Giugno 7, 2021

Esposti e Balie. Percorsi di vita nella Martano di fine ‘800 e primo ‘900.

Esposti e Balie. Percorsi di vita nella Martano di fine ‘800 e primo ‘900.

Esposti e Balie. Percorsi di vita nella Martano
di fine ‘800 e primo ‘900
Valeria Canana
Per anni la storia dell’infanzia abbandonata ha sofferto la sindrome
dell’indifferenza; tuttavia, nell’ultimo ventennio essa ha ricevuto più attenzione, tanto da essere oggetto di studi da parte di demografi, storici,
sociologi. La me.dicina, la psicologia, la sociologia e la storia si sono finalmente addentrate in ricerche inesplorate e attraverso lavori interdisciplinari hanno cercato di capire e spiegare cause e conseguenze di un fenomeno da sempre esistito.
Con questa indagine microanalitica del passato si è cercato di proporre uno studio, scrupolosamente documentato, sulla questione dei trovatelli in una piccola realtà salentina quale quella del comune di Martano; il periodo storico preso in considerazione va dalla seconda metà dell’Ottocento al primo decennio del XX secolo].
La ricerca, mostrando modi, criteri, luoghi e forme d’abbandono, ha
indagato sul destino dei bambini esposti, cercando di comprendere se —
nel corso degli anni — nei confronti della prole ci sia stato da parte dei
genitori un mutato atteggiamento e tentando di interpretare i contrastati
e contrastanti sentimenti che spingevano le madri a preferire questo gesto estremo ad altre soluzioni.

  • Ricerca condotta per il conseguimento del Diploma post-lauream in Storia Regionale Pugliese (relatore prof. Gino L. Di Mitri) nell’a.a. 2002-2003.
    i Le principali fonti comunali utilizzate sono state i registri degli atti diversi aa.
    1846-1865 ed i verbali di esposizione e di consegna che hanno fornito notizie per
    un altro trentennio (1879 — 1909). Così, sia pur con un’interruzione temporale di 12
    anni, il periodo storico analizzato va dal 1846 al primo decennio del 1900. Vanno
    altresì segnalate le seguenti opere utili ad una maggiore conoscenza del fenomeno:
    R. BASSO, La pietà secolarizzata. Pauperismo e beneficenza pubblica nella cultura
    rifOrmista salentina. Galatina, Congedo, 1993. EADEM, Istituzioni caritative e politiche assistenziali, in Storia di Lecce. Dall’Unità al secondo dopoguerra, a cura di
    M.M. Riz.ìo, Bari, Laterza, 1992. G. DA MOLIN, La famiglia nel passato: strutture
    famigliari nel Regno di Napoli in età moderna, Bari, Cacucci, 1995. Sempre della
    stessa autrice: Forme di assistenza in Italia dal XV al XX secolo, Udine, Forum,
    2002; I figli della Madonna: gli esposti all’Annunziata di Napoli, secc. XVII-IX,
    Bari, Cacucci, 2001.
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    Provincia di Lecce – Mediateca – Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina,) a cura di ‘MAGO – LecceEsposti e Balie. Percorsi di vita nella Martano di fine ‘800 e primo ‘900
    L’analisi dei documenti ha permesso di ricostruire i momenti che seguivano l’atto dell’abbandono, nonché, di capire quali erano le persone
    fisiche e giuridiche coinvolte, qual era il ruolo delle istituzioni locali ed
    infine quello delle balie, prima ed unica fonte di vita per l’esposto.
    Per ogni proietto è stato possibile riportare dati anagrafici, data e modalità d’abbandono, età presunta, luogo del rinvenimento, giorno del battesimo2 , descrizione del segno di riconoscimento di cui l’esposto era talvolta munito. Significative le notizie riguardanti il nome della balia e del
    marito cui il trovatello era immediatamente affidato, il comune di residenza degli stessi, l’importo di prima assistenza che l’amministrazione
    comunale riservava al sostentamento del bambino; indicative quelle relative la “sorte” degli esposti, vale a dire, il cambiamento di balia, l’eventuale decesso del nascituro o, ma solo in poche occasioni, la data di matrimonio dello stesso3 .
