Giugno 10, 2025

17 dicembre 1776 papa Pio VI bolla Rerum humanarum conditio sanciva l’abolizione Antoniani diritti e pesi confluiranno all’Ordine Mauriziano

17 dicembre 1776 papa Pio VI bolla Rerum humanarum conditio sanciva l’abolizione Antoniani diritti e pesi confluiranno all’Ordine Mauriziano

un patrimonio di documenti per la ricomposizione delle scelte architettoniche e dei palinsesti territoriali 75 benedettine80, ma con la bolla di Bonifacio VIII acquisivano autonomia di gestione e il Gran Maestro assumeva la carica di abate81 dell’Ordine, a cui faranno riferimento tutte le “commanderie” e i relativi ospedali. Il capitolo generale tenutosi nel 1298 approva la nuova Regola, che era conforme ai canoni agostiniani, e assume il nuovo nome dato dal papa. «Alla fine del XIII secolo l’ordine era presente in buona parte dell’Europa, ma anche a Cipro, Costantinopoli, Atene e in alcuni presidi orientali; in Italia i primi ospitales sorsero sulla via francigena, a Roma e presso Napoli. L’Ordine ebbe sino al 1776, anno della soppressione, una notevolissima espansione territoriale i cui limiti erano a nord la Svezia, a est l’Ucraina e a sud forse l’Etiopia, con circa mille fondazioni, delle quali un centinaio distribuite in tutta l’Italia; nel XV secolo gli Antoniani assistevano ben oltre 4000 pazienti, in circa 370 ospedali sparsi per l’Europa»82. A partire dal tardo XVII secolo «il fenomeno dell’accorpamento degli ospedali gestiti dai vari ordini e il miglioramento delle condizioni igieniche in Europa (che portarono alla scomparsa delle grandi epidemie che avevano flagellato il vecchio continente nei secoli precedenti), fecero venir meno la stessa ragione d’esistere degli Antoniani, sempre più divisi da dispute e conflittualità interne»83. Nel 1774, due anni prima della soppressione dell’Ordine, venne votato dal Capitolo Generale degli Antoniani uno strenuo tentativo di salvataggio, ossia l’unione con l’Ordine di Malta, che si prefiggeva anch’esso, fra i suoi scopi, l’assistenza e la cura dei pellegrini, ma senza che la deliberazione fosse in grado di risollevarne le sorti. Il 17 dicembre 1776 papa Pio VI con la bolla Rerum humanarum conditio sanciva definitivamente l’abolizione dell’Ordine Antoniano i cui beni passavano in gran parte all’Ordine di Malta e, nel Regno di Napoli, all’Ordine Costantiniano. Contestualmente il papa assegnava la proprietà della precettoria di Sant’Antonio di Ranverso e di diverse case in Torino all’Ordine Mauriziano. Quando nel 1860 verrà abolito l’Ordine Costantiniano, il suo patrimonio – di cui una parte proveniente a sua volta dall’Ordine di Sant’Antonio –, i diritti e i pesi confluiranno nell’Ordine Mauriziano, completando, a meno di cent’anni di distanza, l’acquisizione della dote84. La documentazione a disposizione, sia per la ricostruzione delle vicende storiche, sia per la conoscenza architettonica dell’eccezionale complesso dotato di un assai noto ciclo jacqueriano85, sia ancora per comprenderne la gestione a servizio principalmente dell’Ospedale Maggiore dell’Ordine nella capitale, è ricchissima, comprendendo mazzi, mappe e ricognizioni. Tra queste merita di essere segnalata per la sua anomalia la grande ricognizione, di fatto un cabreo, redatta a metà XVIII secolo, in forma di un ovale racchiudente al suo interno l’intero complesso monastico con il suo intorno territoriale86. Secondo consuetudine, sul fianco, un lungo elenco redatto del «geometre Truc de Rivolle» descrive i diversi beni componenti la commenda; in scala di «trabucs de Piémont qui consistent en 6 pieds liprans qui font 9 pieds de France chaque trabuc», la sua eccezionalità consiste nell’essere una doppia rappresentazione, nel segmento superiore in assonometria (secondo modelli diffusissimi anche in altri