Tau Novalesa
Tau Novalesa
Il tau in araldica è anche detto croce di Sant’Antonio, si perché usata sin dal 1095 dai Canonici Regolari di Sant’Antonio di Vienne, ordine ospitaliero a servizio degli infermi, monastico sotto la regola di Sant’Agostino.
Il loro abito era formato da una veste e da un manto grigio scuro, con una croce di sole tre braccia di colore azzurro, cucita sopra il cuore. Oggi troviamo testimonianze della loro trascorso nelle città di Pescia, di Pistoia e di San Miniato, infatti in Italia i primi ospedali dell’ordine sorsero sulla via francigena o nelle prossimità. Probabilmente divenne il simbolo di questi antoniani poiché oltre a rappresentare la croce, rappresentava anche la stampella usata dagli ammalati. Simbolo che, col tempo è divento associato allo stesso Sant’Antonio Abate.
Il tau fu adottato dall’ordine dei frati Ospitalieri di San Jacopo, che fu fondato intorno all’anno 1050 in Altopascio, comunemente chiamati Cavalieri del Tau. La cui storia è saldamente legata alla cittadina lucchese, tanto che nello stemma comunale spicca tale emblema.
Probabilmente il tau degli Antoniani, la cui missione era prendersi cura degli ammalati, richiamò l’attenzione di Francesco. Tuttavia influì sicuramente il discorso di apertura di Papa Innocenzo III al IV Concilio Lateranense del 1215. Quel I° novembre, il Santo era presente, in quanto il Papa approvò la Regola del suo Ordine durante l’adunanza, il Pontefice fece proprie le parole di Dio al profeta e rivolgendosi a ciascun membro del concilio disse: «Segna con un Tau la fronte degli uomini». Poi egli aggiunse: «II Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico ed ha la forma di una croce, tale quale si presentava la croce prima che fosse posto il cartello di Filato. Uno porta sulla fronte il segno del Tau, se manifesta in tutta la sua condotta lo splendore della croce; si porta il Tau se si crocifigge la carne con i vizi e i peccati ; si porta il Tau se si afferma: di nient’altro mi voglio gloriare se non della croce di nostro Signore Gesù Cristo… Chi porterà il Tau troverà misericordia, segno di una vita penitente e rinnovata nel Cristo… Siate dunque i campioni del Tau e della Croce!». Tale appello, fu accolto dal Francesco e ne fu influenzato profondamente. Un appello per una mobilitazione generale della cristianità, per una crociata di conversione e di penitenza.
Questa lettera ebbe un valore simbolico già nell’Antico Testamento, se ne parla già nel libro di Ezechiele, ed è il segno che, posto sulla fronte dei poveri di Israele, li salva dallo sterminio.
Il tau in araldica è anche detto croce di Sant’Antonio, si perché usata sin dal 1095 dai Canonici Regolari di Sant’Antonio di Vienne, ordine ospitaliero a servizio degli infermi, monastico sotto la regola di Sant’Agostino.
Il loro abito era formato da una veste e da un manto grigio scuro, con una croce di sole tre braccia di colore azzurro, cucita sopra il cuore. Oggi troviamo testimonianze della loro trascorso nelle città di Pescia, di Pistoia e di San Miniato, infatti in Italia i primi ospedali dell’ordine sorsero sulla via francigena o nelle prossimità. Probabilmente divenne il simbolo di questi antoniani poiché oltre a rappresentare la croce, rappresentava anche la stampella usata dagli ammalati. Simbolo che, col tempo è divento associato allo stesso Sant’Antonio Abate.
Il tau fu adottato dall’ordine dei frati Ospitalieri di San Jacopo, che fu fondato intorno all’anno 1050 in Altopascio, comunemente chiamati Cavalieri del Tau. La cui storia è saldamente legata alla cittadina lucchese, tanto che nello stemma comunale spicca tale emblema.