    Dopo un breve excursus storico, dove si accenna ad alcune tra le tappe principali che hanno caratterizzato la storia degli abbandoni in Europa ed in Italia, è parso opportuno focalizzare l’attenzione sulla sola realtà martanese; ampio spazio è stato riservato alla figura del proietto, sino
    a condurre uno studio specifico sull’onomastica dei bambini abbandonati. L’altra parte del lavoro analizza il fenomeno tenendo sempre presente la variabile tempo e riserva particolare attenzione alle modalità di
    abbandono, alle stagionalità delle esposizioni e alle ragioni di tutto ciò.
    Il problema del “baliatico” o allattamento, strettamente connesso al
    dramma dell’abbandono, è stato affrontato nell’ultima parte della presente trattazione.
  1. L’INFANZIA NEGATA
    1.1 Abbandoni: origini e cause – L’esposizione dei bambini è una pratica da sempre esistita, protrattasi nel tempo e sopravvissuta sino ai nostri giorni anche se con modalità, intensità e motivazioni diverse.
    2 Unicamente per i bambini esposti dal 1846 al 1865.
    3 Informazioni tratte da brevi postille collocate al margine sinistro del foglio dei soli registri degli atti diversi. Va precisato che tali informazioni non sono state ritrovate in tutti i casi analizzati, è probabile, infatti, che la decisione di annotare alcune tra
    le fasi più importanti della vita del proietto non fosse una regola, ma dipendesse dalla volontà del segretario comunale nel momento in cui redigeva il verbale.
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    In passato l’abbandono avveniva, il più delle volte, sotto forma di
    esposizione («mettere fuori» in un luogo pubblico), ma non erano rare
    altre forme, quali la vendita, l’oblazione o altri modi di affidamento 4 .
    Tale prassi, già diffusa in epoca romana, venne ad intensificarsi con
    l’avvento del cristianesimo 5 ed ancor di più a partire dal XII secolo, in
    seguito alla nascita di ospizi per trovatelli, istituzioni pubbliche o private atte a raccogliere bambini esposti ed a prendersene cura. Particolarmente numerosi furono i bimbi esposti nel secolo XIX definito, non a
    torto, “il secolo dei trovatelli” 6 .
    Le ragioni dell’abbandono affondavano le loro radici in problemi di
    carattere economico-sociale quali la povertà estrema, che impediva ai
    genitori di crescere i propri figli (in particolar modo nel primo periodo
    di vita, quando maggiori erano le cure di cui necessitavano i bambini) ed
    il pudore, inteso come vergogna di un confronto con una società che condannava chiunque avesse trasgredito alle regole sociali (nei casi in cui si
    trattava di figli illegittimi o nati da un rapporto di natura incestuosa) 7 . A
    ciò si aggiunga un’altra estremamente interessante di carattere politicoreligioso, quale il fatto che «la pratica dell’abbandono non fu mai veramente condannata dai sistemi giuridici e culturali delle società antiche e
    della chiesa 8 » e solo raramente fu intimato il principio che procreare un
    figlio significava doverlo allevare9 .
    4 Cfr. L. CALZOLA, Caratteristiche demografiche e modalità di abbandono degli
    esposti all’Ospedale di Santa Maria della Misericordia di Perugia nei secc. XVI e
    XVII, in G. DA MOLIN (a cura di), Trovatelli e balie in Italia secc. XVI – XIX, Bari,
    Cacucci Editore, 1994, p. 12.
    5 Questa nuova religione, infatti, sia per gli aspetti morali della fede — predicava ed
    imponeva un fine procreativo all’atto sessuale — sia con il sorgere di chiese e monasteri — luoghi relativamente sicuri dove poter lasciare gli esposti — favorì un forte incremento del fenomeno sino al tardo medioevo ed anche in età moderna. Cfr.
    L. CALZOLA, Caratteristiche demografiche. cit., p. 12.
    6 Efficace metafora coniata dallo storico Hunecke per definire il grande incremento di abbandoni che si verificò in quel periodo in tutta Europa; per ulteriori informazioni cfr. V. HUNECKE. I trovatelli di Milano. Bambini esposti e famiglie espositrici dal XVII al XIX secolo, Bologna, Il Mulino. 1989, p. 15.
    7 Nell’analisi condotta da Luca Calzola vengono enunciate anche motivazioni secondarie, quali quelle d’interesse o di carattere personale; a suo parere, infatti, spesso l’abbandono veniva compiuto quando un’eredità rischiava di essere compromessa da un’altra nascita o quando il bambino non era del sesso desiderato.
