Defendente Ferrari, fuga dal Rinascimento
Defendente Ferrari, fuga dal Rinascimento
Silvia Tomasi
In Defendente Ferrari è chiarissimo il desiderio di rifugiarsi nel sogno, contro un’epoca che celebrava invece il trionfo della realtà
Nell’abside della chiesa di Sant’Antonio di Ranverso, detta Precettorìa degli Antoniani, troneggia il grande Polittico della Natività dipinto nel 1532 (circa) da Defendente Ferrari. Siamo nella bassa val di Susa, dove il grande complesso religioso fondato nel 1188 accoglieva i pellegrini sull’antica via Francigena, che per diversi secoli è stato un trafficatissimo valico fra il nord e il sud dell’Europa. Qui i canonici dell’ordine di sant’Antonio di Vienne univano alla preghiera l’assistenza ai pellegrini ammalati ed erano specialisti nella cura del “fuoco di sant’Antonio”, l’infezione da herpes zoster e da segale cornuta. Il grasso dei maiali da loro allevati era la cura prodigiosa; d’altra parte è noto come secondo una vulgata medievale, alla sua morte sant’Antonio abate fosse miracolosamente asceso al cielo in compagnia del suo pet animal prediletto: un porcellino. Nella gran macchina d’altare creata da Defendente Ferrari la figura del santo emerge nello scomparto laterale del polittico in una trapunta di ori; regge con la mano sinistra un bastone e con la destra una campanella, mentre ai suoi piedi si vedono un maiale nero e la fiamma guizzante e stilizzata, sintomo del bruciore erpetico. Sette storie della vita del santo sono rappresentate nella predella dell’altare. Si potrebbe dire che qui il pennello di Defendente sia toccato da una sorta di fiato terso delle nevi alpine, dalla precisione naturalistica fiamminga.
Notevole è, nell’opera di Defendente Ferrari, la fusione di ricchezza, eleganza e raffinatezza orafa gotica unita con gli aspetti fiamminghi, che emergono soprattutto nei paesaggi delle predelle, nel carattere delle figure e in certi squarci umili, come la fiasca che pende in tutta la sua povera quotidianità da una trave nella stalla della Natività o Adorazione (1511) della chiesa di San Giovanni ad Avigliana (Torino). Ma non mancano le tarsie di marmi colorati e le architetture costruite in perfetta prospettiva che risentono del Rinascimento italiano, come nella scena centrale della natività nel polittico di Ranverso. Oppure nel Trittico della natività, adorazione dei magi e deposizione di Cristo (1523) della Galleria Sabauda di Torino, ambientato in un’architettura ruinosa, composta da elementi antichi e da altri tipici delle costruzioni rinascimentali piemontesi. Accanto ai capitelli crollati, indici della caduta del mondo antico, che sembrano fatti di una materia povera e per questo più umana, c’è il bambino adagiato su un lembo del mantello materno di un blu da notte profonda, bordato di verde muschioso. Il mondo nuovo cammina nel buio della natura fino ad arrivare alla luce sopra una stalla.
In quest’opera, umanità e umanesimo sono fusi, ma non conformi a quel modello delle “preordinate logge e stanze intra Tevere e Arno” come scriveva Testori nel testo La Realtà della Pittura, che è un cardine per la riscoperta della bellezza feriale e realistica dei pittori nell’Italia settentrionale: quelli del Gran teatro montano, titolo di uno dei suoi saggi memorabili. Ed è questo il motivo per cui il nome di Defendente Ferrari, non allineato con la linea dorsale centro-italiana, era scomparso per secoli. Inoltre, dopo la soppressione degli ordini religiosi alla fine del Settecento, molti suoi polittici vennero smontati e dispersi in diversi musei d’Italia, d’Europa e d’America.
Simone Baiocco, conservatore di Palazzo Madama a Torino e studioso dell’artista, nei suoi scritti sottolinea la centralità del polittico di Ranverso per conoscere Defendente Ferrari, non solo perché questo dipinto ha conservato eccezionalmente l’intera struttura, la cassa e le due grandi ante che si chiudono sul polittico (secondo la tipologia di origine nordica), ma anche per la riemersione del nome di Defendente. È il padre barnabita Luigi Bruzza a rinvenire negli anni Sessanta dell’Ottocento, nella sede dell’archivio comunale di Moncalieri, il contratto per la realizzazione del polittico della natività, commissionato a un certo “Deffendente de Ferrariis de Clavaxio (Chivasso) pinctore”. Grazie a tale scoperta, che vede per la prima volta comparire il nome del Ferrari, si procede a scavare negli archivi del Municipio di Chivasso e vengono ritrovati altri documenti che attestano le origini dell’artista.