la parola focara e un termine dialettale salentinoLa Grande Fòcara
la parola focara e un termine dialettale salentinoLa Grande Fòcara
Sant’Antonio Abate del fuoco. La cosa è interessante perché indica come l’antico culto di Antonio nel Tre- Quattrocento, per resistere alla concorrenza di nuovi santi, dovette essere in parte riplasmato
sull’immagine di quest’ultimi attraverso un processo
di contaminazione agiografica. Fu così che la vicenda della seduttrice finì tra le tentazioni dell’eremita egiziano.
Atanasio dichiara di non conoscere dove sia la tom-ba di Antonio. Ad un certo punto però le sue reliquie compaiono in Francia. Perché il santo ha intrapreso questo lungo cammino che dall’Egitto lo avrebbe condotto in Europa?
Partiamo da un dato: nel Duecento era già diffusa la Leggenda di
Teoflo
che narrava la miracolosa inventio del corpo del santo e la traslazione a Costantinopoli. Dal
l’XI sec. però le reliquie di Antonio sono custodite in Francia,
nel Delfinato. Al fine di rendere ragione di questo fatto,
sorgono le leggende del cavaliere francese Jocelino di Guglielmo che, dopo aver combattuto al fianco dei bizantini,
porta con sé in patria i venerati resti dell’eremita. Aldilà della verità storica di tali racconti, l’arrivo di Antonio
–
in Europa è da inserire in quel vasto movimento di reliquie importa
–
te dall’Oriente nel Medioevo e la pro
venienza da Costantinopoli era unasorta di garanzia per l’autenticità. Ma il successo del culto è legato alla protezione dalla malattia dell’ignissacer. Non si trattava dell’herpes zoster,
l’attuale “fuoco di Sant’Antonio”,ma dell’ergotismo, una pericolosa
intossicazione alimentare causata dal consumo di segale parassitata da un fungo. L’assistenza dei malati
implicò la costituzione dell’Ordine Antoniano…
Un ordine che non godeva di buona fama se pensia-mo al frate Cipolla di Boccaccio, ai versi di Dante o alTrecentonovelle del Sacchetti…
Gli Antoniani sono un ordine sui generis: al contrario di Francescani e Domenicani non hanno un santo fondatore ma scelgono Antonio come patrono in un momento in cui è già veneratissimo. Non possono avere il monopolio del culto ma hanno l’esclusiva della cura della malattia perla quale ci si rivolge al santo. Possiedono strutture ospedaliere
avanzate, confezionano il saint vinage versando vino nel reliquiario dell’eremita che viene poi somministrato
ai malati e, siccome il grasso suino è necessario per lenire le sofferenze di quest’ultimi, allevano mandrie di maiali che vengono lasciati liberi di scorrazzare con delle campanelle per le città, causando non pochi disagi e le lamentele del Petrarca! Sono un ordine ricco e potente e ciò crea loro ostilità. A questo rispondono incutendo il terrore per lo stesso male che sono soliti curare: diffondono
l’idea che Antonio sia un santo tremendo che protegge i devoti ma punisce col fuoco chi arreca offesa ai suoi monaci o tenta di rubare un suo maiale!
Ecco perché da noi si dice che “Sant’Antoniu se
҆nnàmurau te nù puercu”! Furono dunque gli Antoniani
a ridipingere l’iconografia del santo?
Assolutamente. La figura di Antonio, sin dall’arrivo in Europa, aveva già intrapreso un processo di occidentaliz
zazione, distaccandosi sempre più dall’idea di anacoreta della Tebaide per divenire abate di monastero. In questo percorso di riscrittura iconografica, gli Antoniani ebbero un ruolo significativo, diffondendo un’immagine del tutto conforme alle proprie attività devozionali. Antonio diventando
così un santo antoniano: vestito con l’abito dell’ordine ed associato ad attributi che richiamassero in maniera inequivocabile la missione della famiglia religiosa come il fuoco, la campanella ed il maiale. Diverso è il caso del tau, detto potentia, probabilmente l’unico simbolo legato in antico all’eremita perché di chiara origine orientale, ma che gli antoniani fecero comunque proprio. La pervasività dei simboli connessi all’ordine divenne talmente naturale che, quando gli antoniani si estinsero, le
Ragioni Dell’iconografia vennero dimenticate. Non essendoci più i suini a vagare per le città, i commentatori del Seicento non
sapevano per quale motivo il santo avesse per suo compagno un maiale. Si verificò allora una moritura di nuove leggende
nate da immagini che non si era più in grado di decodificare
ed il cerchio si chiuse: partito dal deserto, Antonio divenne il patrono delle stalle e delle campagne da invocare
per scongiurare incendi o epidemie del bestiame.