Probabilmente il tau degli Antoniani, la cui missione era prendersi cura degli ammalati, richiamò l’attenzione di Francesco. Tuttavia influì sicuramente il discorso di apertura di Papa Innocenzo III al IV Concilio Lateranense del 1215. Quel I° novembre, il Santo era presente, in quanto il Papa approvò la Regola del suo Ordine durante l’adunanza, il Pontefice fece proprie le parole di Dio al profeta e rivolgendosi a ciascun membro del concilio disse: «Segna con un Tau la fronte degli uomini». Poi egli aggiunse: «II Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico ed ha la forma di una croce, tale quale si presentava la croce prima che fosse posto il cartello di Filato. Uno porta sulla fronte il segno del Tau, se manifesta in tutta la sua condotta lo splendore della croce; si porta il Tau se si crocifigge la carne con i vizi e i peccati ; si porta il Tau se si afferma: di nient’altro mi voglio gloriare se non della croce di nostro Signore Gesù Cristo… Chi porterà il Tau troverà misericordia, segno di una vita penitente e rinnovata nel Cristo… Siate dunque i campioni del Tau e della Croce!». Tale appello, fu accolto dal Francesco e ne fu influenzato profondamente. Un appello per una mobilitazione generale della cristianità, per una crociata di conversione e di penitenza.
Questa lettera ebbe un valore simbolico già nell’Antico Testamento, se ne parla già nel libro di Ezechiele, ed è il segno che, posto sulla fronte dei poveri di Israele, li salva dallo sterminio.
Il tau in araldica è anche detto croce di Sant’Antonio, si perché usata sin dal 1095 dai Canonici Regolari di Sant’Antonio di Vienne, ordine ospitaliero a servizio degli infermi, monastico sotto la regola di Sant’Agostino.
Il loro abito era formato da una veste e da un manto grigio scuro, con una croce di sole tre braccia di colore azzurro, cucita sopra il cuore. Oggi troviamo testimonianze della loro trascorso nelle città di Pescia, di Pistoia e di San Miniato, infatti in Italia i primi ospedali dell’ordine sorsero sulla via francigena o nelle prossimità. Probabilmente divenne il simbolo di questi antoniani poiché oltre a rappresentare la croce, rappresentava anche la stampella usata dagli ammalati. Simbolo che, col tempo è divento associato allo stesso Sant’Antonio Abate.
Il tau fu adottato dall’ordine dei frati Ospitalieri di San Jacopo, che fu fondato intorno all’anno 1050 in Altopascio, comunemente chiamati Cavalieri del Tau. La cui storia è saldamente legata alla cittadina lucchese, tanto che nello stemma comunale spicca tale emblema.
Probabilmente il tau degli Antoniani, la cui missione era prendersi cura degli ammalati, richiamò l’attenzione di Francesco. Tuttavia influì sicuramente il discorso di apertura di Papa Innocenzo III al IV Concilio Lateranense del 1215. Quel I° novembre, il Santo era presente, in quanto il Papa approvò la Regola del suo Ordine durante l’adunanza, il Pontefice fece proprie le parole di Dio al profeta e rivolgendosi a ciascun membro del concilio disse: «Segna con un Tau la fronte degli uomini». Poi egli aggiunse: «II Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico ed ha la forma di una croce, tale quale si presentava la croce prima che fosse posto il cartello di Filato. Uno porta sulla fronte il segno del Tau, se manifesta in tutta la sua condotta lo splendore della croce; si porta il Tau se si crocifigge la carne con i vizi e i peccati ; si porta il Tau se si afferma: di nient’altro mi voglio gloriare se non della croce di nostro Signore Gesù Cristo… Chi porterà il Tau troverà misericordia, segno di una vita penitente e rinnovata nel Cristo… Siate dunque i campioni del Tau e della Croce!». Tale appello, fu accolto dal Francesco e ne fu influenzato profondamente. Un appello per una mobilitazione generale della cristianità, per una crociata di conversione e di penitenza.
