Agosto 2, 2023

Intemelio.Conte Corrado di Ventimiglia.

Intemelio.Conte Corrado di Ventimiglia.

Il PRIORATO DI S. ANTONO ABATE DI PRE.     1254 –1482.  Questo priorato, Lerino lo deve ad un lascito del Conte Corrado di Ventimiglia nel 1080 che lascia al convento un terreno ed una casa situati presso la chiesa di San Lorenzo. Sarebbe bello fare un gemellaggio tra il Principato di Seborga e S. Giovanni di Prè.

      Uno dei priorati più importanti del monastero di Lerino, che nessuno cita è quello della Commenda di  San Antonio abate di Prè a Genova. Come abbiamo detto da Barcellona a Genova il monastero di Lerino possedeva beni e averi  e priorati in 72 diocesi. Era la Montecassino del Nord d’Italia. Pur distrutta dai Saraceni o da Arabi provenienti chi dice dalla Sicilia o dalla Spagna. Da Monastero Gallico –Orientale, pre benedettino di almeno due secoli, diventò di rito Benedettino cluniacense.  Uno  di questi priorati, dipendenti da Lerino fu quello della Commenda di S. Giovanni di Pre.

Questo priorato, Lerino lo deve ad un lascito del Conte Corrado di Ventimiglia nel 1080 che lascia al convento un terreno ed una casa situati presso la chiesa di San Lorenzo. Questo fatto dei conti di Ventimiglia d’ avere casa e terreni in quel di Genova.  Era un atto di sottomissione delle famiglie nobiliare liguri abitare per un certo periodo all’anno a Genova, era in un certo modo essere in ostaggio e dimostrare d’essere devoti sudditi. La tradizione orale di Taggia afferma che le famiglie nobiliari di Taggia, preferivano parlare  in casa il dialetto Genovese a quello taggiasco. Bisogna considerare che nel Senato oligarchico di Genova erano  rappresentate le famiglie nobili della Liguria così suddivise: su dieci famiglie nobiliari sette erano Genovesi, una Ponentina, una Savonese, ed una Spezzina. Genova  con la politica del guanto di velluto credeva di smorzare sul nascere ogni ribellione… aimè si ribellarono: Ventimiglia, Sanremo,Varigotti, Savona a cui furono distrutti interrando i relativi porti.

Il monastero di Genova ricevette tante e tali donazioni che costruirono un monastero a Castelletto. Nel 1254 i monaci di Lerino dovettero dare ai frati francescani il loro convento, in cambio ricevettero la chiesa di Sant’ Antonio Abate, situata fuori dalla Porta dei Vacca. L’Arcivescovo obbligò i monaci Lerinensi (diventati bendettini cistercensi, prima erano monaci orientali–gallicani) ) a tenere  aperto questo ospizio e ospedale per dar sollievo ai poveri, pellegrini e viandanti, in special modo ai Templari e ai monaci militari : Ospitalieri, poi di Malta, Teutonici,  in partenza per la Terra Santa. A seguito dei provvedimenti contro i Templari, i monaci Antoniti di Vienne accamparono diritti sul monastero. Fu provvidenziale l’intervento nel 1363 di Papa Urbano V, già monaco di Lerino a abate di S. Vittore di Marsiglia per la salvaguardia del monastero Hospitale e Xinedochio.

Nel 1482, dopo la morte in Genova del Priore Bendetto Negrone i due religiosi rimasti ritornarono a Ventimiglia nel Priorato di S. Michele. La Chiesa e l’ospedale, nel 1485 vennero posti sotto la Commenda del Cardinale Paolo Campofregoso, Doge e Arcivescovo di Genova che lo mandò in rovina… ma questa è un’altra storia che a noi non ci interessa. Invece parleremo del diritto dei monaci di pascolare i porci del convento, per la città di Genova: infatti  due grossi maiali e un verro e venti porcellini avevano il diritto di fare scorribande nei carugi e elemosinando gli avanzi di cibo.

  I porci dei monaci  del  Principato di Seborga pascolano nei carrugi di Genova. 

