciata del duomo di napoli. Il Duomo di Napoli è un’architettura interpretabile in chiave non di stratificazione sicuramente ci sono presenze di età greca e presenze di età romana. Non ne voglio parlare perché quando hanno fatto i restauri degli anni 70, hanno sterrato, non hanno fatto scavi archeologici e quindi poco ne sappiamo. A parte le evidenze, c’è il muro di età greca, probabilmente anche di datazione molto remota, ci sono delle murature in opera reticolata di primo secolo ma non sappiamo nulla sullo scavo. L’allora sovrintendente dei beni archeologici, Alfonso de Franciscis, avrebbe dovuto fare lezioni di critica dello scavo e non le ha mai fatte. Nella Basilica di 4 sec. Santa Restituta appena si entra si vede che insieme al IV secolo ci sono degli archi gotici e il fondale dell’altare invece è stato fatto alla fine del 600 da Guglielmelli con un panneggio berniniano di grande qualità. Nell’attuale cattedrale e vediamo che certamente l’impianto è di fine XIII età angioina, e tuttavia ci sono monumenti sepolcrali dal 400 al 700, sulla navata destra troviamo un cancello e appena oltre c’è la Cappella del Tesoro di San Gennaro di inizio 6, dentro ci sono affreschi che sarebbe seicentesca ma in realtà ci sono argenti del 600-700. Le absidi, sono di impianto gotico, di destra di età 700 (altare+cancello) → Dunque l’architettura si adegua al gusto del momento storico diceva Benedetto Croce. Giovanoni sosteneva che il restauro era il braccio operativo della storia, ovvero teneva insieme questi due momenti. La storia decide cosa è importante e cosa non lo è e il restauro, in termini tecnici, traduce questi giudizi di valore in una consistenza fisica, croce diceva il restauro non deve essere basato su giudizi critici ma su giudizi storici. Questo
Palazzo Casalcalenda antico palazzo napoletano deve il suo nome alla duchessa di Casacalenda, Marianna di Sangro la quale, venuta in possesso della proprietà, voleva ristrutturare l’antico edificio settecentesco senza pertanto perderne le originali fattezze architettoniche, come lo scalone monumentale interno, opera di Cosimo Fanzago. I lavori di rifacimento vennero affidati a Mario Gioffredo, architetto napoletano tra i più illustri del tempo, che stava scrivendo un trattato di architettura conosceva assai bene la trattatistica classica, lo chiamavano il Vitruvio parlante. Gioffredo attivo dagli inizi degli anni 40, era stato il primo architetto napoletano a mostrare un evidente distacco dal linguaggio tardo barocco. Negli anni 40 era ancora vivo Domenico Antonio Vaccaro, morto nel 1945. Ferdinando San Felice, morto nell’aprile del 1948. Ben vivo e molto attivo Niccolò Tagliacozzi Canale, che morirà alla fine del 1963 → tutti architetti di linguaggio tardobarocco in una continuità di linea culturale invece Gioffredo è l’unico che radica un linguaggio più moderato, quasi classicista. Non a caso il suo trattato ripropone gli ordini classici. Gioffredo fa il progetto, inizia il cantiere, dopo alcuni anni, siamo negli anni 50 del 700, impianta il palazzo, dopo alcuni anni ci sono problemi nella conduzione del cantiere perché le murature incominciano a manifestare lesioni e a instabilizzarsi e Marianna Di Sangro chiama in giudizio Gioffredo, gli fa causa perché gli dice, caro amico, io ti ho pagato per fare l’architetto, stai imbrogliando il costruttore Cosentino, che già allora non aveva grande credito. Lì nasce anche un momento interessante perché sino ad allora a Napoli gli architetti si erano sottratti alle responsabilità professionali, al contrario nello Stato pontificio veniva regolata l’attività edile. I papi sin dal XVI secolo si erano preoccupati di emanare norme che stabilivano le dimensioni dei mattoni, la qualità delle fabbriche, la quantità minima di calce da mettere nelle malte. C’erano pene severissime, per farvi un solo esempio, se un mattonaro a Roma nel 700 avesse prodotto mattoni al di sotto delle dimensioni fissate dalle norme pontificia, la prima pena era il taglio della mano sinistra. A Napoli invece nei contratti c’è sempre scritto che la qualità delle opere doveva essere secondo le regole del buon maestro, le opere dovevano essere di tutta bontà, perfezione e secondo la lode del buon maestro. Le corporazioni di arti e mestieri nel Regno di Napoli sono state sciolte nel 1821, quindi per tutta l’età moderna siamo stati condizionati dal sistema corporativo. Gioffredo viene chiamato in causa; si istituisce un processo e si nominano dei periti giudiziari. Non si
