Teofilo Rossi, nella sua qualità di Sindaco di Torino, lo studio Gritella di Torino parla di Alfredo Dandrate dei lavori svolti nella Chiesa Abbaziale ricordando come il DAndrade fosse stato eletto cittadino onorario della nostra città. /Alfredo Dandrade alla Chiesa Abbaziale di Ranverso durante lampliamento del 1914 scoprì un targa centenari di Giacomo Jaquerio recitava
Teofilo Rossi, nella sua qualità di Sindaco di Torino, lo studio Gritella di Torino parla di Alfredo Dandrate dei lavori svolti nella Chiesa Abbaziale ricordando come il DAndrade fosse stato eletto cittadino onorario della nostra città. /Alfredo Dandrade alla Chiesa Abbaziale di Ranverso durante lampliamento del 1914 scoprì un targa centenari di Giacomo Jaquerio recitava
L’abbazia, o più precisamente “Precettoria”, di Sant’Antonio di Ranverso, nella bassa Valle di Susa, alle porte di Torino, costituisce uno degli episodi architettonici più affascinanti e maturi del gotico internazionale dell’Italia occidentale, ove l’architettura aulica quattrocentesca raggiunge, anche per l’enfasi fastosa della decorazione in terracotta e policroma, verticismi di qualità assoluta. Il grande complesso conventuale, eretto in fasi successive, tra il XII e il XV secolo, e rimaneggiato sino al XVIII sec. – circondato da un borgo rurale pressoché integro – è stato oggetto di un progetto di restauro e di rifunzionalizzazione museale avviato per conto della Regione Piemonte e dell’Ordine Mauriziano, già proprietario degli immobili.
La peculiarità dell’intervento è derivata dalla singolarità che una cospicua parte della chiesa conventuale era stata oggetto di un interessante cantiere di restauro avviato da Alfredo D’Andrade alla fine del XIX secolo, restauro condotto secondo i parametri allora imperanti della ricostruzione formale in chiave neogotica, con la replicazione di forme e modelli architettonici intrisi di cultura romantica nel solco dell’ “arte industriale” di fine secolo. Progetto e cantiere si sono distinti per la cospicua campagna d’indagini conoscitive preliminari all’intervento condotte sui manufatti, cosicché il cantiere stesso si è rivelato come un’esperienza di conoscenza quasi irripetibile, che ha permesso di recuperare, e in parte di musealizzare, tutto il vasto repertorio fittile e pittorico di tarda età gotica e primo rinascimento, che costituiscono un unicum non solo in Italia.
Il cantiere sviluppato nella chiesa abbaziale ha consentito il ripristino delle copertura della navata principale e di quelle laterali, il consolidamento strutturale della facciata, dei pinnacoli e delle ghimberghe, il consolidamento di parte delle strutture superstiti del chiostro adiacente, l’adeguamento tecnologico e impiantistico della manica conventuale destinata a sede museale, il restauro di un vasto ciclo di affreschi – risalenti al periodo compreso tra XIII e XVI secolo – e di terrecotte policrome nonché l’esplorazione archeologica dei sedimi circostanti e delle strutture architettoniche cinquecentesche incompiute.
GIACOM JAQUERIO FUIT ISTA CAPELA
Tutto cominciò con un ritrovamento casuale. Nel 1914, durante restauri commissionati dall’Ordine Mauriziano, proprietario del complesso dal 1776, furono rimossi gli stalli di un coro ligneo seicentesco addossati alle pareti dell’abside. Si scoprirono così parti di affreschi di cui si era persa memoria e, soprattutto, tornò alla luce una breve epigrafe in caratteri gotici, già allora frammentaria per una parziale abrasione, ma facilmente integrabile: (Picta) fuit ista capela p(er) manu(m) Jacobi Jaqueri de Taurino (“Questa cappella è stata dipinta dalla mano di Giacomo Jaquerio di Torino”). Era la prova che si cercava da tempo, anche se il nome di Jaquerio era già citato in altre fonti.
Le parole “ista capela” indussero ad attribuire a Jaquerio o alla sua scuola tutti gli affreschi della chiesa e della sacrestia, e a datare la sua presenza a Ranverso attorno al 1430, quando cioè l’artista, morto quasi ottantenne nel 1453, aveva superato i sessant’anni. In realtà Giacomo Jaquerio vi avrebbe lavorato fra il 1396 e il 1406 e con la committenza per affrescare, come ha rivelato un documento scoperto di recente, le pareti attorno all’altare maggiore e le cappelle di San Biagio, della Maddalena e della Vergine.
Seduta amministrativa del 12 Marzo 1916. Presiede il Vice-Presidente Assandria, che dà il benvenuto ai nuovi Soci, e annunzia che la parte illustrativa della pubblicazione sul Castello d'Issogne è a buon punto. Sono pronte i6o fo- tografìe, delle quali io in tricromia. La commemorazione di DAvmE Ca- landra, che è affidata, come è noto, a Corrado Ricci, sarà pubblicata in volume a parte, riccamente illustrata dalla casa Alfieri e Lacroix. Discutendosi sull'epoca da fissarsi per la Commemorazione del com- pianto Presidente Alfredo d'ANDRADE, il socio Teofilo Rossi, nella sua qualità di Sindaco di Torino, ricordando come il D'Andrade fosse stato eletto cittadino onorario della nostra città, propone che alla commemora- zione si dia quella maggiore solennità possibile e offre l'aula del Consiglio comunale per la cerimonia. La Società accetta riconoscente l'offerta e si fissa il 26 aprile per la lettura del discorso del Giacosa, che verrà poi pubblicato a parte.
ALFREDO D'ANDRADE
Nato a Lisbona il 26/08/1839, Alfredo d'Andrade è un personaggio poliedrico: impiegato presso una ditta di commercio a Genova, insegnante di ‘Ornato applicato all'industria', pittore verista della ‘scuola di Rivara', restauratore di numerosi edifici medioevali in qualità di ‘Soprintendente del patrimonio artistico del Regno di Sardegna' e ideatore del Borgo Medioevale di Torino per l'Esposizione Nazionale del 1884.
Nel dibattito europeo sul restauro di antichi edifici, il D'Andrade occupa un ruolo moderato, indirizzandosi alla ricerca analitica e filologica, privilegiando la ricognizione storica e la comprensione degli antichi sistemi di lavorazione dei materiali. Malgrado ciò, non esita ad intervenire in alcuni casi in modo radicale, per la salvaguardia fisica del monumento.
Nel 1884 inizia il restauro della Sacra di San Michele, notevolmente compromessa dall'incuria, dai terremoti e dai numerosi interventi scellerati dell'uomo. Le opere erano volte al consolidamento del fianco sud poiché i contrafforti di sostegno alla chiesa non risultavano fondati correttamente.
La scoperta di uno scalone antico tra il Portale dello Zodiaco e l'ingresso della chiesa suggerisce l'ideazione degli archi rampanti, impostati su pilastri per scaricare il peso della nuova copertura.
Nel 1896 i lavori vennero sospesi per mancanza di fondi e ripresi solo nel 1925, a dieci anni dalla morte del D'Andrade.
Alla Sacra egli progetta in modo gotico ed è sua intenzione portare a termine le parti medioevali incompiute, anche a costo di demolire il Coro Vecchio, ultima testimonianza della chiesa di Ugo di Montboissier (secXI).
Importante approfondire la progettazione dell'intervento, la documentazione fotografica, i disegni e gli schizzi conservati alla Galleria d'Arte Moderna di Torino