L’origine di questa tradizione  va ricercata  nella fondazione  dell’ordine  degli Antoniani, istituito a Vienne ( Francia) , sul finire del XII secolo, con intenti  prettamente ospedalieri e nell’osservanza della regola Agostiniana e non Benedettina. Per il loro lavoro verso i malati , specialmente quelli colpiti da “ignis sacer” o detto comunemente  “il male ardente”, che prende il nome di “ fuoco di S. Antonio.”

Una cronaca genovese del XIV secolo  riporta come il popolo fosse convento che le cure prodigate  ai porci di Sant’Antonio giovassero a difendere  dalle malattie e da ogni malanno  tutti gli altri che si allevano dai privati”. Infatti ai monaci era consuetudine donargli  un porco in elemosina,  a loro era data la facoltà di  allevare porci lasciandoli liberamente circolare per la città, il cui mantenimento era devoluto alla carità della gente, era mantenuti con avanzi dei cibi. L’usanza è ricordata da Dante: Di questo ingessa il porco Sant’Antonio

 E altri assai, che son peggio che i porci

 pagando di moneta  senza conio

 (Paradiso, XXXIX, vv. 124-126)

A Sanremo nella Piazza Bresca, una volta detta dei Missionari o dei Bottai, c’era un convento dei monaci Antoniani, avevano il diritto di far pascolare i maiali mettendo loro un anello nel grugno, e se erano terribilmente vispi erano accecati. Erano peggio dei lupi, divoravano i bambini piccoli incustoditi… questa tradizione era in tutti i paesi del Ponente, il porco era ucciso e con la vendita della sua carne erano fatte “comandare” delle SS. Messe per i defunti, a Sanremo, Ventimiglia, Nizza, Badalucco ne ho trovati i riscontri.

         I conti di Ventimiglia erano convinti (era usanza, dell’epoca avere come  progenitori dei santi) secondo un antica leggenda la madre di Sant’Antonio era ventimigliese, che dopo aver sposato un ricco mercante copto si recò in Egitto, diede i natali a San Antonio, di li nacque la nobile famiglia dei Conti di Ventimiglia. Nel 954 avevano eletto il santo, patrono speciale del loro casato.

           A Genova la libertà d’azione dei porci è impressionante. I porci erranti non dovevano eccedere ad un verro (maschio) e a venti porcellini d’età superiore all’anno. Dovevano essere marchiati con la tau e infilato nel grugno un anello per impedire che scavassero nei carrugi. I porco è un animale intelligente, simile al cane, si guadagnavano da vivere bazzicando di qua di la, andandosi a trovare la vecchietta o rubando al verduriere la verdura. Certamente i danni furono innumerevoli, e questa usanza imperaca in tutta Europa. a Parigi il figlio del Re di Francia,  morì  a causa di una caduta del suo cavallo contro un porco.

       A Genova i porci la fecero grossa: durante un corteo del Doge preceduto dai suoi dignitari, i porci  inferociti, causa la fame,  li mandarono gamba l’aria. Con effetto immediato con una Grida proclamò :”Il Serenissimo Senato, considerato  quanto sia indecente  e di quanto  pregiudizio il permettere che vadino a girare per le vie  li porchi, sarà lecito a chiunque di prenderli ed ammazzarli”.

La differenza tra le grida e le nostre leggi è che le grida risolvevano totalmente la questione, le nostre leggi sono come gli elastici, giocano a tira e mola, da noi sarebbe subito intervenuto l’ente della Protezione del Porco,  l’Assessore al traffico, all’Igiene, Annonaria, la varie consulte, vispi e vegeti i porci ci sarebbero ancora adesso! (Esempio dei  giorni d’ogg vedi i cani randagi liberi e giocondi ).

         Solo in un paese del Ponente a Badalucco, era consuetudine dopo la benedizione  degli animali  il giorno di San Antonio far correre le mule cavalcate a pelo per la via del paese. Delle nostre tradizioni rimane solo l’immaginetta del santo con ai piedi un porco circondato da  molti animali domestici.

    Sarebbe bello fare un gemellaggio tra il Principato di Seborga e S. Giovanni di Prè.

Li vicino alla vessillo crociato di Genova sventoli quella azzurra di Seborga.

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