viene a capo di nulla perché tutti gli architetti che intervengono in questo giudizio ovviamente si incontravano con Gioffredo di fatto nessuno dice esplicitamente che Gioffredo non ha seguito bene i lavori oppure ci sono dei difetti e in più Gioffredo ha invocato un principio di sottrazione di responsabilità perché ha chiesto al Tribunale di dichiarare che gli architetti devono fare i progetti e poi la qualità delle opere deve essere assicurata dai costruttori. In questo processo si inserisce Luigi Vanvitelli viene chiamato in causa e distrugge la carriera di Gioffredo, perché forte della sua esperienza, Vanvitelli era nato a Napoli nel 1700, solo perché suo padre Gasparo degli Occhiali era qui a Napoli a dipingere, ma si era formato a Roma con Filippo Barigioni, aveva fatto l’architetto a Roma e nelle province. In Umbria aveva già lavorato ad Ancona al Porto, quindi conosceva bene la prassi professionale pontificia e sostanzialmente dimostra che gli architetti debbono rispondere della qualità delle opere, che debbono essere progettisti e direttori dei lavori, che la qualità delle opere non può essere affidata ai costruttori. Subentra in questo cantiere e modifica molte cose e fa anche un po’ di teatro perché la prima cosa che fa appena arriva in cantiere e paga dei banditori andando in giro per la città dicendo se ne sta cadendo il palazzo Casacalenda. La cosa riesce perché Gioffredo praticamente non lavora più, gli tolgono il cantiere anche nella villa Campolieto di Ercolano, che era sempre dei Casacalenda. Anche lì subentra Vanvitelli. E non fa praticamente più niente. Alla fine della vita farà il direttore di una miniera di ferro in Calabria quindi è passato dall’essere l’architetto intellettuale napoletano a quello che doveva trovarsi un po’ di lavoro in giro, Nel 1754, si è fatto un concorso, forse l’unico concorso pubblico di architettura interessante, fatto a Napoli nel 1700, per il restauro, dicevano allora, ma in realtà per la ricostruzione della Chiesa dello Spirito Santo allo scopo di rinnovare la chiesa cinquecentesca in cui tutti i maestri di architettura possono presentare un progetto. In quell’occasione si presentano Niccolò Tagliacozzi Canale che era davvero il più esuberante degli architetti tardo barocchi e che presenta ben due progetti e Gioffredo e Vanvitelli fa vincere Gioffredo → è l’unico progetto classicista che mostrava un’evidente consonanza di gusto con le sue cose, non c’entra nulla con il Tardo Barocco. Se si confronta la sagrestia del Carmine Maggiore,
L’Ordine del 1883 di Camillo Boito, che si focalizza sul restauro filologico, è fondamentale per garantire l’autenticità dell’opera e la sua conservazione nel tempo. Questo tipo di restauro mira a rispettare la storia dell’edificio, conservando ogni fase della sua esistenza, anziché cercare di riportarlo allo stato originale.
Il restauro filologico, proposto da Camillo Boito nell’Ordine del 1883, si discosta da altri approcci al restauro, come il restauro “scientifico” di Gustavo Giovannoni, che si focalizzava sulla ricostruzione delle strutture originali. Boito, invece, sosteneva che ogni periodo storico dell’edificio è importante e merita di essere preservato, incluso le modifiche e le aggiunte che ha subito nel corso del tempo.
Questo significa che il restauro filologico non mira a eliminare le modifiche o le aggiunte successive, ma piuttosto a documentarle e a preservarle, consentendo di comprendere la storia dell’edificio nel suo complesso.