cabrei di cui si è trattato a proposito delle commende), e in quello inferiore in pianta, di notevole accuratezza e con precisa indicazione della destinazione di ogni vano (anche in questo caso rispondendo in 76 chiara devoti modo puntuale alle indicazioni imposte per la ricognizione del patrimonio commendatario)87. Ultimo tassello di questa acquisizione – non in termini cronologici, ma concettuali88 – è rappresentato dall’abbazia di Santa Maria di Staffarda, già fondazione cistercense, secolarizzata da Benedetto XIV e commutata in commenda di proprietà dell’Ordine nel 175089. Tra le prime abbazie cistercensi del Piemonte, Staffarda è fondata nel 1135 su terreni donati da Manfredo, primo marchese di Saluzzo, cui presto si assoceranno lasciti cospicui che porteranno a una notevole estensione patrimoniale il primo nucleo monastico90. La caduta in commenda nel corso del XV secolo non appare fatto straordinario nel contesto di molte altre vicende di ordini, e in perfetto parallelismo con quanto si nota per l’Ordine del Gran San Bernardo, di cui si è trattato al paragrafo precedente, mentre a un sostanziale assottigliamento della comunità monastica tra XVI e XVII secolo si associa anche un processo inarrestabile di degrado del grande complesso. Sono assai noti gli interventi voluti da Vittorio Amedeo II a partire dal 171091, compreso il progetto di Antonio Bertola e Antonio Casella per l’altare maggiore datato 10 settembre 171292, ed effettivamente eretto, ma senza che questi siano in grado di risollevare le sorti di un complesso ampiamente compromesso, di un lassismo nella gestione che non potevano sfuggire a un attento riformatore come Benedetto XIV, strettamente osservante dell’ortodossia e del rigore morale degli “istituti di perfezione”. I rilevamenti preliminari al passaggio all’Ordine Mauriziano, in particolare la grande mappa non datata, ma ascrivibile all’immediato intorno del 1750, denominata Pianta delle fabbriche del recinto di Staffarda 93, non firmata – ma forse già di mano del «misuratore» Giovanni Tommaso Audifredi, rilevatore di fiducia dell’Ordine, autore di misure per la Commenda Magistrale di Stupinigi e per commende minori, che sarebbe stato incaricato due anni dopo, nel 1752, della misura del palazzo della commenda e di una piccola variazione «per dar la comunione dal Salone alla Scala dell’Appartamento»94 – rappresentano un corpus documentario di eccezionale interesse, anche per la loro capacità di esplicitare i termini precisi della trasformazione in commenda dell’amplissimo territorio (con cascine e campi, oltre al cosiddetto “concentrico” o “borgo”) facente capo all’abbazia. Secondo una consuetudine che diventerà propria sia delle mappe (quindi nel fondo Mappe e cabrei) riferite a Staffarda sia dei documenti rilegati nei volumi o conservati nei mazzi, si distingue tra ciò che è “monastero”, in genere indicato in rosso, oggetto delle estese campagne di restauro di Cesare Bertea, compiuti tra il 1921 (inizio dei lavori al chiostro) e il 1930 (sala capitolare e foresteria), per terminare entro il 1935 con la chiesa abbaziale95, e quanto invece compone il concentrico, a vocazione al contrario eminentemente produttiva, comprensivo dei forni, del mulino, della latteria e del sistema delle cascine96. È proprio questo secondo aspetto, quello produttivo, a occupare una gran parte, certamente quella preponderante, della documentazione conservata presso l’archivio: la gestione delle cascine, l’«affittamento» dei diversi «tenimenti» (termini ricorrenti anche nel contesto delle altre commende), la manutenzione ordinaria e straordinaria, compresa la costruzione di nuove stalle, l’aggiornamento dei macchinari dei mulini, o l’inserimento di nuove

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