    8 L. CALZOLA, Caratteristiche demografiche, cit., p. 14.
    9 Anzi, sino a metà del Seicento, la posizione della Chiesa si basava sul fatto che al181
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    La delicatezza dell’argomento esula chiunque dal dare delle interpretazioni affrettate ed invita lo studioso a chiedersi continuamente se l’abbandono di un figlio possa essere interpretato come una mancata sensibilità del genitore o, invece, come un gesto estremo fatto con sofferto
    senso di responsabilità.
    Oggi gli storici concordano sul fatto che, almeno per il Seicento e la
    metà del Settecento, pochissimi bambini concepiti fuori dalle regole sociali venissero alla luce e che aborti ed interruzioni di gravidanze — praticate peraltro con metodi spesso primitivi (colpi sul ventre, salassi, infusi o bevande) — fossero molto diffusi. Inoltre, c’è da dire che nei secoli scorsi il sentimento degli stessi genitori nei confronti dei bambini appena nati era differente da quello odierno: le donne maritate erano infatti “abituate” ad un numero elevato di gravidanze, molte delle quali si interrompevano e, per quelle portate a buon fine era difficile che i bambini sopravvivessero. Queste diverse condizioni di vita irrigidivano i sentimenti dei genitori, che presagendo la morte dei propri figli quasi “sospendevano” l’affetto verso di essi in attesa che il destino di costoro, attraverso la sopravvivenza, si facesse più chiaro’°.
    Personalmente ritengo che l’abbandono non rappresentò mai «una
    diffusa indifferenza dei genitori nei confronti della prole» 11 ; indipendentemente dalle differenti realtà sociali, la povertà fece sempre da sfondo
    alle esposizioni, ed essa, legata alle difficoltà, ma anche al dolore di non
    poter crescere e sfamare i propri figli, giustificò — e giustifica ancor oggi — il gesto dell’abbandono visto come ultima speranza di un futuro migliore per il bambino.
    meno nelle prime 5/8 settimane il feto era null’altro che pars viscerum matris ed
    anche dopo la metà del Seicento, quando iniziò a delinearsi una teoria dell’animazione immediata del feto, nella gente comune rimase a lungo radicata la mentalità
    di un’animazione successiva al concepimento se non addirittura al battesimo. Cfr.
    R. RIsITANO, Gettatelli e balie a Jesi: l’assistenza agli esposti dal XVII secolo alla
    Restaurazione, tesi di laurea in Lettere moderne, relatore prof. R. PACI MARIA, Università di Macerata, a. a. 1997-1998, pp. 15-16.
    o Ibidem.
    i L. CALZOLA, Caratteristiche demografiche, cit., p. 14.
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    2.1;EsposTo
    2.1 Stato di ritrovamento, fede battesimale, segni di riconoscimento —
    Nel Comune di Martano l’atto di esposizione 12 , redatto nel momento in
    cui la pia ricevitricei 3 consegnava al Sindaco ed ai membri della Commissione Amministrativa degli Esposti il bambino ritrovato, veniva così
    stilato:
    «L’anno 1846 il 27 gennaio alle ore 16 è comparsa Lucia Caputo di anni 55, di professione levatrice e domiciliata in Martano. La stessa ha dichiarato che la notte scorsa alle ore otto italiane è stata esposta dietro la
    casa di sua abitazione una fanciulla dell’età apparente di gg. 1 [ … ] >> 14 ;
    La registrazione conteneva, inoltre, informazioni quali il nome ed il
    cognome imposto al bambino dalla commissione ed indicava sommariamente il vestiario e la biancheria del proietto:
    «[… I avvolta in quattro pezzi bianchi di bambagia e cotone, ravvolti con
    fascia bianca di cotone a spica, con fazzoletto bianco in testa di lino e cotone con bordo torchino, in uno dei due lati vi sono due lettere fatte con
    ago di filo rosso D. C. e su del quale bambino vi era pure una camisella
    di percalli con puntine sul collo e nelle estremità delle maniche[…]» 15 .
    Per alcuni era riportato il rinvenimento di biglietti, per altri quello di
    medagliette rappresentanti immagini sacre 16 . Tra tutti i casi analizzati,
    non si è mai trovata traccia di qualche gruzzoletto o somma di denaro
    12 Cfr., ARCHIVIO STORICO COMUNALE DI MARTANO (per le successive citazioni:
    Ascm), Stato Civile — Censimento (cat. XII), cl. 1 , registro atti diversi, a. 1846.
