L. Fenelli, Porci per la città. Sant’Antonio abate, il fuoco e il maiale. I. Ruffino, Storia ospedaliera antoniana, Torino 2006. M. Montanari, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Roma-Bari 1999.Sant’Antonio abate, il fuoco e il maiale.
L. Fenelli, Porci per la città. Sant’Antonio abate, il fuoco e il maiale. I. Ruffino, Storia ospedaliera antoniana, Torino 2006. M. Montanari, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Roma-Bari 1999.Sant’Antonio abate, il fuoco e il maiale.
Sant’Antonio abate, il fuoco e il maiale
Rilevatore Ersilio Tefreto
L’ergotismo, un morbo infernale
Alla fine del XI secolo, la Francia meridionale fu col-pita da un terribile flagello, successivamente attestato in tutta Europa. La malattia, conosciuta come ergotismo, causava piaghe dolorose sul corpo, un bruciore insopportabile alle membra che nel giro di poco tempo diventavano nere e cancrenose; inoltre, la sintomatologia presentava convulsioni, allucinazioni e fenomeni epilettici. L’origine di questo male rimase sconosciuta per molto tempo, fino a quando nel Cinquecento si scoprì che non si trattava di un’epidemia, ma di un’intossicazione alimentare dovuta ad un fungo, la Claviceps purpurea, comunemente definito come ergot, che infestava alcune piante e principalmente la segale, uno dei cereali maggiormente utilizzati in Europa per la preparazione del pane. L’avvelenamento, che colpiva intere comunità di uomini e di animali, si manifestò con frequente intensità soprattutto nel Medioevo, ma continuò a presentarsi anche in epoca moderna, seppure in modo più isolato: in Italia, ancora alla fine del Settecento, sono documentati alcuni casi a Milano e a Torino.
Donna ammalata, Tacuina Sanitatis Casanatense, XIV Sec. (www.wikimedia.org).L’ergotismo era conosciuto po-polarmente come fuoco infernale, fuoco sacro o fuoco di Sant’Antonio: da sempre, infatti, il venerato eremita era associato a quest’elemento, perché ritenuto guardiano degli inferi e in grado quindi di proteggere gli uomini dagli incendi e di punire la malvagità umana con fiamme incandescenti. Le reliquie del santo, secondo la tradizione, furono portate nella Francia meridionale e precisamente nella regione del Delfinato, vicino a Vienne, in una zona anticamente denominata Motte Saint Didier e, successivamente, Bourg Saint Antoine, dal nobile francese Jocelin de Chateau Neuf, di ritorno da un viaggio in Terrasanta.
La fondazione dell’ordine
Alla fine del XI secolo, mentre il morbo dell’ergot infuriava in tutta la sua violenza, il nobile francese Gaston si recò in pellegrinaggio nel Delfinato, insieme al figlio Guerin, per ottenere da Sant’Antonio la guarigione dal male. Come voto, il cavaliere promise che si sarebbe occupato del servizio dei malati di ergotismo: così, ottenuta la grazia, insieme ad otto compagni fondò l’Ordine Ospedaliero di Sant’Antonio e divenne Gran Maestro. La congregazione, costituita solo da aristocratici, viveva di donazioni e soprattutto di elemosine, chiamate anche “questue”; gli adepti vestivano di nero e portavano sul lato sinistro, dalla parte del cuore, una tau di colore celeste: la tau — ultima lettera dell’alfabeto ebraico che indica generalmente anche il fine ultimo di tutte le cose — era chiamata “potenza di Sant’Antonio” e la sua forma richiamava quella di una stampella, abbondantemente utilizzata negli ospedali dove la cancrena veniva curata tramite amputazione degli arti. L’ordine laico nel 1297 fu trasformato da Bonifacio VIII in una congregazione religiosa e l’ultimo Gran Maestro, Aymone di Montigny, divenne il primo abate dell’Ordine dei Canonici Regolari di Sant’Antonio di Vienne, sottoposto alla regola di sant’Agostino e dipendente direttamente dal papa. Le informazioni e i documenti storici riguardo a questa congregazione sono molto scarsi, forse a causa della mancanza di regolari registri, oppure per la dispersione degli archivi. Allo stato attuale degli studi è possibile però notare quanto la sua diffusione sia stata straordinaria: nel giro di due secoli vennero fondati ospedali e monasteri in tutta Europa e nell’Oriente cristiano.