l progetto, avviato dall’aprile 2006, è stato ideato con l’intenzione di offrire una visione generale del culto di S. Antonio Abate a partire dall’area piemontese. Per raggiungere questo scopo si è deciso di ricercare e schedare le immagini del Santo e gli edifici a lui dedicati, indicando su di una scheda, predisposta a cura dell’associazione, la natura dell’immagine, il tipo di edificio, il luogo, la datazione, lo stato di conservazione, eventuali notizie ricavate da fonti orali o scritte e tutte le altre informazioni che era possibile reperire. In questo modo, con il procedere della ricerca, si sono ottenuti alcuni risultati, sia pure parziali, elaborando i quali si sono concretizzati gli obiettivi indicati nel progetto presentato alla fondazione CRT: sono stati realizzati un sito internet, una mostra itinerante e un dépliant che sintetizza i risultati ottenuti. Nel sito internet (www.santantonioabate.afom.it) al testo delle schede, elencate secondo l’indice alfabetico delle località, vengono affiancate fotografie che documentano le immagini e gli edifici descritti e, qualora sia possibile, alcuni riferimenti bibliografici. Le schede possono essere richiamate, oltre che per località, anche in base ad alcuni elementi caratterizzanti: la collocazione per provincia, il tipo di costruzione dedicata
al santo o che ne ospita l’immagine (chiesa, cappella, pilone, casa privata…), la natura dell’immagine (statua, affresco, tela…), la fase cronologica, infine per parole chiave. Questo agevola la ricerca e facilita confronti incrociati; permette ad esempio di verificare statisticamente (sia pure in modo non definitivo), in quali aree geografiche sia più diffuso il culto di S. Antonio e quale tipo di immagine sia prevalente. Un importante risultato ottenuto grazie al sito internet è l’aver messo a disposizione, su di un mezzo facilmente consultabile, non solo località note, ma anche testimonianze che, per la loro collocazione periferica e per il fatto di non essere sempre aperte al pubblico, sono visitabili con difficoltà. In questi casi, tutte le volte che è stato possibile, si sono indicati gli enti o le persone a cui rivolgersi, o le occasioni in cui gli edifici sono visitabili. Si coglie qui l’occasione per ringraziare coloro che hanno agevolato il lavoro di ricerca con le loro informazioni e con l’intervento attivo nel rendere accessibili gli edifici solitamente chiusi. La mostra itinerante, costituita da pannelli che riprendono il contenuto del sito internet, comprende anche alcune proposte di itinerari che collegano tra loro località significative per la presenza di testimonianze legate al culto di S. Antonio Abate. Essa è stata esposta a Torino presso il Centro Servizi (VOL.TO) in via Giolitti 21, e successivamente nel pronao della Precettoria di S. Antonio di Ranverso a Buttigliera– Rosta, sulla statale del Moncenisio, e a Melezet, frazione di Bardonecchia; si prevede di esporla anche in alcune località dove si trovano altri edifici dedicati al Santo. La Precettoria di Ranverso è stata scelta sia perché è la “casa madre degli antoniani in Italia e luogo del primo insediamento nella penisola,” (Fenelli, p.118) sia perché il progetto ha avuto come punto di partenza proprio questa fondazione. Ora, ricorrendo ad esempi di area piemontese tratti dalle schede del sito, vorrei illustrare il significato degli attributi, variamente associati tra loro, che caratterizzano l’iconografia di S. Antonio come è stata costruita dall’Ordine Antoniano. Questi sono il bastone a forma di Tau, la lettera greca, il maiale, il fuoco, la campanella ed il libro, che lo identificano ed assumono un valore simbolico. Cominciamo dal maiale, il fuoco e la campanella, che sono tra loro collegati. Il fuoco allude alla malattia, variamente definita ergotismo, male degli ardenti, ignis sacer, alla cura della quale si erano dedicati gli Antoniani negli ospedali che affiancavano le loro fondazioni. I