    13 Sulla figura della pia ricevitrice cfr. n. 39.
    14 Ascm, (cat. XII), cl. 1, registro atti diversi, a. 1846.
    15 ASCM, Opere pie e beneficenza (cat. II). cl. 3. b. 5, fasc. 15, ‘verbale di esposizione, a. 1880’.
    16 Le medagliette, cucite su carta ed inserite nel verbale, non erano mai di oro. Riportiamo qui parte di un verbale datato 15 maggio 1902: «[..] tra i panni si è rinvenuto una piccola medaglia della Vergine di Pompei, attaccata ad un quarto di carta
    bianca rigata e scritta a lapis e che si allegano al presente verbale»; Ascm, cat.
    ci. 3, b. 5, fasc. 15.
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    tanto che, come ha scritto Luigi Manni, questa totale mancanza di una
    sia pur modesta oblazione «che poteva costituire un primo aiuto per il
    bambino abbandonato, ci porterebbe a considerare meno “pia” la ricevitrice dei proietti» 17 .
    In alcuni casi 18 erano altresì riportate notizie sul sacramento del battesimo, impartito dal parroco del comune, quasi sempre, lo stesso giorno o quello successivo al momento dell’esposizione 19 .
    2.2 Il Sesso — Nella realtà martanese di fine Ottocento il numero di abbandoni di sesso femminile fu sicuramente più rilevante rispetto a quello di sesso maschile20 . Fra il 1846 ed il 1865, su un totale di 129 esposti, 74 erano femmine e 55 maschi, vale a dire una differenza in termini
    percentuali pari al 14,7%. Nel periodo successivo (1878 —1909) tale rapporto percentuale si dimezza tanto da scendere al 7,3%; furono esposti,
    infatti, 179 bambini, di cui 83 maschi e 96 femmine.
    Come dice Giovanna Da Molin, in quegli anni, vi era una tendenza a
    «conservare i maschi e a liberarsi delle femmine indesiderate» e, continua, non era «difficile capirne le ragioni» 21 . A Martano, come in qualsiasi altra parte d’Italia, l’alto tasso di esposizione femminile in parte era
    da imputare al fenomeno della supermortalità maschile 22 — infatti è storicamente accertato che, soprattutto in età infantile, i maschi morivano in
    misura superiore rispetto alle femmine — in parte era legato a problemi
    di carattere socio-economico. In comunità prevalentemente rurali, e tale
    era quella di Martano, il figlio maschio era visto «per i più poveri una
    forza lavoro potenziale, mentre il “valore economico” delle femmine
    era, anche in prospettiva, considerato quasi del tutto inesistente» 23 . Inoltre le donne rappresentavano un peso da mantenere sino al momento del
    17 L. MANNI, Quando le balie non erano asciutte (del problema dei figli abbandonati a Soleto) 1831-1866, in “La Città”, a. II, n. 7, Settembre 1994, 5.
    18 Sono nei registri degli atti diversi.
    19 Ascm, Stato civile — censimento, cat. XII, cl. 1, registri atti diversi, aa. 1846-65.
    20 Sulla cronologia dei due periodi storici analizzati cfr. n. 1.
    21 G. DA MOLIN, Gli esposti e le loro balie all’Annunziata di Napoli nell’Ottocento, in EADEM (a cura di) Trovatelli e Balie, cit., p. 263.
    22 Sul concetto di “supermortalità maschile” cfr. L. CALZOLA, Caratteristiche demografiche, cit., p. 37 e L. TITTARELLI — F. TOMASSINI, I proietti dell’Ospedale, in
    G. DA MOLIN (a cura di), Trovatelli e balie, cit., p. 180.
    23 L. CALZOLA, Caratteristiche demografiche e modalità, cit., p. 38.
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    matrimonio, per di più, condizionato quest’ultimo, dalla possibilità di
    avere una dote 24 .
    Per queste ragioni la soluzione dell’abbandono costituiva, in generale, ma soprattutto per le figlie, un’ancora di salvezza, un rifugio lontano
    da una vita fatta di stenti e privazioni: non erano rari i casi in cui, già in
    tenera età, le proiette avevano l’opportunità di essere collocate presso famiglie benestanti come future domestiche; inoltre, «se sopravvivevano
    all’esposizione e al baliatico poteva esserci nel loro futuro la prospettiva
    di un buon matrimonio grazie alla dote loro assicurata dalle istituzioni»25 .
