Omaggio di Ersilio Teifreto ricercatore di tracce fans di Pino De Nuzzo il progettista di ponti che amava le pietre anche quelle miliari.
Omaggio di Ersilio Teifreto ricercatore di tracce fans di Pino De Nuzzo il progettista di ponti che amava le pietre anche quelle miliari.
L’UOMO CHE AMAVA LE PIETRE
Il cercatore di pietre si sedette su un masso ruvido, accarezzato e schiaffeggiato da secoli di vento e di pioggia.
Levò il suo sguardo verso occidente e fissò il disco solare che scendeva, con moto impercettibile, verso la linea dell’orizzonte.
Si volse, poi, verso i giovani cipressi dalle cime ondeggianti , quasi una linea di confine tra il passato ed il presente.
Di qua le pietre, possenti e silenziose, costeggianti un tratturo sul quale ruote antiche, cariche di fatica perduta,
avevano lasciato un segno perpetuo. Di là la sua città, dove le nuove costruzioni avevano ormai soffocato l’identità passata
e, con essa, l’antica sapienza. Pensò a quanto apparisse difficile, per i più, comprendere che non esiste solo ciò che
è colto dai sensi, e che immutabili energie ci fondono all’Uno, in un legame indissolubile, del quale ormai
s’è persa la consapevolezza. Un legame mai scisso, soltanto smarrito, per il quale ogni cosa è vivente, d’una vita diversa ed
intensa, che la lega ad ogni parte dell’Universo. Accarezzò la pietra e colse in sé le vibrazioni dei tempi, di vite e di sogni,
di speranze tradite e di dolori mai sopiti. La città, di fronte a lui, si arrampicava verso la collina, ogni giorno più insensibile
e dimentica di quegli antichi legami. Eppure egli li considerava soltanto sopiti, ed era certo, per tutta la vita lo
era stato, che si potessero risvegliare e con essi le coscienze e le sensibilità: una vita diversa.
E se un architetto più grande di lui era riuscito a realizzare tanta armonia, egli, e quanti come lui, avrebbero potuto
far crescere quel luogo attraverso una fusione armoniosa tra vecchio e nuovo, nella quale la recuperata identità ed il
rispetto di noi costruisse uomini diversi e più forti, poichè la prima costruzione di un architetto è l’uomo stesso.
Ma immagini diverse sfilavano nella sua mente: individui dal sorriso falso, che si muovevano con le mani sul ventre,
tronfi della loro ipocrisia, gente che sorrideva soltanto con le labbra e non con gli occhi, e ancora altra gente più spontanea,
ma smarrita ed insicura. Infine pochi , negli occhi dei quali aveva colto uno sguardo ancora fiero ed orgoglioso,
ed ai quali era diretta la sua attenzione, ma erano ancora pochi, troppo pochi.
Eppure pochi potevano fare molto si disse, ma dentro di sé iniziava a cogliere una stanchezza profonda, condita
da amarezza e disillusione. Quante volte aveva ritrovato in sé quella forza nascosta, data da quelle energie trasfuse,
ed il suo sguardo si era riacceso. Accadeva, però, sempre meno e lo sfinimento interiore appariva, a volte, invincibile.
Provò una sensazione graduale di distacco ed osservò nuovamente il sole, ormai sulla linea dell’orizzonte.
Fissò le pietre davanti a sé, perduto nei suoi pensieri, e sussultò, sentendo una mano posarsi sulla spalla.
La morte gli sorrise.
Era una donna non più giovanissima, ma ancora molto bella, non orba e camusa come viene raffigurata nell’iconografia
tradizionale, ma dal sorriso dolce e dallo sguardo comprensivo.
Lanciò un’occhiata alla sua città, che gli sembrò più scheletrica di come la morte stessa si dovesse raffigurare.
Sorrise d’un sorriso amaro alla città e rivolse un sorriso aperto alla donna di fronte a lui, che gli porgeva una mano.
“Come una pietra…” disse
“Eterna…” lei rispose.
“A Pinuccio”
Gianni Bellisario
rilevatore Ersilio Teifreto