Andrea Pino
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17 Gennaio 2015 – Anno XXV n. 2
La venerazione dei novolesi per “il santo del fuoco” anche se non è un dato certo, è da rite-
nersi molto antica, risalente probabilmente all’epoca bizantina, atteso che la devozione a S.Antonio Abate è, appunto, bizantina. Testimonianza di questa antica venerazione è certa
mente “il capitello dell’Hosanna” che si trova vicino al tempio del Santo e su cui sono scolpiti non solo gli stemmi del Comune e dei Mattei (antichi signori di Novoli) ma anche le effigi dei
protettori novolesi e cioè la
Madonna di Costantinopoli
e S. Antonio Abate. Ufficialmente S. Antonio Abate divenne protettore di Novoli nel 1664, cioè due anni dopo la conclusione
dei lavori che avevano trasformato completamente in una grande chiesa il tempietto votivo
preesistente, “l’olim sacellum” di cui si fa menzione per la prima volta nella I Visita Pastora
–
le di mons.
Luigi Pappacoda
del 18 maggio 1640.
Lo studioso
Pietro De Leo
ha ricostruito le fasi di tale “ufficialità”, pubblicando nel 1971tutti gli antichi documenti relativi all’elezione di S. Antonio come Avvocato e Protettore del paese nel 1664, documenti scoperti nell’Archivio della Curia Vescovile di Lecce. Dalla
ricerca del prefato studioso, si apprende dunque che il 20 gennaio 1664 in “Sancta Maria De
Novis” (così si chiamava allora Novoli) il sindaco
Andrea Ricciato
gli uditori, gli ordinati, e
gli eletti di reggimento, con il consenso del luogotenente Domenico Saracino, del conte di
Novoli
Giuseppe Antonio Mattei,
elessero a protettore S. Antonio Abate.
NOVOLI
LA DEVOZIONE DEI NOVOLESI
Il 22 gennaio invece si concluse il Capitolo di Novoli (con a capo l’arciprete don
Pietro Pe-rulli
che deliberò la stessa decisione previo assenso del mons.
Luigi Pappacoda
e nello
stesso mese sia l’Università che il clero della terra di Novoli chiesero al vescovo l’assenso-
perché S. Antonio Abate fosse loro protettore. In poco tempo, il vescovo concesse
il permesso che S. Antonio fosse proclamato protettore e che si effettuasse la processione. Non fu chiesto l’assenso della Sacra Congregazione dei Riti. Mons.
Pappacoda
, pur sapendo che, senza l’assenso di Roma, il titolo di protettore era,
come si dice nel diritto canonico, un “titolo colorato”, lasciò perdere, sia perché
non aveva tempo, sia perché nessuno gli dava premura. Così passarono anni e nel1719 durante la Visita Pastorale, il vescovo
Fabrizio Pignatelli,
impose all’arciprete
don
Oronzo Mazzotta
di regolarizzare la nomina di S. Antonio a patrono
del paese, ma poiché il vescovo morì qualche mese dopo, sia l’arciprete,
sia il sindaco
Lorenzo Ruggio
temporeggiarono. Finalmente il 2 giugno 1737,con cui la Sacra Congregazione dei Riti proclamava S. Antonio protettore
di Novoli, fu ritirato in Curia dai sacerdoti don
Francesco Russo
e don
Francesco Giampietro
dopo aver giurato che Novoli non aveva altro
protettore principale; così il 17 gennaio divenne giorno festivo a tutti gli effetti.
PATROCINIO E PROTEZIONE
Le schede dell’inserto sono tratte da uno studio realizzato
da
Anna Laveneziana
nella tesi di Laurea in Scienze Religiose
presso l’Istituto di Lecce intitolata “
I giorni della Purificazione:
Il culto a Sant’Antonio Abate a Novoli”
ST ADE
IV
SPECIALE
17 Gennaio 2015 – Anno XXV n. 2
NOVOLI
Se l’ufficializazione del culto, come si è visto, appartiene a tempi remoti, l’acquisizione
Invece della “reliquia” del Santo che nei giorni di festa viene esposta e venerata, è abbastanza recente. Essa giunse a Novoli da Tricarico, paese in provincia di Matera, precisamente il27 luglio del 1924, segnando così una pagina fondamentale della storia di Novoli. La tradizione
racconta che nell’inverno del 1924 don
Carlo Pellegrino
si era recato a Tricarico, con altri sacerdoti, per una sacra missione. Dopo qualche giorno, don Carlo scrisse una lettera annuziando che nella cattedrale di Tricarico vi erano due urne ricchissime di argento, dono di un cardinale, contenente una le reliquie di S. Polito martire vescovo di Tricarico, e, l’altra di Sant’Antonio Abate. La notizia fece fremere di gioia i Novolesi e subito fu formulata una supplica per il Vescovo di Tricarico in cui lo si pregava di concedere a Novoli la reliquia di Sant’Antonio Abate. La supplica, avvalorata dalla commendatizia di mons.
