Ostensione della Sindone il Maestro Mons. Italo Ruffino riprese quindi il mai sopito interesse per le ricerche di storia diocesana, monastica e ospedaliera, in modo particolare degli Antoniani della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso a cui si era dedicato fin dalla preparazione della sua tesi di laurea.
Ostensione della Sindone il Maestro Mons. Italo Ruffino riprese quindi il mai sopito interesse per le ricerche di storia diocesana, monastica e ospedaliera, in modo particolare degli Antoniani della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso a cui si era dedicato fin dalla preparazione della sua tesi di laurea.
Nelle prime ore di mercoledì 8 aprile, nell’imminenza di una nuova Ostensione della Sindone, la luce della Risurrezione ha attirato a sé mons. Italo Ruffino che ha così celebrato la sua personale pasqua dopo un itinerario terreno che è durato più di 102 anni, mentre stava attendendo il compimento dell’ottantesimo della sua Ordinazione presbiterale. La sua è stata una vita segnata profondamente da molteplici avvenimenti, di variegata valenza, fin dai primi anni. Nato a Torino il 12 agosto 1912 e rimasto orfano di padre nel 1915, anche per il nostro Italo – come per Papa Francesco – a fianco della mamma spiccò la figura di nonna Chiara a cui si unirono le suore Ausiliatrici del Purgatorio, presso cui fece la Prima Comunione, le quali lo indirizzarono alla Congregazione Mariana dei Padri Gesuiti dell’Istituto Sociale e della chiesa dei Santi Martiri, luogo questo che contribuì a far maturare la sua vocazione al sacerdozio e a cui rimase sempre legato. Dopo il primo anno di ragioneria al Sommeiller, era entrato nel Seminario di Giaveno per la IV ginnasiale, passò poi a Chieri per il Liceo e a Torino per gli studi teologici. Ricevuta l’Ordinazione presbiterale il 29 giugno 1935, in Cattedrale, dall’Arcivescovo Card. Maurilio Fossati; completato il biennio al Convitto Ecclesiastico, venne destinato a Settimo Torinese come vicario cooperatore. A guerra appena iniziata, nel 1940, fu trasferito a Torino nella parrocchia SS. Annunziata; l’anno seguente scelse di diventare cappellano militare e, dopo un periodo in Val Pellice e Val Germanasca a fianco delle Guardie di Fron- tiera, fu destinato al fronte russo dove giunse tre mesi pri- ma della terribile e tragica riti- rata, in cui lui stesso rischiò la vita per congelamento, fatto di cui portò pesanti conseguenze con l’amputazione degli alluci. Della Russia conservò sempre memorie indelebili che non molti anni fa volle anche affidare a un volume dal titolo «Bianco rosso e grigioverde. Un cappellano militare: tre mesi in Russia e venti mesi in attesa della Liberazione». Ripreso il normale servizio pastorale in Diocesi a Settimo Torinese, nel 1943 fu nuovamente trasferito a Torino questa volta nella parrocchia S. Secondo Martire, come collaboratore – con altri sacerdoti – del Vescovo-parroco mons. Giovanni Battista Pinardi, ora Servo di Dio, e vi rimase per 13 anni. In questo periodo riprese gli studi e conseguì la laurea in lettere presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, oltre al diploma in paleografia, archivistica e diplomatica presso l’Archivio di Stato di Torino; fu vice assistente diocesano della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, insegnante di religione nella scuola media Valfrè e, per un triennio, docente di ma- terie letterarie nel Seminario di Rivoli. Nel 1956 ritornò nella parroc- chia dove era cresciuto e in cui aveva celebrato la sua prima Messa, a fianco del parroco mons. Pompeo Borghezio che per una malattia invalidante non era più in grado di compiere pienamente il ministero, e tre anni dopo fu nominato parroco. Nei 25 anni del suo servizio alla parrocchia di