Ottobre 26, 2025

Diocesi La Voce e il Tempo DOMENICA, 22 LUGLIO 2018 CULTURA 17 VISITA – FONDATA NEL 1180 TRA RIVOLI E AVIGLIANA (TO), L’ABBAZIA FU LUOGO DI ACCOGLIENZA E CURA DEI MALATI LUNGO LA VIA FRANCIGENA Sant’Antonio di Ranverso, u

Diocesi La Voce e il Tempo DOMENICA, 22 LUGLIO 2018 CULTURA 17 VISITA – FONDATA NEL 1180 TRA RIVOLI E AVIGLIANA (TO), L’ABBAZIA FU LUOGO DI ACCOGLIENZA E CURA DEI MALATI LUNGO LA VIA FRANCIGENA Sant’Antonio di Ranverso, u

DOMENICA, 22 LUGLIO 2018 CULTURA 17 VISITA – FONDATA NEL 1180 TRA RIVOLI E AVIGLIANA (TO), L’ABBAZIA FU LUOGO DI ACCOGLIENZA E CURA DEI MALATI LUNGO LA VIA FRANCIGENA Sant’Antonio di Ranverso, un salto nel Medioevo Esistono luoghi dove più forti sembrano farsi le memorie del passato. Con la loro silenziosa presenza, sovente rimasta immutata nei secoli, continuano a segnare percorsi antichi oggi diventati marginali; raccontano di uomini che hanno saputo integrare l’aspirazione alla solitudine e all’ascesi spirituale ai principi della carità cristiana, dell’accoglienza dei pellegrini, dell’assistenza e della cura degli ammalati, soprattutto di quelle frange estreme – lebbrosi e appestati, affetti da mali repellenti o contagiosi – che la società respingeva. «A molti, le carni cadevano a pezzi, come se li bruciasse un fuoco sacro che divorava loro le viscere. Le membra, a poco a poco rose dal male, diventavano nere come carboni. Morivano rapidamente, tra sofferenze atroci, oppure continuavano, privi dei piedi e delle mani, un’esistenza peggiore della morte». È la terribile testimonianza lasciata, intorno al 1089, dal cronista Sigeberto di Gembloux sugli effetti di una delle tante epidemie che imperversarono nel Medioevo, quella di herpes zoster, il «fuoco sacro» (ignis sacer), o «fuoco di Sant’Antonio». Ed è proprio La scoperta della epigrafe che attesta la paternità del ciclo di affreschi a Jaquerio nella volontà di accoglienza e di assistenza di quegli sventurati, nello spirito della più genuina carità cristiana, da individuare la ragione della fondazione dell’abbazia di Sant’Antonio di Ranverso, oggi una delle più importanti memorie storiche e presenze artistiche della nostra regione. Il complesso ha conservato molto del suo antico aspetto anche agricolo con l’annesso nucleo di edifi ci contadini. Per l’insediamento di Ranverso, a brevissima distanza dalla strada statale fra gli abitati di Rivoli e di Avigliana, è diventata prevalente la denominazione di abbazia. In realtà, fu una precettoria dei monaci ospitalieri di Sant’Antonio abate, o Antoniani, dipendente dall’abbazia di SaintAntoine-du-Viennois, nel Delfi nato francese. La precettoria antoniana (che fu detta di Ranverso perché a ridosso delle ultime propaggini del rilievo morenico di Rivoli), rappresentava una delle tappe di un complesso sistema di luoghi di accoglienza e assistenza che segnava il percorso di una delle più importanti strade dell’antichità. La dedicazione a Sant’Antonio abate non era casuale. La tradizione cristiana aveva scelto il Santo come protettore degli animali domestici, ma i monaci antoniani gli riconoscevano soprattutto l’«invenzione» del sistema di curare, utilizzando il grasso di maiale, il cosiddetto «fuoco di Sant’Antonio». L’herpes zoster, una forma di ergotismo detto appunto «fuoco di Sant’Antonio», era provocato da un alcaloide contenuto nella segale cornuta. Non esistevano rimedi o cure, ma il grasso di maiale, con cui si ricoprivano le terribili piaghe, evitava il contatto con l’aria e riduceva il lancinante bruciore del «fuoco» sulla pelle. Nel luogo di Ranverso, i monaci si insediarono quasi sicuramente intorno al 1188 su terreni donati da Umberto III di Savoia detto «il Beato». L’attuale complesso monastico di Ranverso è il risultato di una lunga serie di interventi architettonici e decorativi, in gran parte dovuti a Giovanni di Montchenu, nominato abate commendatario della fondazione antoniana nell’aprile