La prima precettoria, certamente la più importante, fu istituita a Ranverso, vicino a Torino, a cui seguirono quella di Roma, Memmingen, (in Germania), Castrojeritz (in Spagna), San Giovanni d’Acri in Palestina, Francoforte, Costantinopoli, Strasburgo e Avignone; in Italia vennero eretti numerosi ricoveri, tra cui quelli di Bologna, Modena, Perugia Milano, Napoli, Pavia, Fidenza, Mantova, Brescia e Vicenza. La propagazione della sacra istituzione fu talmente capillare da contare, verso la fine del XIII secolo, 1.300 ospedali in tutta Europa, secondo quanto riferiscono alcune fonti antoniane. Nel Cinquecento cominciò il declino dell’ordine Ospedaliero di Sant’Antonio, anche in seguito alla diffusione della riforma protestante e alle conseguenti lotte di religione. Nello stesso periodo, inoltre, cominciarono dissidi interni alla stessa compagnia religiosa, in concomitanza con la diminuzione drastica dei casi di contaminazione. Alla fine, nel Settecento, l’organizzazione venne sciolta e incorporata nell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, conosciuto anche come Ordine dei Cavalieri di Malta, tuttora esistente.
Il balsamo di Sant’Antonio
La comunità di Sant’Antonio di Vienne, considerata il prototipo di tutte le congregazioni ospedaliere medievali, rimane misteriosa per molti aspetti, data la scarsità di fonti. Non si conoscono nemmeno con esattezza le cure fornite agli ammalati. La tradizione vuole però che gli infermi venissero sanati con un unguento prodigioso, definito anche “balsamo di Sant’Antonio” e realizzato con il lardo di maiale. In realtà, l’utilizzo di questo ingrediente a scopo terapeutico non rappresentava un’innovazione antoniana, dal momento che Antimo, un medico greco vissuto a Ravenna nel VI secolo alla corte di Teodorico, elogiava le qualità di questo alimento, impiegato abbondantemente dai Franchi nella loro dieta e capace di conferire al glorioso popolo una salute fisica invidiabile. Sempre secondo Antimo, il lardo poteva essere utilizzato non solo per rafforzare il corpo e come regolatore intestinale, ma anche per lenire le piaghe interne ed esterne, con proprietà disinfettanti. La consuetudine di impiegare parti animali nella preparazione di medicamenti continuò per lungo tempo; sempre per rimanere al solo maiale, nel XV secolo Corniolo della Cornia parlò dell’importanza del lardo per risanare le ossa rotte, dell’urina di porco per il trattamento dei calcoli ai reni e alla vescica e del grasso di maiale per guarire dalla rabbia canina.
