Aprile 25, 2025

Una raffinatissima immagini del santo assieme al suino rimane quella conservata nella Chiesa Precettoriale di Sant’Antonio di Ranverso  Buttigliera Alta e Rosta

Una raffinatissima immagini del santo assieme al suino rimane quella conservata nella Chiesa Precettoriale di Sant’Antonio di Ranverso  Buttigliera Alta e Rosta

Una raffinatissima immagini del santo assieme al suino rimane quella conservata nella Chiesa Precettoriale di Sant’Antonio di Ranverso  Buttigliera Alta e Rosta Torino la statua in legno  con retro  schiena vuota e dotata di un anta  fu scolpita fine 1.400 da un ebanista Francese rimasto anonimo. – Antonio è appoggiato al fedele bastone a forma di “T” con ai suoi piedi un maialino  di cinta Senese .

 

 

 

Sant’Antoniu, Sant’Antoniu lu nimicu te lu timoniu”. Da qui l’iconografia del santo eremita in mostra a Sant’Antonio di Ranverso , e completa di tutti i simboli: il libro delle scritture, un fiamma, il bastone a forma di Tau un maialino e poi per estensione fu Associato da altri animali domestici, il fuoco e il bastone a forma di TAU con campanello  tipico degli eremiti. Elementi presenti nelle immagini popolari più vi­cine a noi, quelle che si usava mettere nelle stalle a protezione degli animali e dinnanzi alle quali, si accendevano lumi nella notte precedente la fe­sta del santo, il 17 gennaio, quando la leggenda vuole che gli animali parlino tra loro. Durante la notte degli animali parlanti, i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio.

 

Per trovare un primo riferimento all’animale, bisogna cercare nelle città europee che sono state sedi dei priorati antoniani la  località  Motte Aux Bois nell’Isere della Francia; in coloro, cioè, che seguirono le orme spirituali di Antonio Abate: furono, infatti, i canonici regolari di sant’Antonio Abate ad avere l’abitudine di allevare maiali in quelle città in cui prendevano dimora. Nella citata Vita Antonii di sant’Atanasio, dunque, non vi è nessun passaggio in cui si fa riferimento al maiale che farà invece la sua comparsa nell’iconografia dalla metà del 1200. Gli animali citati nel testo del vescovo di Alessandria sono altri, come i leoni, gli orsi, i leopardi, i tori, i serpenti, le vipere, gli scorpioni e, in ultimo, i lupi: tutte «forme» diverse per rappresentare l’assalto del maligno, a cui Antonio rispose con coraggio: «Se aveste qualche potere, sarebbe stato sufficiente che ne venisse uno solo. Ma il Signore vi ha reso impotenti, per questo cercate di spaventarmi venendo in tanti. È segno della vostra debolezza il fatto che imitiate le forme di bestie prive di ragione». Ecco il coraggio della fede, l’impotenza del demonio di fronte a chi confida in Dio: questa la grande lezione spirituale di sant’Antonio Abate.

Come sfondo all’immagine di Antonio con accanto il maiale, è dunque necessario fare riferimento a quei cristiani ispirati dal santo anacoreta che si chiameranno “Canonici regolari di sant’Antonio di Vienne”: il nome si deve alla cittadina della Francia dove, nel 1095, sorse una comunità laicale – costituita da alcuni nobili – capeggiata da un blasonato di nome Gastone che, avendo ottenuto da sant’Antonio la grazia della guarigione per il figlio ammalato di ergotismo, decise di ringraziarlo dedicandosi alla cura degli ammalati. Nacque così questa comunità ospedaliera che da quel momento in poi curerà gli ammalati del cosiddetto “fuoco sacro” (ergotismo); si trattava – maggiormente – di ammalati che si recavano in pellegrinaggio verso La Motte Aux Bois  (l’attuale Saint-Antoine-l’Abbaye), località in cui erano giunte dall’Oriente le reliquie dell’eremita taumaturgo.

Ed è proprio la suddetta storia che va ad intrecciarsi con quella del maiale. Papa Urbano II (1088-1099) – che aveva approvato il nuovo ordine, confermato poi da papa Onorio III con una bolla del 1218 – accordò agli Antoniani di allevare maiali per uso proprio e per le spese della comunità; così gli animali potevano circolare liberamente e al loro collo era messa una campanella di riconoscimento che diverrà, a sua volta, un altro simbolo attribuito al santo dalla devozione popolare. Ed è anche a seguito della possibilità di allevare maiali da parte degli Antoniani che si deve l’immagine di Antonio protettore degli animali domestici.