S. Massimo dovette subito affrontare, tra altri problemi, la realtà dei tanti immigrati che in quegli anni arrivavano a Torino in cerca di lavoro dalle Regioni del nostro Meridione, svolgendo un importante ruolo di mediazione tra i vecchi ed i nuovi parrocchiani con iniziative particolarmente significative, quali ad esempio quella di invitare assistenti sociali e sacerdoti dalle Diocesi del Sud per incontrare le persone provenienti dalle loro terre. Valorizzava la visita annuale alle famiglie – che durava molti mesi – nel corso della quale poteva aggiornare lo stato delle anime del suo territorio oltre a incontrare e conoscere persone anziane o malate non più in grado di frequentare la chiesa; portò a compimento i lavori di ristrutturazione del salone-teatro parrocchiale sotto la grande chiesa, a cui dedicò costanti attenzioni per mantenerla bella e accogliente; rinnovò i locali dell’oratorio e contribuì efficacemente per l’avvio in Diocesi delle settimane bibliche. Fu ispettore di religione nelle scuole elementari, incaricato di corsi per maestri e per religiose, delegato diocesano per l’Università Cattolica, più volte membro dei Consigli Diocesani e della Commissione diocesana per l’ecumenismo. Giornalista pubblicista fin dal 1956, fu collaboratore fecondo e apprezzato dei nostri settimanali diocesani non solo scrivendo molti articoli ma anche con la sua convinta opera per farli conoscere e dif- fondere tra i suoi parrocchiani ed in tutti gli altri ambienti da lui frequentati. Nominato canonico del Capi- tolo Metropolitano nel 1984, di cui tuttora era l’Archivista, lasciò contestualmente la re- sponsabilità della parrocchia e si era poi trasferito alla Casa del Clero «S. Pio X» in Torino. Riprese quindi il mai sopito interesse per le ricerche di storia diocesana, monastica e ospedaliera, in modo particolare degli Antoniani della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso a cui si era dedicato fin dalla preparazione della sua tesi di laurea. Dedicò grande attenzione alla storia della celebre ed antica abbazia di S. Michele all’imbocco della valle di Susa e fu animatore di molteplici iniziative che sfociarono sia in giornate di studio sia nella pubblicazione di una serie di volumi dedicati al Millennio composito di San Michele della Chiusa. Dotato di una memoria veramente mirabile, non disgiunta da arguzia, fu spesso invitato per conferenze ed apprezzato per la grande cultura, la capacità di catturare l’attenzione, l’energia e lo spirito giovanile nonostante il progredire degli anni. L’Arcivescovo Ordinario Militare, nel dicembre 1996, aveva ottenuto per lui la nomina a Cappellano di Sua Santità e volentieri Monsignore, fino a pochi mesi fa, partecipava – non solo in Torino – alle molteplici iniziative in memoria e in suffragio dei Caduti in guerra. Fino a due anni fa, nei primi mesi dell’anno si recava in Argentina per incontrare i suoi parenti (il fratello Giorgio, negli anni ’50, vi si era trasferito per lavoro e vi aveva formato la sua famiglia): affrontava ore e ore di aereo da solo, anche negli ultimi anni, e durante la permanenza volentieri offriva il suo ministero per consentire ad alcuni sacerdoti locali un periodo di riposo. Ora Monsignore – servo ge- neroso e fedele – ha concluso il suo itinerario terreno e noi, nella preghiera di suffragio, lo consegniamo al Pastore dei pa- stori perché gli doni la gioia e la pace che auspichiamo e im- ploriamo per lui. Giacomo Maria MARTINACCI Lutti Don Italo Ruffino Pellegrini alla Sindone Segue dalla 1a pagina che scorre nei secoli, di una umanità bisognosa di Dio, del suo affetto misericordioso, della sua comprensione amorosa e solidale, e sentirci amati ognuno di amore di predilezione, accolti in un abbraccio affettuoso, che ci