- Trama
fu accolta-
e così alla fine di febbraio, don Carlo Pellegrino e don
Giovanni Madaro
rettore del santuario,
si recarono a Tricarico per ricevere la reliquia in consegna. Quando la reliquia giunse a Lecce, fu posta nell’attuale e ricchissimo reliquiario d’argento di stile gotico e autenticata dal sigillo di mons. Trama. Il reliquiario rimase nell’oratorio del palazzo vescovile di Lecce fino al 27 luglio, quarta domenica del mese, giorno fissato per la solenne traslazione che fu effettuata con un treno speciale. Sul piazzale della stazione mons.
Francesco Greco
dette un caloroso saluto a nome di tutto
il popolo novolese; quindi si svolse la processione solenne alla quale parteciparono i due
Vescovi mons. Trama e mons.
Delle Nocche,
vescovo di Tricarico. Furono percorse le vie fra i canti e gli applausi del popolo novolese e dei forestieri. La S. Reliquia fu poi esposta sull’altare
maggiore e la festa per tre giorni. Dopo queste giornata di preghiera e di festa, la S.Reliquia fu custodita nel cappellone del Santo.
GIUNSE LA RELIQUIA
Il culto a S. Antonio Abate è diffuso in molti comuni del Salento come, ad esempio, aGallipoli, Squinzano, Nardò, Taviano, Matino, Campi SAlentina, Carmiano, Arnesano, Racale,Giagnano, Cutroano ecc. Ma “a Novoli assume funzioni e caratteristiche più complete e più strettamente collegate al culto intero in senso cristiano, in quanto ne conserva intatti i simboli”.A Novoli il culto in onore del Santo Patrono ha, come già detto nel capitolo precedente,radici antiche la cui ufficializzazione risale al 28 gennaio 1964, allorquando il vescovo dell’epoca,
mons.
Luigi Pappacoda,
concesse l’assenso canonico alla supplica dell’Università e del clero e dichiarò S. Antonio Abate suo Protettore.I giorni dei festeggiamenti in onore del Santo, ricchi di celebrazioni religiose, iniziano ufficialmente il 6 gennaio con l’intronizzazione e continuano il 7 con l’inizio del novenario per poi culminare il 16, giorno della vigilia, durante il quale si svolgono i momenti più salentini e sentiti della festa: benedizione degli animali, la processione con la reliquia e il simulacro del taumaturgo, la suggestiva accensione della “fòcara”.
È la pratica del “pellegrinaggio”, o meglio ciò che rimane di una tradizione antichissima e
gloriosa tipica della mentalità medievale che si nutriva di smboli e di parabole. Il pellegrinaggio
si protrae per lungo tempo dopo la festa, quando non c’è il richiamo dei fuochi e della fòcara.
IL PELLEGRINAGGIO
A Novoli l’accensione della fòcara in onore del Santo è il momento culminante della festa,accensione che avviene la sera della vigilia ovvero il 16 gennaio; una fòcara, la più caratteristica,
di cui i novolesi sono giustamente orgogliosi, famosa ormai anche oltre i confini nazionali.
Non è possibile affermare con precisione quando i novolesi hanno iniziato il rito del falò in quanto, sino ad oggi, nonostante lunghe ed incessanti ricerche, non è stato ancora
ritrovato un utile documento al riguardo. Al momento si possono solo fare delle ipotesi, delle riflessioni sulla base soprattutto di quanto è stato già scritto e rilevato sull’argomento. Si è costretti quindi a lavorare di intuito e, per quanto è possibile, anche di logica. L’origine della
focara, secondo il
Franchini,
Il Guadagno
ed altri viene fatta risalire al XV secolo, periodo in cui i veneziani si stabilirono a Novoli per merito dei Prioli per esercitarvi il commercio della produzione locale di vino, olio ecc. La prima testimonianza diretta risale al 1905, e questo lo si ricava da un articolo di
- Madaro,
primo rettore del santuario di Sant’Antonio Abate, già citato, allor quando descrivendo “la festa ieri e oggi” scrive testualmente:
Una festa rimasta impressa vario tempo nel mio ricordo fu quella del 1905, in cui fu celebrato il centenario della proclamazione di Sant’Antonio a patrono di Novoli e rimase impressa, non solo per le straordinarie solennità che l’accompagnarono, ma per la novità di una abbondante nevicata che imbiancò “la Fòcara” alla vigilia della festa.
Altre fonti quasi coeve o
successive a questa data, sono le testimonianze del
D’Elia
(1912) e del Palumbo (1938). Documenti sino ad oggi non ne sono stati trovati che risalgano a prima del 1905, anche se il D’Elia che scrive nel 1912 parla della fòcara come di un rito antichissimo. Vero è anche il fatto che nel gennaio del 1664 nel documento in cui l’Università e il Clero della terra di Novoli chiedono al
vescovo
Pappacoda
l’assenso perché S. Antonio Abate diventi loro protettore, allor quando si fa menzione della festa del Santo non vi è in esso alcun riferimento alla Focara mentre invece si menzionano i fuochi d’artificio.
LA GRANDE FOCARA