canonici, in origine infermieri laici, usavano il lardo di maiale per attenuare il dolore della cancrena, che colpiva soprattutto gli arti inferiori e provocava frequentemente l’amputazione di una gamba. L’attenzione e la cura rivolte ai malati si rifanno alla tradizione che vedeva S. Antonio come un guaritore, documentata dall’affresco sul fianco sinistro esterno della chiesa di S. Antonio Abate a Jouvenceaux, frazione di Sauze d’Oulx, nel quale il santo è circondato da sofferenti che attendono da lui la guarigione. Il fuoco è l’ultimo ad apparire nell’iconografia antoniana rispetto agli altri simboli: ”la fiamma appare più tardi del campanello e del maiale in collegamento con l’eremita, tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento, ed è assai più rara: forse le ragioni di questa tardiva associazione [….] sono da collegarsi a un momento in cui l’ignis sacer tendeva a esaurirsi come emergenza sanitaria e si sentiva la necessità di richiamare visivamente la sua pericolosità”. (Fenelli, p.126). ASSOCIAZIONI STORICHE 77 L’allevamento dei maiali, insieme al diritto di questua, “era una prerogativa che serviva a ingrossare le casse dell’ordine. […..] Secondo un antico privilegio concesso dalla Santa sede, agli antoniani era stata data la possibilità di allevare i suini, che dovevano costituire una rendita per le precettorie e fungere da cibo per gli ammalati.” (Fenelli, p.116). Probabilmente tutti questi motivi, insieme all’uso del lardo di maiale nella cura, hanno generato la spiegazione comunemente accettata della frequente presenza di questo animale accanto al santo. Vi è però un’altra interpretazione proposta da Piera Grisoli, secondo la quale il maiale “è un attributo e un simbolo, è il maligno per eccellenza, colui che tormenta il santo negli episodi delle tentazioni trasfigurandosi, per meglio confonderlo, da bestia immonda a femmina lasciva.” (Grisoli, p.232). Una conferma di questo significato, accanto a quello comunemente accettato, lo si può vedere nella tela dei primi anni ’80 del Seicento, esposta nella navata sinistra della parrocchia di Maria Assunta a Chiomonte, dove il santo è in primo piano rappresentato in preghiera, mentre sullo sfondo un diavolo appoggia il piede sinistro su un maiale. La campanella è strettamente connessa a questo animale: “i porci di sant’Antonio potevano vagare per le città solo con i sonagli al collo”; inoltre “ la campanella era utilizzata dai questuanti antoniani nelle raccolte di elemosine per annunciare il loro arrivo.” (Fenelli, p.125). La campanella è spesso associata al bastone a forma di tau, il simbolo più antico e diffuso dell’Ordine Antoniano; un esempio è la statua lignea nella chiesa della precettoria di S. Antonio di Ranverso. Il tau ricorda la croce egizia propria degli eremiti che vivevano nel deserto, ed era utilizzato anche da ordini religiosi in occidente, come documenta un affresco del tardo XI secolo sulla volta della cappella di S. Eldrado, che fa parte dell’abbazia benedettina della Novalesa; solo nel 1252 diventò un attributo esclusivo degli Antoniani grazie a tre bolle emanate dal papa Innocenzo IV. A posteriori, per il tau vennero proposti significati che non avevano nulla a che fare con quello originario; il più diffuso è la somiglianza con la stampella usata dai “demembrati”, i malati di ignis sacer a cui veniva amputata una gamba. A questo dedica un brevissimo cenno Italo Ruffino (Ruffino, p.224). Il tau è poi diventato un segno distintivo degli Antoniani, ed era cucito sul mantello. Un ulteriore attributo dell’iconografia di S. Antonio è il libro, che secondo alcuni consisterebbe in una raccolta di pensieri, preghiere e raccomandazioni elaborata dal santo, altri invece lo interpretano come il libro delle Sacre Scritture, o ancora come il testo della regola agostiniana, a cui gli Antoniani erano stati sottoposti dal papa Innocenzo IV nel 1247. Il santo in alcune immagini tiene il libro in una