    2.3 L’età presuntiva — Quando si parla di proietti va innanzitutto precisato che non si possono avere dei dati certi sull’età del bambino abbandonato, ma si deve sempre parlare di «età presuntiva» 26 .
    Poiché in nessuno tra i casi analizzati sono stati rinvenuti elementi
    utili per farci supporre il giorno effettivo della nascita del proietto — come ad esempio biglietti o fedi battesimali — possiamo solo parlare di
    un’età probabile, ipotizzata dalla levatrice o dalla pia ricevitrice del paese dopo aver constatato «[…] come da ispezione ocolare […]» 27 lo stato di salute dell’esposto.
    Gli esposti nel comune tra il 1846 ed il 1909 sono nella quasi totalità
    dei casi bambini molto piccoli, nati da poche ore o tutt’al più il giorno
    precedente l’esposizione (83,4%); difatti, era «abbastanza ovvio che chi
    volesse liberarsi di un figlio indesiderato lo facesse al più presto» 28 .
    Quasi assente la presenza di bambini già grandicelli.
    Negli anni 1846-1865, su un totale di 129 esposizioni, ben 1’89,9%
    erano bambini con un solo giorno di vita, percentuale che scende a
    19,6% nel periodo 1878-1909 (figg. 1 e 2).
    Un’inversione di tendenza si verifica per quei bambini esposti nelle
    ore immediatamente successive alla nascita: nel ventennio 1846-1865 i
    bambini esposti dopo alquante/poche ore sono 1’1,6%, tale percentuale
    si avvicina addirittura al 60% nel trentennio 1878-1909.
    24 Cfr. G. DA MOLIN, Gli esposti e le loro balie, cit.. p. 264.
    25 L. CALZOLA, Caratteristiche demografiche, cit., p. 38.
    26 Ascm, cat. II, cl. 3, b. 5, fasc. 15, verbali di esposizione, aa. 1878-1909.
    27 ASCM, cat. XII, cl. 1, registri atti diversi, aa. 1846-1865.
    28 G. DA MOLIN, Gli esposti e le loro balie, cit., p. 264.
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    In realtà, è bene considerare che, in entrambi i periodi, si tratta sempre di bambini neonati e che la differenza tra alquante/poche ore e un
    giorno potrebbe anche essere dipesa da una diversa interpretazione del
    concetto di “appena nato” fatta dalla persona addetta a stilare il verbale.
    In entrambi i periodi storici la percentuale di bambini esposti con età superiore ad un anno è pari allo 0%.
    La scelta di abbandonare i propri figli non più tardi dei primissimi giorni di vita è da ricercare in motivazioni di carattere etico—sociale: col passar del tempo, il distacco dal proprio figlio — drammatico in sé — sarebbe risultato sempre più difficile; inoltre, si aggiungano ragioni legate al
    pudore, all’onore, al desiderio di tutelare il destino del nascituro. In una
    piccola realtà come quella martanese, dove “tutti sapevano tutto di tutti”, non sarebbe passata inosservata la nascita ed il successivo abbandono di un bambino (come peraltro era già difficile nascondere una gravidanza), che nel tempo sarebbe stato etichettato come il “trovatello ripudiato” e facilmente identificato come “il figlio di nn”.
  2. L’ ONOMASTICA
    3.1 Il nome — È possibile stabilire quali fossero i nomi maschili e femminili più diffusi e capire a chi era da attribuire tale scelta. Nella maggior parte dei casi il nome veniva imposto al bambino da una Commissione Amministrativa degli Esposti, la quale, dopo aver accertato l’inesistenza di «[…] biglietti, né altro segno qualunque […]» 29 assegnava il
    nome al proietto (96,1%); alcune volte dalla madre (o dai famigliari più
    vicini al bambino) 30, la quale, prima del distacco, lasciava tra i cenci del
    neonato un biglietto con su scritto la sua volontà (3,9%); mai — nei casi
    analizzati — dalla rotara di turno, come invece accadeva in altri luoghi 31 .
    Spesso il nome si rifaceva a quello di un Santo pro tettore (Antonio, Giuseppe) o a quello del giorno dell’abbandono (Domenica); meglio ancora
    al Santo patrono del paese (Assunta) o a quello della Madonna (Maria,
    Addolorata, Abbondanza, Annunziata). Altre volte il nome tendeva ad

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