rincuora e ci unisce. Allora insieme a papa Francesco comprenderemo che non siamo noi che guardiamo quel volto ma ci sentiremo guardati e invitati a non passare oltre, con superficialità, a tanta sofferenza attorno a noi e nel mondo. È la prova più toccante che lui, il nostro Signore e Redentore, non ha voluto passare oltre la nostra miseria, ha invece voluto condividere ogni nostra sofferenza. Da questa intensa esperienza di amore egli ci invita a uscire fuori dell’accampamento, fuori delle nostre pigre sicurezze, per andare ad annunciarlo a un mondo che ha bisogno di lui senza rendersene conto. La ragione stenta a piegarsi, ad accettare: che cosa può fare per noi chi è senza vita? Ma la fede insiste nell’affermare che egli è il redentore dalla cui totale impotenza della morte, nasce per tutti la pienezza della vita, per sempre. Sono i controsensi e le sfide della Sindone, specchio della massima impotenza e testimone del massimo beneficio, dell’amore più grande. Allora un messaggio si leva da quel volto che non dobbiamo trascurare espresso con semplicità in una poesia piemontese: «Guardate in che misero stato le vostre colpe mi hanno ridotto». Non dobbiamo prendere alla leggera un amore pagato a così caro prezzo. E no n dobbiamo lasciarci sconcertare dall’atteggiamento indifferente di un mondo che in realtà nasconde tante sofferenze e tante potenzialità di bene. Il seminatore non è meno generoso oggi che in passato e proprio nell’inadeguatezza della nostra collaborazione mostra la gratuità onnipotente del suo amore sovrano. ✠ Cesare NOSIGLIA Nomina Mons. Mauro Rivella è stato nominato Segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Operatori pastorali: la logica dell’incontro Fino a poco tempo fa si parlava della morte di Dio. Oggi più che constatare la morte di Dio, si scruta la morte dell’uomo. La questione pastorale odierna è di natura antropologica. Se muore l’uomo, muore anche Dio. Se muore Dio, muore anche l’uomo che implode nell’individualismo. Tutto va ripensato e risolto dalla prospettiva teologica del Dio fatto uomo, in Cristo e dell’umanesimo integrale cristiano che unisce non contrappone; pur non confondendo l’umano con il divino. Occorrerà accogliere con maggior determinazione lo stile della relazione Chiesa e mondo indicato dalla Gaudium et spes nei termini del dare e ricevere. L’operatore pastorale è chiamato ad assume questa mentalità, prima di tutto, in quanto testimone della fede, alla ricerca di varchi nell’odierna cultura cui agganciare l’annuncio umanizzante del Vangelo del Regno. Così, in buona sostanza, l’Arcivescovo mons. Nosiglia ha esortato gli operatori pastorali del Servizio di Formazione diocesano nel ritiro di fine anno tenutosi a Pianezza domenica 12 aprile. In dettaglio, la via da percorrere nella pastorale, ha precisato l’Arcivescovo, è quella del «rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo». Insomma: «la rivoluzione della tenerezza» (EG 88). Lo esige l’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne nella prospettiva indicata dai cinque verbi proposti dall’instrumentum laboris preparato per il convegno di Firenze: uscire o accogliere, incontrare, condividere; annunciare, soprattutto attraverso la testimonianza; abitare da credenti la cultura e la società attuale; educare e cioè evangelizzare educando e, infine trasfigurare e cioè diventare capaci di fare sintesi. Erano presenti 60 operatori pastorali oltre ai loro formatori. Di questi 29 riceveranno il mandato dell’arcivescovo l’11 ottobre in Cattedrale e gli altri 31, proseguiranno il cammino l’anno prossimo. Giovanni VILLATA a roma l’ultima presentazione dell’ostensione pri Già un milTutto pronto per un evento di fede, all’insegna della domenica, 19 aprile 2015 primo piano 3.