mano, come nell’affresco del castello di Malgrà a Rivarolo e nella tela della chiesa di S. Antonio abate a Fénils di Cesana e della cappella di S. Giuseppe alla Ramats di Chiomonte, oppure è inginocchiato davanti ad una roccia su cui il libro è posato. Questa è una iconografia frequente in alcune pale di altare della valle di Susa; si possono citare tre opere che presentano molte somiglianze, probabilmente appartenenti alla medesima scuola, collocate nella parrocchia di S. Antonio Abate a Melezet (Bardonecchia), nella chiesa di S. Antonio Abate a Jouvenceaux e nella parrocchia dell’Immacolata Concezione alla Ramats di Chiomonte. ASSOCIAZIONI STORICHE 78 Gli episodi della vita del santo ricorrono frequentemente nella decorazione pittorica delle chiese in valle di Susa, ed in essi hanno una parte rilevante le tentazioni; ne troviamo la rappresentazione a Jouvenceaux, Savoulx, frazione di Oulx, Salbertrand, in valle di Susa. Ora che è stato schedato un numero considerevole di immagini, si possono trarre alcune conclusioni, anche se non definitive, riguardanti ulteriori aspetti dell’iconografia del santo ed i caratteri della diffusione del culto nel tempo e nello spazio. Da un esame in ambito cronologico, si può osservare che molto spesso, nelle immagini più antiche, che risalgono al Quattrocento, la mano destra di S. Antonio non regge nessuno degli attributi consueti, ma è in atteggiamento benedicente: lo vediamo negli affreschi della cappella di S. Lorenzo all’alpe Sec cio di Boccioleto in Valsesia, e nella canonica e nella chiesa di S. Vito a Piossasco (Torino). Da un estremo temporale a quello opposto: si tratta di immagini di fine Ottocento Novecento, più frequenti negli ambienti montani e nelle zone agricole, in cui il santo, oltre che dal solito maiale, è accompagnato da pecore, cani, galline, mucche, ecc. Gli esempi sono numerosi, e vanno dalla stampa nella cappella di Olmo di Gravere in val di Susa, all’affresco sul pilone di Forno Sellery di Coazze in val Sangone e alla tela della parrocchia di Moncenisio (Torino). Questo si spiega con le vicende del culto di S. Antonio così come si sono sviluppate nel corso dei secoli: infatti, nella religiosità popolare, S. Antonio fu considerato prima il patrono dei maiali e poi, per estensione, di tutti gli animali domestici, tanto che il 17 gennaio, giorno della sua festa liturgica, erano portati in chiesa perché fossero benedetti. Questa usanza è stata ripresa la domenica più vicina al 17 gennaio in alcune chiese, come nella precettoria di Ranverso, a S. Antonino e a Bussoleno in valle di Susa. Riguardo alla natura delle immagini, si è rilevata una maggiore frequenza di affreschi negli edifici minori, in genere situati in aree periferiche, rispetto alle tele di grandi dimensioni presenti negli edifici parrocchiali. Questo potrebbe costituire lo spunto per indagini sulle possibilità economiche delle varie comunità di fedeli, nonché sugli artisti a cui i committenti si potevano rivolgere. Gli affreschi sui piloni della zona di Paesana (Cuneo), databili tra la fine del Settecento e il Novecento, documentano la presenza di pittori itineranti a cui si rivolgevano le famiglie del posto per soddisfare un voto o per una grazia ricevuta. Sono quindi pitture d’occasione, molto diverse dalle pale d’altare, la cui esecuzione comunità religiose o cittadine affidavano a botteghe qualificate e affermate. Questi sono solo esempi di studi che possono essere compiuti utilizzando il materiale raccolto, che finora è stato catalogato soprattutto dai soci dell’AFOM; tuttavia la ricerca è aperta alla collaborazione di chiunque voglia apportare i propri contributi. La scheda è scaricabile dal sito internet http://www.santantonioabate.afom.it Per ulteriori informazioni si può consultare il sito dell’associazione www.afom.it o scrivere all’e-mail info@afom.it ASSOCIAZIONI STORICHE 79 Prospettive del progetto: oltre alle continue rilevazioni di ded