Ma c’è anche altro. Secondo alcune interpretazioni, sarebbe il grasso dei maiali il rimedio al cosiddetto “fuoco sacro” (chiamato poi, appunto, “fuoco di sant’Antonio”, in medicina virus dell’Herpes Zoster): grazie a un unguento realizzato dalla cotenna di maiale, i canonici di sant’Antonio riuscivano a guarire i malati che si recavano a chiedere aiuto al santo.

Tradizioni contadine: Sant’Antonio Abate, la notte in cui gli animali parlano

Il 17 gennaio ricorre la festa di Sant’Antonio Abate e secondo la tradizione durante questa notte agli animali è data la facoltà di parlare. E’ il santo del mondo contadino e uno dei primi e più illustri anacoreti della storia della Chiesa. Figlio di una nobile famiglia egiziana, nacque nel 255 dopo Cristo e alla morte dei genitori vendette tutti i suoi beni per ritirarsi nel deserto. Nella dura vita eremitica affrontò più volte e respinse le tentazioni del demonio, nelle sembianze di donne tentatrici o bestie feroci, leoni, serpenti e scorpioni. Quando poi il culto del santo si trasferì in Europa, le tentazioni del deserto si spostarono nei boschi selvaggi.

Sant’Antonio Abate in un codice miniato                   

 

 Le tentazioni di Sant’Antonio, Hieronymus Bosch

Nel secolo XI le reliquie di Sant’Antonio furono trasferite da Costantinopoli in Provenza, accolte e conservate in un monastero gestito dai benedettini. Accadde che in quella regione si diffondesse proprio in quegli anni un’epidemia terribile, chiamata “fuoco sacro”, una forma acuta di epilessia che in seguito fu chiamata “fuoco di Sant’Antonio” e che nulla ha a che fare con l’infezione causata dal virus della varicella.

La gravissima malattia era l’ergotismo: un’intossicazione originata dalla segale usata per il pane che si mangiava in molte zone d’Europa e che era prodotto con farine contaminate da claviceps purpurea, un fungo parassita delle graminacee. Questo fungo produce nella segale infetta delle escrescenze a forma di corna, da qui il nome di segale cornuta. Si tratta di alcaloidi resistenti anche alle alte temperature dei forni di cottura del pane e questo potrebbe essere all’origine di molti fenomeni di allucinazioni e superstizioni tipiche di realtà campestri in epoca preindustriale. Pare infatti riconducibile a ergotismo anche l’ondata di fenomeni registrati a fine Seicento a Salem, che dettero origine alla più grande caccia alle streghe in terra americana. Sempre attribuibili a effetti allucinatori da ergotismo potrebbero essere i presunti eventi soprannaturali di apparizioni e visioni, caratterizzati dall’accadere sempre in un contesto socio-economico di estrema povertà, in cui il nutrimento più diffuso era il pane di segale verosimilmente infetto.

L’intossicazione bloccava gli arti dei malati fino ad arrivare alla gangrena e provocava allucinazioni e impressionanti convulsioni.

Gli abitanti di tutta la Provenza e successivamente anche di altre zone, cominciarono ad accorrere all’abbazia per pregare e chiedere la grazia davanti alle sacre reliquie. Antonio diventò un santo guaritore. Furono costruiti diversi ospedali e i primi alberghi per i pellegrini che accompagnavano quei poveretti. Il pellegrinaggio all’abbazia di Saint Antoine en Viennois diventò popolarissimo.

Il culto di sant’Antonio si diffuse anche grazie alla nascita dell’ordine degli Antoniani, la cui attività era strettamente connessa all’accoglienza dei malati nei propri ospedali.

