Febbraio 17, 2023

Etimologia la Cursia, Corsèa o Corsia di Ospedale Medievale. Dizionario Etimologico Italiano, Istituto di Glottologia, Università degli Studi di Firenze 1968,

Etimologia la Cursia, Corsèa o Corsia di Ospedale Medievale. Dizionario Etimologico Italiano, Istituto di Glottologia, Università degli Studi di Firenze 1968,

La Curia con un decreto autorizzava il Capitolo della Chiesa Collegiata di Avigliana e Rivoli ad alienare, tra l’altro, alcuni beni stabili di proprietà per estinguere un debito di 4.000 ducati dovuti dal Capitolo ad un certo don Giovanni Polaja di Martina. In quell’atto compare la Corsèa Sant’Antonio.

      La cursìa, corsèa o corsìa (Dizionario Etimologico Italiano, Istituto di Glottologia, Università degli Studi di Firenze, Firenze 1968, a cura di C. Battisti e G. Alessio) sono parole con il significato di corridoio, camerata, ospizio, dormitorio, complesso con letti, insomma l’odierno senso di corsìa di ospedale. ursia

GLI OSPEDALI NEL MEDIOEVO

Con il termine ospedale nel Medioevo si indicava un luogo destinato a offrire ospitalità a chi ne avesse bisogno (domus ospitalis). L’ospedale, perciò, non era propriamente inteso come luogo di cura degli ammalati come per noi oggi. Solo nel Quattrocento furono fondati ospedali che, come il Sant’Anna a Ferrara (1440) e il San Matteo a Pavia (1449), divennero luoghi di cura per i malati, cioè ospedali nel senso che noi diamo oggi alla parola.

La funzione principale di un ospedale era quella di accogliere i pellegrini, in particolare quelli che non erano in grado di pagarsi un letto in una locanda. Per questo motivo, spesso gli ospedali si trovavano lungo le strade che portavano, da tutta Europa, verso le grandi mete di pellegrinaggio: Roma, Gerusalemme, Santiago de Compostela, ecc. Vi erano ospedali nelle città, ma anche fuori dalle mura, per permettere ai pellegrini di trovare rifugio anche se fossero giunti a tarda sera, quando le porte della città erano ormai chiuse.

Nel Medioevo, si trovano tre tipi di ospedali: gli “xenodochii” per i forestieri, gli “ptochi” per i poveri e quelli per gli infermi, cioè poveri che avevano malattie o menomazioni non curabili (ciechi, storpi, ecc.). Spesso però si trovano due o tutte e tre le funzioni presso lo stesso ospedale, offerte in locali separati.

Gli ospedali erano istituzioni religiose, spesso appartenenti ad un monastero o a una parrocchia e vivevano di redditi prodotti da lasciti di cittadini e di elemosine. Non erano in grado di offrire molto: generalmente un letto o, più spesso, un pagliericcio in uno stanzone comune. Quando non erano adiacenti ad un monastero o ad una chiesa, avevano una cappella. Di solito non era prevista l’offerta di cibo ai pellegrini, mentre per i poveri e gli infermi ogni ospedale si comportava secondo le proprie possibilità.

In un documento del 16 gennaio 1346, relativo all’Ospedale della Misericordia in Ivrea, si legge: “si dà a ciascun infermo da mangiare secondo le possibilità della casa e, quando ciò non è possibile, si preparano loro dei buoni letti… ai poveri non si dà il vitto tutti i giorni, perché, quando possono camminare, vanno a chiedere l’elemosina e alla sera tornano ai loro letti”. Inoltre, per quanto riguarda gli infermi, si legge: “quando è necessario, si manda a chiamare il medico per curarli”. Questa frase è interessante perché aiuta a precisare che anche l’ospedale per gli infermi non era, come intendiamo noi, un luogo di cura, ma soltanto un luogo di assistenza e il medico veniva chiamato solo in caso di bisogno.

Un po’ diversa era la sorte degli ammalati ricoverati negli ospedali dei monasteri e delle abbazie, perché qui vi erano monaci esperti nella raccolta e coltivazione di erbe medicinali e nella preparazione di medicine.

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