del 1470. Alla sua committenza sono da assegnare di Jaquerio tutti gli affreschi presenti nella chiesa e nella sacrestia. Giacomo Jaquerio avrebbe lavorato nella chiesa antoniana in un arco di tempo compreso fra il 1396 e il 1406. Al grande artista furono attribuiti anche tutti gli affreschi della parete di fronte, dove in realtà sembrano essere stati più di uno i pittori al lavoro. È uno degli affreschi più belli La sacrestia è affrescata con la straordinaria scena della peste. Sono tuttavia gli affreschi presenti sui muri della prima parte dell’abside, quelli della vicina sacrestia e, indirettamente, gli altri delle cappelle di San Biagio, della Maddalena e della Vergine a rappresentare il nucleo più importante e, nello stesso tempo, più misterioso e intrigante delle opere d’arte presenti a Ranverso. Il dato di partenza è dovuto a un rinvenimento occasionale e fortuito, ma dagli effetti di straordinaria importanza. Nel 1914, durante i lavori di restauro commissionati dall’Ordine Mauriziano, proprietario del complesso di Ranverso dal 1776, furono rimossi gli stalli di un coro ligneo addossato alle pareti dell’abside. Si scoprirono così parti di affreschi di cui «Salita al Calvario» densa di personaggi, stendardi, bandiere anche la facciata del vicino ospedale-ospizio, sia quanto rimane del chiostro, sul lato sud della chiesa. La facciata della chiesa abbaziale è segnata da tre ghimberghe molto allungate, concluse da pinnacoli e formate da ricche fasce di formelle in cotto, decorate a motivi geometrici e vegetali. Nel portico, o nartece, si concentra il gruppo di sculture numericamente più consistente e di più rilevante interesse artistico di tutto il complesso. Sono una serie di capitelli con teste di mostri, di animali e delicati volti umani. Ad un anno imprecisato, ma che potrebbe non essere molto lontano dalla fi ne del Trecento, sarebbe da assegnare il campanile gotico, sul lato sinistro della chiesa. Sugli importanti cicli di affreschi di Ranverso, tante sono state le ingiurie del tempo, molte le manomissioni, le integrazioni. Quanto rimane costituisce il lavoro di artisti diversi, realizzati fra il Trecento e la fi ne del secolo successivo. Le testimonianze più importanti sono oggi concentrate soprattutto nell’area presbiteriale e nella piccola sacrestia. A dominare lo spazio profondo dell’abside è il maestoso polittico «Natività, Santi e storie di Sant’Antonio abate», una delle opere più belle e più importanti del pittore chivassese Defendente Ferrari che la dipinse fra il 1530 e il 1531, su committenza della città di Moncalieri come ex voto per la liberazione dalla Come arrivare La precettoria di Sant’Antonio di Ranverso si trova, sulla SS25, fra Rivoli e Avigliana, a sinistra, al termine di un breve viale alberato. Orari di visita: da mercoledì a domenica dalle 9 alle 12,30 e dalle 13,30 alle 17. Chiusura: lunedì e martedì. Info, tel 011.9367450 oppure ranverso@ordinemauriziano.it. si era persa memoria e, soprattutto, tornò alla luce una breve epigrafe, «(Picta) fuit ista capela p(er) manu(m) Jacobi Jaqueri de Taurino» («Questa cappella è stata dipinta dalla mano di Giacomo Jaquerio di Torino»). Era il «documento» che si cercava da tanto tempo, da quando si tentava di dare paternità a cicli di affreschi presenti in vari luoghi del Piemonte, della Valle d’Aosta e della Savoia. Importante, dunque, l’epigrafe tracciata da Jaquerio sulla modanatura a cornice che delimita, nella parete sinistra del presbiterio, la fascia inferiore dove sono dipinti sei riquadri con altrettanti profeti, da quella superiore in cui due fi nestre spartiscono la grande composizione con la «Vergine in trono, Bambino e abate inginocchiato». Importante, la scritta, ma anche ambigua, sino a diventare rischioso trabocchetto. Un po’ sbrigativamente, le parole ista capela indussero infatti ad attribuire all’oera diretta

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