Anche il maiale diventò indispensabile nell’attività degli Antoniani, per via di un balsamo che curava il terribile “fuoco di Sant’Antonio”, un preparato che mescolava il grasso del maiale con altre sostanze e veniva utilizzato sulle orribili ferite dei malati. Di conseguenza i monaci Antoniani iniziarono ad allevare i maiali in grande quantità, facendoli pascolare in libertà e rendendoli riconoscibili perché venivano fatti girare con una campanella appesa al collo. L’Ordine Antoniano intanto cresceva diffondendosi in Europa. I monaci presto aprirono ospedali in molte città e i maiali con il campanellino pascolavano liberamente.  Al maiale dell’iconografia nel corso del tempo si sono aggiunti altri animali e per estensione l’abate è diventato il protettore di tutti gli animali domestici e della stalla. Per questo motivo, in molte chiese d’Italia, avviene il rito della tradizionale benedizione degli animali, così come del fieno e delle stalle. Infatti il 17 gennaio, giorno della sua festa, sui sagrati di molte chiese si benedicono gli animali: cani, gatti, cavalli, asini. Ma anche uccelli e tartarughe. La cosa sorprese molto Goethe che nel suo “Viaggio in Italia” fu testimone del rito a Roma nel gennaio 1787. Anche in Valdarno, sia a Figline che a San Giovanni, ogni anno si rinnova la tradizionale “Benedizione degli animali e delle biade”.

Oltre agli animali Sant’Antonio è stato associato anche al fuoco; ecco perché in alcune località, nel giorno della sua memoria liturgica, si accendono i fuochi, falò invernali che richiamano pratiche rituali ancestrali.  Le fiamme ricordano la lotta continua contro il demonio. I cosiddetti “focarazzi” o “ceppi” o “falò di Sant’ Antonio” avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno all’imminente primavera: un rito pagano cristianizzato. Sant’Antonio combatte il diavolo e il diavolo rappresenta la malattia e la morte. Lo ricorda ancora, in molte zone del sud d’Italia la celebre filastrocca: “Sant’Antonio, Sant’Antonio lu nemico de lu timoniu”. Da qui l’iconografia del santo eremita, accompagnato da un maialino con una campanella e poi per estensione da altri animali domestici, il fuoco e il bastone a forma di T, tipico degli eremiti. Elementi presenti nelle immagini popolari più vi­cine a noi, quelle che si usava mettere nelle stalle a protezione degli animali e dinnanzi alle quali, si accendevano lumi nella notte precedente la fe­sta del santo, il 17 gennaio, quando la leggenda vuole che gli animali parlino tra loro. Durante la notte degli animali parlanti, i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio.

Se si aggiunge poi che la sua festa cade in un periodo, la metà di gennaio, nel quale per ragioni climatiche si è soliti uccidere il maiale, con le carni del quale si sfamerà la famiglia contadina per il resto dell’inverno e oltre, la corrispondenza non poteva essere più completa. In questo periodo dell’anno si torna alla luce, visto che il sole sorge prima, portando vita e fertilità ai campi. Si chiude, di fatto, un anno e i falò sanciscono questo rito di passaggio: si brucia il passato e, purificati, si risorge.

Per la devozione popolare Sant’Antonio era l’eremita che cammina appoggiato al bastone a forma di T, la “tau”, lettera finale dell’alfabeto ebraico che allude alle ultime cose del mondo e al destino. Un santo capace di guarire malattie che sembravano invincibili. Annunciato da un maialino con la campanella.

Rossana Casini

 

Nell’intreccio di fatti e leggende relativi a sant’Antonio, troviamo il maiale al centro anche di un altro episodio, riportato tra l’altro nella Tentatio sancti Antonii, traduzione latina – ad opera del domenicano Alfonso Buenhombre (1341) – di una storia racchiusa molto probabilmente in un testo arabo: nella Tentatio si fa riferimento a un miracoloso viaggio di Antonio in Spagna. I motivi della traversata sono: convertire alla fede cristiana il re di Barcellona e liberare la sua famiglia da alcuni demoni che la insidiano. Ritorna, ovviamente, il tema dell’Antonio difensore della fede e combattente contro il diavolo. Ma in questo racconto, a un certo punto, entra nuovamente in scena l’animale dalla coda a ricciolo: viene raccontato un episodio in cui Antonio guarisce un porcellino cieco e claudicante che una scrofa aveva deposto ai suoi piedi.

In sintesi, tra sant’Antonio Abate e gli animali vi è un legame che dal Duecento circa costituisce un topos narrativo e iconografico. Da tutto ciò nasce la tradizionale benedizione degli animali che avviene ogni 17 gennaio. A tal proposito, Goethe, nel suo Viaggio in Italia, offrì una descrizione suggestiva (datata 1787) di tale avvenimento, al quale aveva assistito nel Belpaese: cavalli e muli, «stupendamente ornati di nastri intrecciati alla coda ed alla criniera», vengono portati davanti a un sacerdote benedicente da rendere così «gli animali immuni da ogni disgrazia».
 

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