Il privilegio del porco
L’importanza del maiale, sia dal punto vista pratico che simbolico, è attestata lungo tutto il Medioevo: per gli Ospedalieri di Sant’Antonio, però, l’animale rivestiva un’importanza ancora maggiore, indispensabile elemento per la cura degli ammalati e risorsa economica da affiancare alle donazioni e alle elemosine. Nel momento in cui Bonifacio VIII eresse l’ordine dei Canonici Regolari di Sant’Antonio decretò che lo stesso ordine potesse usufruire del “privilegio del porco”, ossia della facoltà di allevare maiali, necessari alla conduzione della vita ospedaliera: nessun altro ordine religioso o prelato avrebbe potuto interferire con questo beneficio. Nel Basso Medioevo, in seguito alla trasformazione economica che determinò la rinascita delle città, i maiali fecero il loro massiccio ingresso nei nuovi centri urbani, allevati nei cortili delle case, ma sovente lasciati liberi di girare per le vie e per le piazze. Per questo motivo, dalla fine del Duecento, gli statuti cittadini cominciarono a regolare e a limitare la circolazione di questi animali, ammessi al libero transito solo se castrati e ferrati con l’anello al muso. Nonostante queste limitazioni, i suini causavano notevoli problemi d’ordine pubblico, perché, oltre a scorrazzare ovunque, persino nelle chiese e nei cimiteri, rappresentavano un pericolo per la sicurezza dei pedoni, dei bambini e dei cavalieri, come testimoniato dalla morte accidentale del Delfino Filippo di Francia, avvenuta nel 1131 per le vie di Parigi, dopo una rovinosa caduta da cavallo dovuta allo scontro con un maiale.
Nel Trecento la presenza di questi turbolenti animali costituiva un problema generalizzato a cui si interessarono anche poeti e letterati, come Petrarca, profondamente preoccupato per i consistenti danni arrecati ai cittadini, e Franco Sacchetti che, nelle sue Trecento Novelle, riferì un aneddoto interessante: un giorno, il famoso pittore Giotto, passeggiando per Firenze, nei pressi di via del Cocomero, fu investito da un maiale di sant’Antonio e cadde a terra. Venne aiutato ad alzarsi dai suoi compagni e immediatamente reagì con prontezza di spirito, affermando di aver ricevuto la giusta punizione per aver sempre mancato di gratitudine nei confronti di quegli animali, nonostante dovesse tutta la sua fama e la sua ricchezza alle loro setole. Alla fine, nel corso del XIV secolo, a Bologna e in altre città italiane si vietò la libera circolazione dei maiali. L’unica eccezione fu però rappresentata dagli Antoniani, a dimostrazione del potere e dell’influenza raggiunta dall’ordine, che continuarono a mantenere il privilegio del porco: nel caso bolognese, fu consentito ai maiali di Sant’Antonio di spostarsi liberamente purché castrati, con l’anello al muso, la campanella al collo e con l’orecchio destro inciso per renderli riconoscibili. Il campanello, imposto agli animali, in realtà era una prerogativa degli stessi canonici, che erano soliti chiedere l’elemosina facendo tintinnare un sonaglio; questo stesso attributo venne esteso anche a Sant’Antonio, nella cui iconografia sono distinguibili il fuoco, il maiale, la campanella e il tau, tutti segni di derivazione antoniana. Ed è probabilmente in questo periodo che il santo, per estensione, divenne il protettore di tutti gli animali.
Il declino dell’ordine Antoniano, cominciato nel corso del Cinquecento e sempre più evidente nel secolo successivo, culminò con un incidente particolarmente grave a Napoli. Nonostante il priorato napoletano fosse stato soppresso nel 1630, i porci di Sant’Antonio continuavano a spostarsi tranquillamente per la città, forse a testimonianza del rispetto di cui continuavano a godere: nel 1664 mentre il cardinale Pasquale d’Aragona portava in solenne processione l’ampolla con il sangue di San Gennaro fu investito da alcuni maiali che per poco non fecero cadere a terra il prelato e la preziosa reliquia. Subito dopo, fu bandita un’ordinanza in cui si proibiva lo stanziamento degli animali in città, una norma che divenne effettiva solo un anno dopo, quando Napoli fu colpita dalla peste e non fu possibile rinviare ulteriormente la decisione.
rilevatore Ersilio Teifreto
Per saperne di più
I. Ruffini, Storia opedaliera antoniana, Torino 2006.
M. Montanari, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Roma-Bari 1999.
L. Fenelli, Porci per la città, statuti urbani e privilegi papali per la circolazione dei maiali di Sant’Antonio (sec. XIV-XV), in Laboratorio sulle fonti d’archivio, Bologna, 2005.